• Non ci sono risultati.

Cambiare l´approccio ai conflitti: dalla reazione alla prevenzione

R EFERENZE BIBLIOGRAFICHE AL CAPITOLO

4) il lavoro di advocacy 44 a livello politico e istituzionale.

2.3 Definizioni e approcci all´intervento delle ONG

2.3.1 Cambiare l´approccio ai conflitti: dalla reazione alla prevenzione

La recente enfasi riservata alla guerra al terrorismo dalla comunità internazionale, ha allontanato lo sguardo dai problemi reali in cui si vive oggi. Se si prendono in considerazione i trentaquattro paesi che più si allontanano dalla realizzazione dei cosiddetti obbiettivi del millennio, si nota che ben ventidue di essi sono affetti, o lo sono stati di recente, da conflitti violenti. Il nuovo ordine mondiale emerso dal collasso dell'Unione Sovietica ha prodotto una serie di sanguinose guerre civili e causato migliaia di morti e milioni di sfollati. Difronte a queste realtà, le risposte della comunità internazionale sono state troppo deboli e lente, imputabili principalmente ad una visione di corto raggio rispetto ai problemi globali o della mancanza di volontà politica da parte dei governi. Ciononostante ci sono attualmente migliaia di individui e organizzazioni esterne ai governi e alle istituzioni internazionali che quotidianamente si sforzano di lavorare per la pace in tutto il mondo. Queste persone stanno raggiungendo notevoli risultati se commisurati alla sproporzione di mezzi di cui dispongono i governi rispetto ai loro, ma sfortunatamente il lavoro che essi svolgono non gode ancora del riconoscimento necessario. Tuttavia risulta evidente che i tempi sono ormai maturi per la valorizzazione del lavoro di pace che da anni questi soggetti svolgono nelle aree di conflitto.

La comunità internazionale, di cui l'ONU rappresenta la principale istituzione, ha dato tropo spesso prova di inefficacia difronte alla dura realtà rappresentata dai conflitti violenti. Se si assume come fatto oggettivo che la natura dei conflitti è mutata, spostandosi dalla dimensione interstatale a quella intra statale, allora si deve anche riconoscere la necessità di ripensare le pratiche da adottare per poterli risolvere. E´ ormai in crescita la consapevolezza che esistano forme civili di prevenzione e gestione dei conflitti che agiscono al di sopra dei governi e delle istituzioni internazionali. In questa direzione vanno gli appelli fatti dal Segretario Generale Kofi Annan, che ha richiamato più volte la comunità internazionale sulla necessità di un cambiamento di paradigma del intervento di

102

pace che passi «da una cultura della reazione ad una cultura della prevenzione» (Annan in Van Tongeren et al. 2005, xi).

Anche organizzazioni come l´UE e l´OSCE hanno accolto con favore questa chiamata. In particolare solo l’OSCE (non l’ONU, nonostante l’importanza data nell’Agenda per la pace di Boutros Ghali al ruolo della diplomazia preventiva e dalle raccomandazioni del Rapporto Annan) si è dotato di strumenti effettivi di monitoraggio permanente delle aree di tensione e di conflitti; ma con così pochi soldi e funzionari da rendere l’azione poco più che simbolica, anche se in alcuni casi con interventi positivi come il caso del conflitto Azerbajgian-Armenia sul Nagorno-Karabach. (Marcon e Pianta, luglio 2000, 7).

Nella sua concezione più ampia, la prevenzione dei conflitti si pone come obbiettivo sia la prevenzione dei conflitti violenti, sia la costruzione della pace positiva e sostenibile raggiungibile tramite la trasformazione delle cause alla base del conflitto. Questo concezione è stata sviluppata ulteriormente dalla Carnegie Commission on Preventing Deadly Conflict (1997) che ha operato una distinzione tra “prevenzione strutturale” e “prevenzione operativa”. La prima si riferisce alle strategie indirizzate alle cause di fondo del conflitto, la seconda è indirizzata ad impedire l´emergere e lo sviluppo della violenza. Entrambi i concetti sono stati adottati dal Segretario Generale delle NU nel suo Report on the Prevention of Armed Conflict del 2001 (UN-Secretary-General 2001b, 1-2) ed in seguito sono diventati concetti fondamentali per una cornice teorica sulla prevenzione internazionale dei conflitti.

L'importanza dell'azione delle organizzazioni della società civile (conosciute anche come ONG ma non tutte lo sono, quindi in questo trattazione si utilizzerà l´acronimo inglese più comune CSOs, che significa Civil Soceity Organisations), è strettamente connessa al cambiamento della cultura alla base della logica dell'intervento di pace di cui parla Annan. Per quanto un numero crescente di leader politici a livello mondiale stia diventando sempre più cosciente delle potenzialità della società civile, gli scopi e l'ampiezza delle sue attività rimangono ancora poco riconosciuti. Ancora troppo spesso i governi si dimostrano riluttanti e restii ad ammettere che attori non statali si possano inserire nelle faccende che riguardano la pace e la sicurezza.

Andando oltre questa riluttanza, il lavoro di successo che la società civile ha compiuto nella prevenzione e costruzione della pace ormai guadagna sempre più terreno, tanto che, leaders di comunità, gruppi di donne, giornalisti, accademici, uomini d'affari, politici e capi religiosi incominciano ad affacciarsi sempre più frequentemente alle attività svolte dalle ONG.

2.3.1.1 La Global Partnership for the Prevention of Armed Conflict

103

(United Nation 2001b), il Centro Europeo per la Prevenzione dei Conflitti (ECCP) ha avviato un processo inclusivo della società civile per l'elaborazione di un'agenda globale per la prevenzione dei conflitti armati. Sempre in risposta alle raccomandazioni del Rapporto Annan sul coinvolgimento delle ONG nella prevenzione dei conflitti e nel PB, nel 2003 è nata la Global Partnership for the

Prevention of Armed Conflict (GPPAC). Questo partenariato è stato formato allo scopo di costruire

un nuovo consenso internazionale sulla prevenzione dei conflitti armati, la costruzione della pace ed il supporto del cambiamento di paradigma sulla gestione dei conflitti da reattivo a pro-attivo. In questo sforzo globale sono stati sviluppati quindici processi regionali e l'elaborazione di agende d'azione separate, che riflettono principi e priorità per ogni regione interessata. Partendo dall'elaborazione di queste agende regionali il GPPAC ha sviluppato una Global Action Agenda e successivamente ha lavorato alla preparazione della Conferenza Globale della società civile all'ONU nel 2005, “From reaction to prevention”. La GPPAC intende supportare il passaggio da un sistema di reazione ad un sistema di prevenzione dei conflitti tramite il conseguimento dei seguenti obbiettivi (Van Tongeren et al. 2005, 3 e 49):

- Creazione di una rete di gruppi impegnati nella prevenzione e nel PB a livello globale, regionale e nazionale e convergenza tra reti regionali e attività di CSOs locali.

- Lavorare verso l´implementazione di programmi di riforma politica che rafforzano l´efficacia della prevenzione dei conflitti e del PB.

- Far sviluppare e mobilitare forze pubbliche nel mondo informandole della necessità di prevenire e trasformare i conflitti e del ruolo cruciale della società civile in questo sforzo. Nel 2004, il Centro Europeo Per la Prevenzione dei Conflitti ha organizzato una conferenza sul ruolo della società civile nella cornice della GPPAC. La conferenza, ospitata a Dublino ha visto la partecipazione di oltre 230 partecipanti operanti attivamente nel campo della trasformazione dei conflitti e del PB e ha portato all´ adozione della “Dublin Action Agenda”.45 L´agenda richiama ad un nuovo partenariato tra società civile, governi e organizzazioni intergovernative (Serbin in Ivi, 54).