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Teorie Strumentali e teorie Normative.

CAPITOLO PRIMO

1.6 L´approccio emergente nello studio delle Operazioni di Pace.

1.7.1 Teorie Strumentali e teorie Normative.

La maggior parte dei lavori teorici e concettuali di tipo strumentale sulle operazioni di pace si sforza di migliorare l'utilità di tali operazioni, identificando le loro caratteristiche principali, valutando come i loro principi guida possano essere adattati a soddisfare meglio particolari circostanze e considerando come essi possano contribuire ad un più ampio processo di risoluzione dei conflitti. Questi approcci strumentali sono basati su importanti presupposti normativi che vengono lasciati inesplorati e anche poco esplicitati. Presupposti come le politiche della pace e la sicurezza mondiale, la guerra come demolizione delle normali relazioni sociali, la democratizzazione e il buon governo, l’economia neo-liberale e la società civile attiva ed organizzata costituiscono una previa impostazione normativa nascosta tipica della politica liberale, che tende a rappresentarli come valori liberi.21

L´approccio strumentale è emerso negli anni ´90 in seguito alla proliferazione delle OP e ha avuto una diffusione esponenziale in letteratura, con attenzione all´identificazione dei tipi di intervento, delle caratteristiche, dei concetti e degli strumenti disponibili agli Operatori e altri aspetti legati alle funzioni delle OP. In generale questi approcci hanno portato gli studi a costruire tassonomie che rispondessero alle esigenze di classificazione delle OP e ai ruoli ricoperti. Tuttavia Bellamy (2004, 21) sostiene che, per quanto le tassonomie siano importanti per comprendere cosa le

20 Bellamy prende l´idea del “prossimo stadio nella teoria delle OP” dal saggio di Andrew Linklater: ‘The Question of

the Next Stage in International Relations Theory: A Critical-Theoretical Point of View’, Millennium: Journal of

International Studies, Vol.21, No.1, 1992.

21 Per una visione più dettagliata sull’impatto dell‘ideologia liberale nell’approccio strumentalista si veda Paris Roland,

International Peacebuilding and the “Mission Civilisatrice”, Review of International Studies, Vol.28, 2002, No.4 in Bellamy 2004 op cit.

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OP facciano e per pensare strumentalmente a come migliorarle, esse hanno trascurato quasi totalmente gli aspetti legati al ruolo delle OP nella politica mondiale, al come esse siano concepite dagli attori in diverso modo e a quale logica si leghino. L´autore pone come esempio il fatto che, mantenendo e riproducendo un particolare ordine mondiale, gli Stati membri delle NU sono parzialmente responsabili del creare quei problemi che vorrebbero provare a risolvere.

Nel cercare di superare questo limite Bellamy, Williams e Griffin identificano, come già detto in precedenza, cinque ampie tipologie di operazioni secondo il ruolo da loro ricoperto nella politica mondiale, piuttosto che secondo le funzioni che esse devono soddisfare.

Mantenimento tradizionale della Pace: operazioni tese a creare uno spazio per una soluzione politica delle controversie tra gli Stati.

Gestione della Transizione: operazioni di assistenza nella realizzazione della soluzione politica concordata dalle parti in conflitto.

Rafforzamento della Pace: operazioni che impongono la volontà del CS tramite azioni militari, economiche e diplomatiche.

Ampio Mantenimento della Pace: operazioni con lo scopo di compiere molti compiti a partire da quelli umanitari in contesti di violenza o instabilità.

Operazioni in sostegno della Pace: operazioni di supporto alla realizzazione della democrazia liberale in società lacerate dalla guerra. Esse sono multiruolo e hanno componenti civili e militari con definizioni flessibili di consenso, imparzialità, uso minimo della forza.22

Questa identificazione delle OP apre il dibattito su due punti fondamentali che si dovrebbero sempre tenere a mente. Il primo riguarda la discordanza nella comunità internazionale riguardo

alla finalità politica delle OP. Alcuni Stati e Organizzazioni Internazionali sono orientate alla

costruzione della Pace tramite lo sviluppo di una società liberal-democratica; altri vedono le OP solo come facilitazione alla risoluzione delle controversie tra Stati. Conseguentemente alla mancanza di accordo sul ruolo delle OP, non vi è accordo neppure nei criteri di valutazione

riguardo il successo o il fallimento delle OP, poiché essi vengono stimati diversamente dagli attori,

in base al ruolo politico che essi attribuiscono alle operazioni.

Un modo di teorizzare le OP è quello di considerarle come particolari attività di risoluzione dei conflitti e quindi necessariamente riferibili alla letteratura in materia; il che permette di pensarle

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con una loro miglior efficienza ed effettività nel costruire la pace. Fetherston (2000) ad esempio sostiene che le pratiche delle OP devono essere basate su quel piano teorico che includa sia gli strumenti disponibili di intervento sia i fini desiderati. Questo approccio permette di colmare la distanza che divide le azioni che gli Operatori intraprendono per essere risolutori del conflitto e i ruoli di mediazione e di forza di interposizione militare che vengono loro assegnati. Secondo l´autrice, l´applicazione di tale approccio alle OP può migliorare notevolmente la loro competenza nella risoluzione dei conflitti. Stephen Ryan argomenta che l´identificazione dei diversi stadi del conflitto secondo la concezione teorica della risoluzione del conflitto può determinare le misure più appropriate per l´intervento di Pace (Bellamy 2004, 22-3).

Da una prospettiva “da teoria critica” si possono individuare tre problemi chiave di questo approccio:

- Primo, come nelle altre teorie strumentaliste, il legare teoricamente le OP e la conflict

resolution si fonda di solito su assunti poco chiari di come venga percepita la relazione

tra pace e guerra dagli attori del conflitto e il ruolo di imparzialità della terza parte. - Secondo, la tendenza a vedere le OP come un evidente punto di partenza, piuttosto che

indagare sui processi e sulle strutture della politica internazionale che influenzano il modo di come esse vengano percepite e il peso che viene loro attribuito.

- Ultimo, si tiene poco conto degli aspetti politici di quando e come intervenire, come pure di quali obbiettivi si debbano raggiungere.

La mancanza di accordo riguardo agli obbiettivi e il ruolo delle OP le priva delle basi per una valutazione condivisa; infatti, chiarire il come e il perché di un intervento (basandosi sulle proprie valutazioni soggettive) per alcuni attori potrebbe essere chiaro, ma potrebbe esse rifiutato da altri. Per esempio: l´imposizione di tecniche “occidentali” nella risoluzione dei conflitti in contesti in cui esistono pratiche spesso molto diverse.

L´approccio strumentalista delle teorie di tipo “problem-solving” si basa su una serie di assunzioni sulla natura umana, la politica globale e il ruolo delle OP, che equivalgono a prendere il mondo così come esse lo trovano. Sulla base di questi assunti, l´approccio strumentale si concentra sull´identificazione e sulla classificazione delle attività funzionali alle OP, proponendo soluzioni pratiche ai problemi con cui esse si confrontano. Tuttavia come già detto lo strumentalismo costituisce un limite al teorizzazione sulle OP perché presenta solo una visione parziale della realtà e non si domanda quali siano i propri fondamenti normativi e ideologici.

Bellamy puntualizza che una parte della letteratura delle Relazioni Internazionali sulle OP e sull´intervento umanitario adotta un approccio maggiormente normativo, il quale è suggerito dall´alto grado di astrazione nel quale queste teorie operano. Tuttavia esse non possono essere

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considerate di tipo “critico” per il fatto che, come per l´approccio di tipo “problem-solving”, prendono il mondo come lo trovano.

Secondo la scuola dei realisti gli Stati non possono agire in maniera imparziale nei conflitti perché sono portatori diretti di interessi nazionali e quindi gli interessi che perseguono ne condizionano la loro partecipazione alle OP. Inoltre gli Stati non debbono impegnare molte risorse e personale alle OP rispetto alla sicurezza nazionale (Bellamy 2004, 24).

Realisti come Kissinger e Mandelbaum vedono un intervento umanitario e di PK da parte degli USA come pericolosa follia. In primo luogo perché nessun capo di Stato responsabile dovrebbe mai utilizzare i propri soldati per ragioni non legate alla sicurezza nazionale. In secondo luogo perché il coinvolgimento in tali operazioni rischierebbe di mettere sotto eccessiva pressione l´Esercito, rendendolo meno capace di svolgere le proprie mansioni tipiche di guerra. Altri realisti sostengono la tesi che le OP prolungano l’instabilità internazionale perché prevengono quello che è il “naturale” riordino e riequilibro delle forze che avverrebbe da sé tramite la guerra. Eduard Luttwak sostiene che la vittoria di una parte in una guerra fornisce le basi perché si crei un ordine stabile dopo la guerra; con l´intervento di PK invece raramente si sono avute delle vittorie compiute.23

Tre sono le critiche chiave alle tesi realiste:

- Per i realisti le azioni vengono giudicate in base ad oggettivi interessi nazionali degli attori. Tuttavia quest’idea è stata ampiamente smentita da più punti di vista.24

- Secondo l´idea occidentale e atlantista del ruolo assunto dall´apparato militare, la NATO e l’EUSDP hanno già identificato il ruolo del PK con una propria componente centrale di tipo militare. Se all`OP è assegnato un ruolo centrale all’intervento di tipo militare, ha poco senso sostenere che il PK può essere un ostacolo alle forze armate nel perseguire il propri scopi.

- Luttwak ha ragione sostenendo che gli aiuti possono talvolta prolungare la guerra, ma quest´osservazione non deve essere presa per valida in generale. I conflitti più lunghi si svolgono spesso in regioni in cui non vi è stato un intervento internazionale o dove esso è stato minimo in termini di mandato e di fondi (Africa sub-Sahariana).

23 Si veda Michael Mandelbaum, ‘Foreign Policy as Social Work’, Foreign Affairs, Vol. 75, No. 1, 1996, pp. 16–32;

Henry Kissinger, ‘Humanitarian Intervention has its Hazards’, International Herald Tribune, 14 Dec. 1992; Edward Luttwak, ‘GiveWar a Chance’, Foreign Affairs, Vol. 78, No. 4, 1999, pp. 36–45 in Bellamy 2004, 24 op. cit.

24 Alexander Wendt, Social Theory of International Politics, Cambridge: Cambridge University Press, 1999, e Martha

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Per contro le teorie critiche tendono a rifiutare l’atteggiamento strumentalista in favore di una maggiore ricerca normativa; per questo motivo l´impianto normativo delle teorie critiche risulta maggiormente sviluppato, specie attraverso un più ampio inquadramento del concetto di “sicurezza umana”. Caroline Thomas (1999) ha fornito un approccio a questo concetto tale da porre la priorità nella sicurezza dell´individuo; la quale è raggiungibile attraverso la realizzazione delle necessità materiali di base.25 Il rapporto ha quindi identificato diverse cause di insicurezza umana, le principali sono: economica, alimentare, sanitaria e ambientale.

Per Jurgen Habermas, le OP e il potenziamento dei diritti umani, sono “un´istanza di promozione dell´emancipazione umana”, promossa dal progredire delle leggi mondiali, cioè delle leggi internazionali fondate sulla Dichiarazione universale dei diritti umani. Verso tali fondamenti oggi, la comunità internazionale mostra di avere grosse lacune (a causa del persistere della sovranità tradizionale degli Stati) nel perseguimento del quadro istituzionale necessario a garantirne il rispetto. Di conseguenza, le operazioni di pace aventi come scopo il perseguimento dei diritti umani fondamentali vengono talvolta “costrette ad una mera attesa di quella futura condizione cosmopolita che cercano di promuovere”.26

Ciò pone le OP di pace al confine che separa legge internazionale concordata dagli Stati e moralità posta a salvaguardia della persona umana, in un mondo dove da un lato c´è già un corpo di leggi e regole internazionalmente accettate, anche in riferimento alla sicurezza umana, mentre dall´altro il diritto internazionale, concordato nel passato dagli Stati, continua a contemplare il primato della sovranità nazionale e dell´integrità territoriale al di sopra della sicurezza umana per cui sono costrette ad una mera anticipazione di una futura condizioni cosmopolita

L´idea che la Comunità internazionale si debba muovere per sradicare l´insicurezza umana riflette il concetto chiave delle teorie critiche che si basano sulla filosofia politica della “scuola di Francoforte” (della quale l’esponente il più conosciuto è Habermans), e la variante degli Studi sulla Sicurezza Critica conosciuti come la “scuola Gallese” (basata sui lavori di Ken Booth e Richard Wyn-Jones). Entrambe le scuole condividono l´idea dell´ “emancipazione umana”, che per gli esponenti di questa seconda corrente, passa necessariamente attraverso la realizzazione della “sicurezza umana”. L´approccio che ne deriva risulta fortemente normativo, per cui la comunità internazionale deve creare le condizioni per l´emancipazione e lo sradicamento dell´insicurezza

25 Secondo lo “UN Human Development report 1994” la sicurezza umana è da intendere come, “sicurezza dalle

minacce croniche come la fame, la malattia e la repressione” e “la protezione da interruzioni improvvise e dannose nei modelli di vita quotidiana. United Nations Development Programme, Human Development Report 1994, New York: Oxford University Press, 1994, 23.

26 Habermas Jurgen (2000), ‘Bestiality and Humanity: A War on the Border between Law and Morality’, in William

Joseph Buckley (ed.), Kosovo: Contending Voices on Balkan Interventions, Grand Rapids, MICH: William B.

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umana. Bisogna però tenere a mente che perseguire questo fine è più che un punto d´arrivo; è piuttosto un processo, nel quale gli individui riformulano continuamente il loro specifico concetto ideale di benessere e sicurezza.

Tale modo di approcciarsi allo studio delle OP permette di trovare un punto stabile dal quale partire per affrontare la ricerca e la pratica in un´ottica di possibile riforma, permettendo all’analisi di domandarsi quanto le OP contribuiscano o meno al raggiungimento dell’emancipazione e della sicurezza umana. Per Bellamy, ciò che è chiaro, e che egli dimostra nella sua trattazione, è il fatto che non sempre il contributo che le OP danno all’emancipazione e sicurezza umana risulta evidente o addirittura risulta lo scopo primario di queste operazioni, come d'altronde l’approccio strumentalista suggerirebbe (bellamy 2004, 26).