Capitolo II. Il canto, la tentazione e la morte dell’eroe
3. Le sirene e la femminilità nell’Odissea
3.3 Sirene ed eros nell’Odissea
Dalla lettura del passo del libro XII non emerge in alcun modo una possibile attrazione delle sirene per Odisseo: a differenza di Calipso, che vuole legare a sé l’eroe, costringendolo ad una vita immortale e perpetrando uno schema da lei stessa indicato secondo cui le dee si invaghiscono di uomini mortali finendo poi per patire a causa di queste relazioni tragiche (V 118-129), e di Circe, che vuole inizialmente solo trasformare chi si imbatte in lei in un essere inferiore, un animale, e solo in un secondo momento propone all’eroe di giacere con lei nel letto (anche questo passaggio è da ritenersi pericoloso, avendo Hermes messo in guardia l’eroe riguardo la possibilità che Circe mediti sempre dei tranelli nei suoi confronti), per le sirene invece l’unico fine del canto è quello della dissoluzione fisica dell’eroe, di cui rimangono solo i resti, e l’attrattiva della loro prigionia è quella di un τέρπομαι che non ha fine nel piacere sessuale, bensì in quello cognitivo.26 Possiamo affermare che la sirena, a differenza della tradizione
medievale successiva ad Omero in parte esplorata nel capitolo I, non abbia nessuna mira nel cercare di sottomettere sessualmente l’eroe: va preso come dato acquisito che sia un pericolo da connettere con la morte, e non con la sessualità. Dal testo possiamo desumere soltanto che la sua azione getti il protagonista in una condizione che a lungo andare ne causa la morte, senza che possa fare niente per liberarsi; così il verbo che Omero utilizza per indicare la decomposizione dei
26Lo Chantraine ci dice che il verbo τέρπομαι indica il trovare piena soddisfazione del proprio
desiderio, sia esso di cibo o sessuale; ma anche «trovare piacere in», «divertirsi», a volte prendendo dunque la sfumatura accessoria di «trovare piacere nel gioco»; così, dopo l’episodio delle sirene, il porcaio Eumeo gode della vista di Telemaco una volta che questi è tornato ad Itaca (XVI 26-27)
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resti dei viandanti, μινύθειν,27 ricorre nell’Iliade per indicare l’azione di Zeus
nell’indebolire i guerrieri in battaglia (XV 492-493), è presente nella metafora per i torrenti che danneggiano le opere degli uomini per effetto dell’intervento di Zeus (XVI 392), nella metafora della guerra in cui le case vengono distrutte dall’incendio (XVII 738), e infine è nuovamente detto dell’azione di Zeus di accrescere e diminuire il valore degli uomini (XX 242); nell’Odissea invece viene utilizzato per indicare il «venir meno del cuore», μινύθει ἦτορ (IV 467), e per la diminuzione del gregge di Eumeo, sempre più piccolo perché gli animali più grassi vengono mandati ai Proci. Il termine si lega dunque alla descrizione della condizione umana in cui il vigore e la portata dei sentimenti diminuisce o per motivazioni intrinseche all’animo oppure per azione degli dei, oppure
designa la distruzione fisica provocata da intemperie; in Omero non indica mai il deterioramento dovuto all’eros, né implica che un agente esterno che attenta all’incolumità di un essere vivente lo faccia implicando anche un interesse sessuale nei confronti dell’offeso. Andrà comunque tenuta presente la
somiglianza fisica tra le sirene omeriche e altre creature del mito la cui azione dissipatrice nei confronti dell’uomo si sostanzia in una serie di atti connotabili come erotici: in aggiunta a questo, le sirene andranno comunque ricollocate all’interno di uno schema che dovrà tenere conto dei personaggi femminili dell’Odissea e del loro coinvolgimento emotivo-sessuale nei confronti dell’eroe.
Sono numeroso le divinità o i mostri del mito che attentano alla figura dell’eroe tramite un approccio che preveda una dicotomia di amore/morte: dell’argomento si sono occupati Jean Pierre Vernant e Anne Doueihi nel saggio
Feminine Figures of Death in Greece, in cui viene espressa l’idea di base che
nella cultura greca classica tutte le rappresentazioni positive o neutrali della morte si presentino con figure maschili, mentre invece quelle relative alla dipartita violenta e distruttiva per l’eroe siano riconducibili a stereotipi
27Sempre nello Chantraine vengono riportati i possibili significati di μινύθειν: «diminuire,
distruggere». Restando in tema con il passo delle sirene, in cui le prede delle incantatrici rimangono soltanto le ossa scarnificate, dal verbo si origina μινυθήματα, propriamente le «parti del corpo che si deteriorano».
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femminili. Così, Thanatos e Hypnos,28 le due divinità gemelle, sono rappresentati
come giovani in armatura che scendono sul campo di battaglia, nell’atto di raccogliere l’anima per farla ascendere ad una nuova condizione, diretta
conseguenza della mortalità; il loro aspetto è distinguibile da quello degli esseri umani soltanto per via delle ali che spuntano loro sulla schiena, proprio come le sirene e altre divinità o mostri della mitologia. Lmorte violenta è incarnata da figure femminili come le gorgoni,29 o Ker:30 quest’ultima viene citata
nell’ekfrasis dello scudo di Achille, in Il. XVIII 535 ss., mentre tiene tra le braccia un guerriero ancora vivo, oppure già morto, ricoperto di ferite, e indossa sulle spalle una veste macchiata di sangue umano. In questa dicotomia secondo Vernant e Doueihi ricorre una duplice visione della morte che da un lato
evidenzia quest’ultima come strumento di coesione sociale, un tentativo di renderla accettabile nel momento in cui trasfigura la dipartita del guerriero e lo eleva come simbolo di perfezione rispetto ai vivi; dall’altra invece il gruppo delle gorgoni e di Ker rappresenta un confronto diretto con la morte, uno sguardo
diretto oltre la soglia, il terrore stesso della morte.31
Tra questi due opposti va però individuata una zona grigia, un territorio mediano in cui la morte non si regge sulle sole qualità di completamento e distruzione che viene popolato, secondo i due autori, da figure mitiche tra cui anche le sirene: insieme alle arpie e alle sfingi, le sirene sarebbero da considerare come la morte che seduce. In questo gruppo riecheggia l’idea che il
combattimento sul campo di battaglia, e anche lo scontro con un essere mostruoso, sia segnato da alcuni termini propri del linguaggio amoroso: così μείγνυμι, il verbo che indica l’unione sessuale, può essere utilizzato anche per descrivere l’azione di due combattimenti che arrivano allo scontro in battaglia, ed
28Per la nascita di Thanatos ed Hypnos vedi Th. 210 ss.
29Per la descrizione, genealogia e storia delle gorgoni vedi cap. I, p. 42
30 Le Chere sono rappresentazioni mitologiche della morte violenta avvenuta in battaglia; si
aggirano sul campo, spaventose, avvolte in un drappo color sangue; sono figlie della Notte, sorelle di Hypnos e Thanatos; talvolta nei racconti vengono anche scambiate con le Erinni e le Moire, Graves, p. 254
31 Vedi J.P. Vernant e A. Douehih, “Feminine Figures of Death in Greece”, in Diacritics 16,
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è ad esempio proprio di Diomede in battaglia contro i Troiani (V 143); allo stesso tempo δαμάζειν indica il soggiogamento sia nell’ambito bellico che nell’ambito sessuale, ed è proprio anche della divinità Eros, che riesce a sottomettere anche le altre divinità tramite l’azione del θέλξις: l’amore crea vertigine, sposta l’uomo in un’altra dimensione in cui sperimenta sensazioni a lui spesso sconosciute, e gli fa sperimentare una condizione simile alla morte.32 Le stesse tematiche sono state
approfondite anche da Emile Vermeule in On the wings of the morning: the
pornography of death: nel saggio vengono discusse le connessioni presenti tra
Eros e Hypnos e Thanatos, sia per quanto riguarda l’azione svolta sui mortali e sugli immortali, sia per la vicinanza nell’aspetto tra le due divinità. Il punto focale è sempre da ricercarsi nell’azione del θέλγειν, che Eros compie nel momento in cui un uomo viene colto dal sonno, incantandolo con immagini inventate; Eros quindi è sia un cantore e un musicista, rappresentato spesso in questo suo atto con la lira in mano, ma agendo come figura rapace nel
dormiveglia di una persona, viene anche rappresentato come predatore, cacciatore con l’arco in mano, a sottolineare anche la natura di guerriero. In entrambi i casi, l’azione del dio è collegata con situazioni in cui il suo potere si esprime secondo la doppia natura del sentimento e della violenza, in un contesto in cui non v’è più distinzione tra i due ambiti.33
32In Vernant-Douehih si fa accenno a tutta una lunga serie di parallelismi tra ambito sessuale e
guerriero: come esempio citiamo il passo riguardante il duello tra Ettore ed Achille, in cui il dialogo che precede lo scontro presenta una serie di richiami al linguaggio amoroso proprio di Afrodite. La nascita della dea nella Teogonia è seguita da un lungo elenco di divinità, figlie della Notte; la sua particolare natura è legata fin da subito all’amore e ai παρθένοι ὄαροι, i discorsi bisbigliati tra innamorati, dal verbo ὀαρίζειν, sussurrare: la parola ὀαριστύς è spesso usata nell’Iliade come richiamo all’incontro in battaglia tra guerrieri (XIII 291, XVII 228), e così nello scontro tra Ettore ed Achille il primo rimarca che «non c’è tempo per discorsi tra innamorati, ma bisogna combattere da uomini»; una volta ucciso e spogliato delle armi, Ettore viene definito μαλακός, termine che spesso viene riferito agli effemminati all’interno
dell’ambito sessuale.
33Vedi E. Vermeule, Aspects of Death in Early Greek Art and Poetry, Berkeley-Los Angeles-
London,University of California Press, 1979, pp. 145-178. Le sirene nel testo rientrano nel novero di una serie di creature divine, insieme a sfingi e arpie, che volano sulla terra fino a rapire gli uomini per provocarne la morte; trasportano in cielo gli uomini per provocarne la morte. Vermeule specifica come questo rapporto tra divinità femminili che causano la morte degli uomini venga invece controbilanciato da un gruppo di divinità maschili che invece fanno ascendere al cielo le donne, fino ad innalzarne lo spirito: è il caso di Zefiro, Borea, o lo stesso Eros.
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Ecco dunque la relazione per cui il θέλξις di Eros è collegabile al θέλγειν delle sirene, di Calipso e di Circe; secondo Vernant-Douehih le sirene stregherebbero l’eroe riproponendo il θέλγειν proprio di Eros, costituendo un legame tra loro e l’eroe riconducibile alla dimensione amorosa; e la ricomparsa del termine anche per identificare l’azione di Calipso nei confronti dell’eroe, nel suo legarlo ad una condizione in cui è impossibile per lui tornare ad essere umano e nemmeno morire, rendendolo, come nelle parole di Telemaco (I 234), un ἄιστος, un
invisibile privato del κλέος e condannato a non sperimentare né la morte orrenda, né la morte eroica: la permanenza di Odisseo ad Ogigia consiste quindi
nell’annullamento dell’eroe, a prescindere che essa arrivi tra le braccia di Thanatos ed Hypnos, oppure tramite un essere mostruoso.34
Sebbene il θέλγειν possa in qualche modo connettere le sirene alla figura di Eros, come già anticipato ad inizio paragrafo è da considerarsi completamente differente il loro apporto nella trama; laddove Eros, mantenendo il suo valore di ispiratore del rapporto erotico tra due esseri, può effettivamente rappresentare la dissoluzione della vita provocata dal sentimento, le sirene sono invece
dispensatrici di morte, e nessuna delle loro azioni si ricollega, anche metaforicamente, all’idea che l’eroe venga imprigionato da un interesse
sentimentale per loro. Andrà invece considerato il motivo per cui le sirene siano da considerarsi, in tutto e per tutto, divinità dell’oltretomba: la loro azione, nella trama dell’Odissea, è da considerarsi una dissoluzione dell’eroe dovuta
all’abbraccio di una condizione che non gli pertiene, e in quanto tale le sirene rimangono degli epigoni di Circe e Calipso, anche nei richiami del testo. Si prendano in esame le invocazioni che Circe e Calipso rivolgono all’eroe (V 203- 213; X 456-465):
34Ulteriore parallelo è riscontrato da Vernant-Douehih nel paesaggio che fa da sfondo all’entrata
in scena delle sirene e Calipso nei due passi; di Calipso si è già detto al paragrafo 3.2 di questo capitolo, mentre per le sirene è importante concentrarsi sul λειμών e la sua rappresentazione; da una parte un prato fiorito su cui cantano in modo armonioso, dall’altro la sua natura di luogo infestato dalla morte viene subito chiarita da Circe, dicendo che è pieno di resti umani. Ancor più esplicitamente che nel caso di Calipso, il luogo esibisce una doppia natura prima ancora che compaia nella narrazione.
85 ‘διογενὲς Λαερτιάδη, πολυμήχαν᾽ Ὀδυσσεῦ, οὕτω δὴ οἶκόνδε φίλην ἐς πατρίδα γαῖαν αὐτίκα νῦν ἐθέλεις ἰέναι; σὺ δὲ χαῖρε καὶ ἔμπης. εἴ γε μὲν εἰδείης σῇσι φρεσὶν ὅσσα τοι αἶσα κήδε᾽ ἀναπλῆσαι, πρὶν πατρίδα γαῖαν ἱκέσθαι, ἐνθάδε κ᾽ αὖθι μένων σὺν ἐμοὶ τόδε δῶμα φυλάσσοις ἀθάνατός τ᾽ εἴης, ἱμειρόμενός περ ἰδέσθαι σὴν ἄλοχον, τῆς τ᾽ αἰὲν ἐέλδεαι ἤματα πάντα. οὐ μέν θην κείνης γε χερείων εὔχομαι εἶναι, οὐ δέμας οὐδὲ φυήν, ἐπεὶ οὔ πως οὐδὲ ἔοικεν θνητὰς ἀθανάτῃσι δέμας καὶ εἶδος ἐρίζειν.’ ‘διογενὲς Λαερτιάδη, πολυμήχαν᾽ Ὀδυσσεῦ μηκέτι νῦν θαλερὸν γόον ὄρνυτε: οἶδα καὶ αὐτὴ ἠμὲν ὅσ᾽ ἐν πόντῳ πάθετ᾽ ἄλγεα ἰχθυόεντι, ἠδ᾽ ὅσ᾽ ἀνάρσιοι ἄνδρες ἐδηλήσαντ᾽ ἐπὶ χέρσου. ἀλλ᾽ ἄγετ᾽ ἐσθίετε βρώμην καὶ πίνετε οἶνον, εἰς ὅ κεν αὖτις θυμὸν ἐνὶ στήθεσσι λάβητε, οἷον ὅτε πρώτιστον ἐλείπετε πατρίδα γαῖαν τρηχείης Ἰθάκης. νῦν δ᾽ ἀσκελέες καὶ ἄθυμοι, αἰὲν ἄλης χαλεπῆς μεμνημένοι, οὐδέ ποθ᾽ ὕμιν θυμὸς ἐν εὐφροσύνῃ, ἐπεὶ ἦ μάλα πολλὰ πέποσθε.’
Le invocazioni di Circe e Calipso all’eroe, se paragonate a quella delle sirene dei vv. 181-192, seguono il medesimo schema: invocano l’eroe con un epiteto, διογενὲς Λαερτιάδη, πολυμήχαν᾽ Ὀδυσσεῦ, con riferimenti alla patria perduta e agli affanni che l’eroe ha dovuto sopportare e che sopporterà sul suo cammino, seguiti da una ricompensa che l’eroe otterrà se accetterà di restare presso le due donne; come già si è visto, questa ricompensa non sarà possibile se non
annullando il viaggio, e quindi anche l’identità dell’eroe. Oltre alle differenze già riscontrate nei paragrafi precedenti, occorrerà ribadire come le sirene, a
differenza di Circe e Calipso, non rappresentino per l’eroe una tentazione sessuale; l’offerta di ospitalità delle due si sostanzia anche e soprattutto in una
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sosta in cui l’eroe diventa amante di entrambe, mentre le sirene sono solo ed esclusivamente divinità mortifere, e come tali andranno trattate.
Seguendo questa idea, è interessante riportare le idee espresse da Laurence Kahn in La mort a visage de femme: partendo dal presupposto che il mondo dei vivi e quello dei morti sono ugualmente strutturati secondo una rigida piramide sociale che prevede regnanti, sudditi e controllori, e che, pur contando le varie differenze, determinati aspetti della vita umana vengono ribaltati nel mondo dell’oltretomba assumendo significati del tutto diversi, le sirene omeriche possono risiedere fisicamente in un contesto umano, ma allo stesso tempo non sono altro che divinità che contribuiscono a condurre l’oppositore-preda verso la morte.35 Se tra morti e vivi secondo Kahn c’è un momento di stallo, un passaggio
che implica l’intervento di alcune divinità in grado di facilitare il trapasso all’anima umana (Thanatos e Hypnos, già citate per quanto riguarda le teorie di Vernant-Douehih), questo momento implica un intervento divino nel mondo dei vivi; il sonno e la morte sono manifestazioni della sfera materiale che implicano un passaggio in una dimensione che invece risiede oltre la realtà tangibile (così il sonno, operando come ingannatore per il mortale, può agire come distruttore della razionalità e creare per colui su cui cala un nuovo mondo).36 In questo
contesto, l’incontro con la morte è esorcizzabile soltanto tramite il pianto sul cadavere dell’estinto e nel ricordo che di lui avranno in futuro coloro che lo hanno conosciuto; si tenga in considerazione, per quanto concerne il passo delle sirene, l’avvenimento con cui inizia il canto XII, il funerale per Elpenore, che durante la sua apparizione nella nekya aveva pregato l’eroe di fornirgli le esequie per la morte avvenuta nel canto X.37 E’ d’uopo evidenziare la distinzione tra la
morte del compagno, che passa nell’aldilà trasportato da Hypnos prima
35L. Kahn, “La morte à visage de femmes”, in AA. VV., La mort, les morts dans les societies
anciennes, a cura di Gherardo Gnoli e Jean Pierre Vernant, Paris,Editions de la Maison des Sciences de l’Homme, 1982, pp. 133-142
36 Ricordiamo l’azione di Hypnos, che nell’Iliade agisce tanto sui mortali quanto sugli
immortali; quando Era vuole far addormentare Zeus affinché i Greci abbiano ragione in
battaglia, prega Hypnos di calare sul re degli dei, e questi lo fa addormentare profondamente (Il. XIV 270-353)
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(addormentandosi sul tetto per il troppo vino) e Thanatos poi, morendo nella caduta, e in seguito vede placato il suo spirito tramite la sepoltura sulla spiaggia, e l’esperienza vissuta da Odisseo durante l’incontro con le sirene: la dimensione eroica di Elpenore viene riaffermata, mentre quella dell’eroe ulteriormente annullata, non soltanto per il già citato motivo per cui le sirene intendono riportarlo nel passato, ma perché questo ritorno nel passato implica una
condizione in cui l’eroe ha già sperimentato la morte eroica, in cui già è divenuto materia di narrazione ed è stato traslato nell’orizzonte del racconto epico: quello che arriva dalle sirene, dice Kahn, è un λιγυρῇ αὀιδῇ, un canto proprio della celebrazione degli eroi, le cui gesta si affermano nel passato. Il premio promesso, dunque, non è più soltanto un semplice ristoro dagli affanni (Circe), né
l’immortalità come compagno di una dea (Calipso), ma la possibilità di accelerare il percorso dell’esistenza, divenendo non solo capace di conoscere
molte cose, ma traslando se stesso nella materia stessa della narrazione; Odisseo
diviene testimone della sua stessa morte, viene glorificato fin da vivo mentre la verità sta sia nella sua dissoluzione fisica sia nella distruzione della sua gloria imperitura. Il λειμών delle sirene, a questo punto, diventa un luogo fisico in cui si annulla la morte in ogni suo aspetto: l’eroe viene allietato con la promessa di conoscenza, che diviene promessa di conoscere la propria morte e quindi di gloria imperitura, ma questo non si realizza, e quel che gli rimarrebbe è solo un luogo in cui i resti mortali sono esposti senza che vi sia l’opportunità di dar loro sepoltura. Il λειμών diviene quindi un Ade in terra, un luogo di morte-non-morte; un luogo in cui il morto non ha potere di parola (a differenza delle anime del canto X) e la cui anima non avrà riposo una volta che i resti umani rimangano privi di sepoltura; un luogo in cui il ruolo della morte nella struttura sociale della civiltà omerica viene abortito in favore della nullificazione dell’eroismo.
Occorre poi considerare le sirene in un contesto allargato, in cui i principali personaggi femminili che compaiono nell’Odissea possono essere considerati secondo il metodo con cui si relazionano con l’eroe: abbiamo già detto delle sirene, di Circe e di Calipso, creature sovrannaturali che attentano all’eroe (nel caso delle ultime due il loro rapporto è proprio, anche, della sessualità). Vale la
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pena considerare anche alcuni personaggi che invece fanno da aiutanti, oppure si distinguono per caratteristiche diametralmente opposte da quelle già citati. Prendiamo in considerazione Atena, Nausicaa, Ino e Penelope.
Atena è da considerarsi un’aiutante, un’alleata che interviene a guidare le azioni di Odisseo; è lei che nel libro I incita il concilio degli dei a mettere in moto gli avvenimenti che porteranno alla liberazione dell’eroe da Ogigia, così come interviene direttamente più volte nella narrazione, fornendo sostegno con i suoi poteri: il caso più rinomato è quello del libro XIII 429-440, in cui toccando Odisseo con la verga (ῥαβδῳ), ne muta le sembianze in vecchio; la sua azione sembra qualificarsi come l’esatto contrario di quella di Circe, che invece con la verga muta i compagni in porci e tenta di fare lo stesso con Odisseo. Quindi possiamo definire Atena come un essere femminile soprannaturale, esattamente come sirene, Calipso e Circe, che però interviene per invertire l’azione di coloro che attentano alla vita del protagonista: la sua presenza fornisce un innesco e un proseguo alla trama. Lo stesso si può dire di un personaggio minore, comparso nel libro V durante il naufragio della zattera, Ino Leucotea,38 che diviene aiutante
di Odisseo presentandosi a lui nella forma di gabbiano; gli dona un velo magico che l’eroe, cingendosi in vita, utilizza per restare a galla, fino poi ad approdare nella terra dei Feaci (V 339-350). La dea è un altro esempio di aiutante dell’eroe, che si palesa però in aspetto animale: come le sirene è una divinità femminile con tratti animaleschi, ma si differenzia per l’apporto positivo invece che negativo.
Nausicaa e Penelope invece sono entrambe umane; Penelope rappresenta fin dalla prima apparizione dell’eroe, nelle sue parole e in quelle degli altri, la meta finale del viaggio: nel proemio Omero ci dice che l’eroe ha «solo la mente fissa al ritorno e alla sposa» (I 11-13); così successivamente, durante il dialogo con Calipso che lo invita a restare, Odisseo ribadisce che «Penelope in forma e
38Un tempo solamente Ino, moglie di Atamante e madre di Melicerte, muore cadendo in mare