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3. ANALISI DELLA NORMATIVA AMBIENTALE EUROPEA E

3.2. Il cammino verso il Protocollo di Kyoto

L’attenzione riservata ai temi legati all’ambiente ha subito profonde modifiche in tempi recenti. Fino a qualche decennio fa, infatti, la questione ambientale era considerata a sé stante e prescindeva da altre problematiche ad esso strettamente collegate, come quella energetica.

È durante il Summit delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972 che si è discusso per la prima volta sullo stato e sul futuro dell’ecosistema, senza però far particolare riferimento al discorso energetico. Il solo articolo 5 della Dichiarazione di Stoccolma recitava genericamente che le risorse non rinnovabili vanno protette dal futuro esaurimento e impiegate in modo equo per l’umanità.

Con il Summit della Terra di Rio di Janeiro del 1992, probabilmente il negoziato sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite di maggior successo, è stato introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, subito eletto a

obiettivo generale e condiviso. Ed è proprio in seno al Summit di Rio che è stata aperta per la sottoscrizione la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, diventata successivamente l’unica vera sede di fatto per le negoziazioni in tema ambientale ed energetico. L’obiettivo era quello di stabilizzare le concentrazioni dei gas serra in atmosfera ad un livello che impedisse un’interferenza antropica rischiosa con il sistema climatico.

Tale Convenzione, entrata in vigore nel 1994, nello svolgimento delle proprie competenze, si è ispirata a due principi fondamentali, proclamati durante il Summit di Rio: la responsabilità comune ma differenziata (Principio 7), secondo cui ciascuno Stato deve rispondere in maniera diversa alle sfide ambientali sulla base del grado di sviluppo raggiunto e della capacità di influire sulle condizioni climatiche ed ambientali del Pianeta, ed il principio di precauzione (Principio 15), secondo cui l’incertezza delle conoscenze e l’indisponibilità di dati tecnico-scientifici non può giustificare un non intervento di fronte ad un possibile rischio ambientale e per la salute umana. È stato stabilito, inoltre, che la Convenzione si riunisce con cadenza annuale nella Conferenza della Parti. È nella terza sessione che sono stati riconosciuti ufficialmente gli effetti delle attività di origine antropogenica sull’aumento dei gas aventi potere schermante sulla radiazione terrestre, ed è stata, di conseguenza, sancita la necessità di definire un accordo condiviso per il controllo delle emissioni. È stato, quindi, adottato l’11 dicembre 1997 il Protocollo di Kyoto91, entrato in vigore il 16 febbraio del 2005, a seguito della ratifica da parte della Russia92. Nel dettaglio, l’accordo sottoscritto a Kyoto impegna i 39 paesi indicati nell’allegato I, ossia i paesi industrializzati, dell’est Europa e la Russia, a ridurre, entro il periodo 2008-2012, le emissioni di sei gas serra elencati nell’allegato II del Protocollo93 di almeno il 5 per cento rispetto ai valori registrati nel 1990, entro il 2012. In particolare, per ciascun paese sottoscrittore è stata stabilita una quota parziale specifica di riduzione. Per l’Unione Europea nel suo complesso l’obiettivo fissato è dell’8 per cento, da distribuire tra i Paesi membri sulla base di un’intesa interna. L’accordo di Burden Sharing raggiunto nel 1998 ha provveduto a ciò ed ha stabilito per l’Italia una percentuale di riduzione pari al 6,5 per cento.

91 Esistono tre diverse modalità attraverso cui raggiungere un certo obiettivo ambientale: un sistema di riduzione di tipo unilaterale; uno schema di riduzione della tipo multilaterale, che coinvolge solo una parte, seppure ampia, delle economie mondiali; infine uno schema globale di riduzione delle emissioni inquinanti al quale tutti paesi sono chiamati a partecipare. Il Protocollo di Kyoto e la Direttiva 2003/87/CE ricadono nella seconda categoria.

92 L’adesione della Russia è stata essenziale per il raggiungimento delle condizioni necessarie a rendere operativo il Protocollo. Era stato stabilito, difatti, che il Trattato di Kyoto sarebbe entrato in vigore solo se ci fosse stata la ratifica da parte di almeno 55 paesi responsabili per il 55 per cento delle emissioni di CO2 equivalente complessivamente generate a livello mondiale.

93 Biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoro di zolfo.

In sintesi, il Protocollo di Kyoto ha:

¾ individuato degli obiettivi specifici di riduzione delle emissioni di sei gas serra;

¾ fissato una scadenza temporale per il loro raggiungimento;

¾ stabilito che gli stessi possano essere perseguiti attraverso misure interne (la riforestazione, la conversione degli impianti produttivi più inquinanti o anche la promozione delle fonti di energia rinnovabile) o attraverso tre meccanismi specifici, ossia la JI (art. 6), il CDM (art. 12) e, infine, l’ET (art.17).

Nel dettaglio la JI e il CDM altro non sono che progetti di riduzione su base volontaria realizzati dai paesi indicati nell’allegato I del Protocollo rispettivamente in Stati inclusi nell’allegato I e negli altri paesi in via di sviluppo non sottoposti agli obblighi di riduzione. La ratio economica è evidente: considerato che i costi di abbattimento delle emissioni inquinanti variano nelle diverse zone geografiche, ogni paese sarà libero di realizzare interventi di riduzione nel modo economicamente più vantaggioso. Alcuni stati potrebbero cioè trovare più conveniente intervenire in paesi terzi qualora i costi complessivi di una simile operazione siano inferiori a quelli che sarebbe necessario affrontare per realizzare progetti interni. Come noto, infatti, la forma della curva dei costi di abbattimento ci dice che il costo marginale di riduzione di unità inquinanti aggiuntive cresce in modo più che proporzionale. Considerato che, nei paesi in via di sviluppo, la protezione ambientale è pressoché nulla, alcuni tipi di intervento in loco potrebbero essere anche sensibilmente più convenienti rispetto ad azioni interne.

L’aspetto innovativo del Protocollo di Kyoto è evidente. Sotto il profilo economico, per la prima volta, tra gli altri, gli strumenti di mercato sono stati considerati uno dei mezzi per la riduzione delle emissioni inquinanti su scala mondiale.

L’entusiasmo ed il consenso ricevuto in sede di sottoscrizione è stato però fortemente placato dalla clamorosa mancata adesione degli Stati Uniti, già prospettata durante il Summit sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002. In quella sede, emersero numerosi punti di disaccordo, e l’opposizione da parte degli Stati Uniti su alcune questioni di primaria importanza, come l’individuazione di un target mondiale per la produzione di energia rinnovabile. In compenso, furono compiuti passi in avanti con riguardo ai temi energetici: la Dichiarazione di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile riconosce in via ufficiale il ruolo a sé stante dell’energia nei processi di sviluppo, definendola un bisogno dell’uomo al pari dell’acqua, dell’igiene, dell’abitazione, della cura, della salute, dell’alimentazione e della biodiversità.

Alla luce dei problemi e delle difficoltà incontrate finora, da più parti sono stati sollevati dubbi sulla validità del meccanismo cooperativo introdotto dal

Protocollo di Kyoto. In sostanza, se il consenso intorno al Trattato non sarà rafforzato, gli sforzi economici ed ambientali sostenuti dai paesi firmatari potrebbero essere completamente annullati dalle esternalità generate dai non aderenti.