CAPITOLO PRIMO
1.6 L´approccio emergente nello studio delle Operazioni di Pace.
1.7.3 Teorie Non-Riflessive e Riflessive
Un´ulteriore fonte di differenza tra le teorie del Problem-solving e quelle critiche risiede nella relazione tra la teoria e la pratica. L´approccio al problem-solving tende ad essere di carattere “non-riflessivo”. Basandosi su propositi strumentali e su una visone del mondo di tipo oggettivista, quelle teorie implicano che le conoscenze sulle OP vengono prodotte per riflesso dalla natura dei problemi che si vogliono risolvere. Queste teorie vedono se stesse come un corpo esterno e separato al mondo sociale in cui sono inserite. Roland Paris fa notare che queste teorie hanno prodotto nella letteratura sulle PO un gran numero di micro-teorie mosse dall´esigenza di risolvere taluni problemi; per contro, è veramente piccolo il contributo apportato in termini di macro-teoria che evidenzi le relazioni tra le OP e la politica mondiale. Tutte queste micro-teorie hanno creduto di poter restare incontaminate dalle ideologie, dal potere e dal dominio sulla conoscenza accademica provenienti dagli Stati attori che conducono le OP. Secondo Bellamy questo aspetto è di grande importanza, e una sua maggiore comprensione permetterebbe l´adozione di metodi più efficaci nella conduzione delle OP. Inoltre la carenza di riflessione in queste teorie ha avuto forti conseguenze sulla letteratura, privandola spesso della facoltà di comprendere il perché certe tecniche suggerite non hanno avuto gli effetti sperati.28
Le teorie critiche per contro sono di tipo “riflessivo”. Questo approccio presuppone che il modo in cui le OP sono concepite e costruite, le loro funzioni e le procedure e il modo in cui le OP sono percepite dai destinatari locali e dalla Comunità Internazionale sono formati dalla percezione (soggettiva) delle persone. Alcuni oppositori all´approccio dei critici li accusano di suggerire che una prospettiva sia buona quanto le altre. Per contro essi ribattono semplicemente che non esiste un “criterio indipendente” perché si possa giudicare tra prospettive differenti. In parole più semplici, il rapporto tra l´agente intervenente, il destinatario/obbiettivo e la portata temporale delle OP non sono evidenti, ma vanno costruiti in un particolare modo, in funzione del perseguimento di un particolare proposito. Pertanto vi è la necessità di esporre e problematizzare le idee e i principi che sono alla base delle strategie dominanti nelle OP, così come la necessità di riconoscere il fatto che
28 Paris Roland, ‘Broadening the Study of Peace Operations’, International Studies Review, Vol. 2, No. 3, 2000, p. 30 in
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queste sono modulate in modo analogo da percezioni, identità e interessi di coloro che le compongono.
Ad oggi molti lavori critici sulle OP sono andati ad esporre le ideologie che sottintendono le percezioni dominanti. Studiosi come Richmond, Duffield e Paris29 hanno sottolineato il fatto che “rispondendo a problemi obbiettivi”, le OP sono orientate verso il mantenimento e la riproduzione di un determinato ordine mondiale di stampo liberale. Richmond infatti sostiene che le OP siano divisibili in gruppi generazionali secondo la logica politica che le sottende. La prima generazione è stata caratterizzata dalla logica della sicurezza collettiva e della nozione di “diplomazia preventiva” di Hammarskjöld, finalizzata principalmente al mantenimento e alla riproduzione dello Stato nazionale di tipo Westfhaliano, tramite la ricerca di nuovi accorgimenti costituzionali per gli Stati (questo vale in particolare nel contesto della decolonizzazione) e facilitando la risoluzione dei conflitti interstatali. La seconda generazione di OP ha spostato il centro principale d´indagine dall´ottica Stato-centrica verso un´ottica che ha privilegiato il trattare i conflitti tra gruppi di individui. Il principale ispiratore di quest´approccio è stato Johan Galtung. Tuttavia secondo Richmond entrambe le generazioni tendono a sostenere e a riprodurre le stesse strutture socio- politiche esistenti (Bellamy 2004, 31).30
Paris e Duffield hanno focalizzato l´attenzione sulla comprensione delle strutture che determinano le OP e di cui esse sono costituite. In particolare Duffield sostiene che dal 1990 è nato il “nuovo paradigma dell´aiuto”, emerso dall´unione del concetto di sicurezza e quello dello sviluppo, entrambi riferibili ad una logica liberale.31 Questa convergenza è piuttosto evidente nella crescita di interessi di Organizzazioni Internazionali come FMI, BM, EU, USAID, AUSAID e la simultanea crescita di preoccupazione mondiale per una maggiore democratizzazione e sviluppo, tra gli Operatori dell´ONU, organizzazioni militari come la NATO e gli Stati. Il nuovo paradigma dell´aiuto si fonda sulla convinzione che la pace e la sicurezza duraturi si possano ottenere solo grazie all´introduzione delle istituzioni e delle norme liberal-democratiche e di istituzioni economiche neo-liberali. In questo senso l´approccio “neutrale” alle operazioni umanitarie è stato rimpiazzato da una tipologia di aiuto basata su obbiettivi liberali; e l´uso moderato della forza dei PKs è stato ridimensionato dall´ingresso di un nuovo “umanitarismo militare” che cerca di imporre
29 Richmond Oliver, ‘A Genealogy of Peacemaking: The Creation and Re-Creation of Order’, Alternatives, Vol. 26, No.
3, 2001, p. 317-48; Paris Roland, ‘International Peacebuilding and the “Mission Civilisatrice”’, Review of International
Studies, Vol.28, No.4, 2002, p.637-56; Duffield Mark, Global Governance and the New Wars: The Merging of Development and Security, London: Zed Books, 2001, p. 16in Bellamy 2004, .31 op. cit.
30
Richmond Oliver, ‘A Genealogy of Peacemaking: The Creation and Re-Creation of Order’, Alternatives, Vol. 26, No. 3, 2001, p. 326 in Bellamy, 2004, .31.
31 Duffield Mark, ‘NGO Relief in War Zones: Towards an Analysis of the New Aid Paradigm’, Third World Quarterly,
78 la democrazia liberale tramite l´uso della forza militare.
Paris concorda sul fatto che ci sia stata una sostanziale scarsità di attenzione agli aspetti ideologici che stanno alla base delle OP e sostiene inoltre che “senza eccezioni, tutte le operazioni di Peacebuilding dopo la Guerra Fredda hanno tentato di trapiantare i valori e le istituzioni della democrazia liberale negli affari dei paesi soggetti a tali operazioni”. 32
Sempre in questa direzione Clapham sostiene che le OP del dopo 89` hanno sempre privilegiato la creazione di ordinamenti costituzionali liberali, la cui introduzione è stata spesso oggetto di forte contestazione.
L´approccio critico a differenza di quello oggettivista che non riesce a spiegare i fattori esogeni alle OP, dimostra che le strutture delle OP riproducono un particolare modello di ordine mondiale. Spinte perciò dal comprendere fattori esogeni alle OP, le teorie critiche dovranno portarsi ad uno stadio successivo nella ricerca dell´impatto che l´impianto liberale ha sulla società di riferimento. Clapham e Paris hanno portato l´indagine in questa direzione, sostenendo che le inclinazioni liberiste delle operazioni di Peacemaking (in Rwanda) e Peacebuilding (in Centro America) abbiano non solo fatto fallire tali missioni rispetto al loro scopo, ma addirittura potrebbero aver creato le condizioni per lo sviluppo di ulteriori violenze.33
Secondo Richmond la terza generazione di OP si focalizza sull´approccio multi-livello e multi-dimensionale, finalizzato a trasformare le situazioni conflittuali principalmente tramite le forme locali di conoscenza. Tuttavia Richmond insiste sul fatto che anche un approccio per porre fine al conflitto violento basato su definizioni “reciprocamente accettabili” della pace e dell'ordine crea il pericolo di sostituire un discorso totalizzante (imposto secondo la preconcezione liberale) con un altro che potrebbe risultare egemonico. Nella sua visione Richmond vede il liberalismo, come altre ideologie, come un esempio di “esportatore di ordine, tramite un sistema di valori ed un modello economico, politico, sociale, culturale e normativo in grado di plasmare lo sviluppo delle OP”.34
Bellamy pone pertanto la domanda di come sia possibile evitare che gli approcci di tipo critico sostituiscano una premessa ideologica con un´altra, tenendo sempre presente l'affermazione che il mondo sociale sia costruito piuttosto che dato. Nel cercare di rispondere a tale quesito l´autore utilizza un approccio “solidarista pragmatico”. Secondo questo approccio, se le OP possono essere concepite solamente tramite particolari prospettive, sarà necessario assumere una posizione
32 Paris Roland, ‘International Peacebuilding and the “Mission Civilisatrice”’, Review of International Studies, Vol. 28,
No. 4, 2002, p. 637-8.
33
Clapham Christopher, ‘Rwanda’ and Roland Paris, ‘Peacebuilding in Central America: Reproducing the Sources of Conflict?’, International Peacekeeping, Vol. 9, No. 4, 2002, p. 39-68.
34 Richmond Oliver ‘A Genealogy of Peace-making: The Creation and Re-Creation of Order’, Alternatives, Vol. 26, No.
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critica sulle nostre prospettive percettive personali. L´autore cita il pragmatico Richard Rorty, secondo il quale la “buona conoscenza” è tutto ciò che viene considerato utile all´interno di una particolare società.35 Pertanto la conoscenza è costruita all´interno di ogni società e non esiste un criterio di valutazione indipendente tra le conoscenze diffuse nelle diverse comunità. E` necessario in particolare tenere conto del fatto che la “buona conoscenza” sul miglior modo di condurre le OP è determinata dal nostro punto di vista di che cosa si possa ritenere utile.
L´approccio pragmatista tra l’altro cerca di evitare discussioni totalizzanti, suggerendo di utilizzare tre tecniche metodologiche alternative nello studio delle OP. La prima riguarda un forma di “etica dialogica”, che permetta agli attori di confrontarsi apertamente e ricercare il consenso su ciò che costituisce “buona pratica”. La seconda richiama il principio di “inclusività”: il dialogo deve includere tutti gli attori interessati, e le diverse prospettive vanno necessariamente valutate in base al peso dei loro contenuti, piuttosto che al peso dei poteri materiali o ideali che vi stanno dietro. Terza è la accettazione della “fallibilità”: gli studiosi e i praticanti delle OP devono riconoscere che talvolta le loro convinzioni possono risultare fallaci e pertanto necessitano di un´apertura ad ulteriori revisioni sulla base delle prime due tecniche.
Bellamy conclude che tramite la tecnica pragmatica le teorie critiche, da parte loro, riescono ad uscire dai pericoli di un´ottica discorsiva totalizzante e possono in questo modo aprire importanti quesiti sulle pratiche contemporanee dominanti e articolare le possibili alternative.
35 Questa linea argomentativa viene dettagliatamente discussa dall´autore in Alex J. Bellamy, ‘Pragmatic Solidarism
and the Dilemmas of Humanitarian Intervention’, Millennium: Journal of International Studies, Vol. 31, No. 3, 2002,
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