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3. ANALISI DELLA NORMATIVA AMBIENTALE EUROPEA E

3.6. Conclusioni: problemi e criticità da affrontare in sede europea e

teoria economica

Dal quadro appena proposto sono emersi numerosi punti critici. Innanzitutto, il sistema europeo dei permessi di emissione sembra aver manifestato effetti dubbi sotto il profilo dell’efficacia e dell’efficienza.

È emerso in particolare che esso è stato affetto dai gravi problemi di asimmetria informativa a carico delle diverse autorità competenti, dai comportamenti assunti dai regolatori europei e, soprattutto, nazionali, dalla volontà di proteggere interessi particolari e dalle pressioni lobbystiche esercitate sui centri decisionali di vario livello. Inoltre, ritardi e lungaggini burocratiche, PNA varati nell’ottica di rendere il paese più competitivo con la chiara volontà di eludere le prescrizioni normative in materia, hanno reso lo schema europeo di ET estremamente debole.

Agli elementi citati se ne aggiungono degli altri, aventi una validità particolare se rapportati alla situazione italiana. Innanzitutto, il sistema europeo di ET è stato concepito per mercati con connotazioni prettamente

nazionali, scarsamente integrati ed in cui la concorrenza non si è ancora esplicata nonostante i processi di liberalizzazione e di privatizzazione degli ultimi anni. In secondo luogo, il sistema ET così come disegnato “accentua gli interessi contrapposti tra produttori elettrici e settori industriali soggetti alla Direttiva, che sono anche consumatori elettrici energivori. Il rischio…è che i secondi siano fortemente penalizzati”121.

D’altra parte, accanto a politiche europee poco appropriate, alla situazione italiana ha contribuito la sostanziale assenza di un quadro unitario di riferimento sui temi energetico-ambientali, che ha favorito il proliferare di iniziative su scala locale, spesso non coordinate e tra loro poco omogenee e l’atteggiamento di basso profilo tenuto dalle autorità competenti in materia. Più schematicamente, rispetto allo scenario europeo, sono state individuate 4 principali cause a spiegare le difficoltà incontrate durante la fase di implementazione del sistema europeo di ET:

¾ l’aver mantenuto obiettivi di riduzione eccessivamente virtuosi di fronte alla mancata adesione al Protocollo di Kyoto degli Stati Uniti; ¾ un sistema di regole imperfetto ed incompleto;

¾ l’aver concesso ai singoli Stati membri la possibilità di stabilire in modo autonomo un cap di riduzione;

¾ come conseguenza del punto precedente, i comportamenti opportunistici assunti dagli Stati membri e la sostanziale incapacità degli stessi di redigere PNA commisurati alle reali possibilità di intervento, risultato delle asimmetrie informative e dei comportamenti di free riding.

Dall’analisi della situazione sul fronte nazionale, sono emerse motivazioni più specifiche a giustificazione dei deludenti risultati finora conseguiti dal nostro Paese. Queste sono sostanzialmente 5:

¾ l’atteggiamento ostile e miope delle autorità governative, mosse dalla volontà di proteggere la competitività del tessuto produttivo nazionale, e del mondo imprenditoriale, guidato dal timore di vedere compromessi profitti e quote di mercato;

¾ l’assenza di un quadro di riferimento unitario in materia energetico-ambientale o, comunque, di una posizione strategica chiara, coerente e, soprattutto, condivisa sul tema;

¾ l’incapacità di favorire la nascita di un mercato per le tecnologie verdi; ¾ la debole posizione contrattuale dell’Italia nel contesto europeo;

¾ PNA troppo generosi e non adeguati agli obiettivi di Kyoto;

Alla luce di tutto ciò, si ha la netta sensazione che il sistema europeo dei permessi di emissione, per quanto iniziativa sicuramente meritevole e probabilmente necessaria, sia stato concepito più come l’unica alternativa praticabile in quel preciso momento storico, come una sorta di imposizione dettata dagli eventi e dalle circostanze.

Gli impegni di riduzione individuati a Kyoto, le informazioni diffuse dal mondo scientifico sugli ormai inequivocabili cambiamenti climatici, la necessità di porvi rimedio quanto prima, le pressioni esercitate dall’opinione pubblica, sono tutti elementi che hanno indotto le autorità europee a varare un progetto ambientale, per certi versi frettoloso.

Prendere coscienza delle motivazioni alla base di questo evidente, seppur da più parti rinnegato, malfunzionamento del sistema europeo di ET ed individuare così nuove strategie di azione e nuovi obiettivi per il post-2012, condivisi e alla portata dei singoli Stati membri, è un passaggio dal quale non ci si può sottrarre.

Ovviamente, qualsiasi revisione deve essere condotta senza dimenticare le esigenze legate alla competitività. Ciò significa, in altri termini, che qualunque politica ambientale si intenda adottare, gli obiettivi individuati devono essere commisurati, come già ricordato, alle possibilità di intervento nel breve, medio e lungo termine.

Tuttavia, per la fase post-Kyoto sembrerebbe che l’Unione Europea si sia mossa, forse in modo troppo avventato, verso un netto rafforzamento dei contenuti del Protocollo, molto probabilmente nella prospettiva di anticipare quelli che sarebbero stati i contenuti della conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, avuta luogo a Bali nel dicembre 2007. Tuttavia, l’accordo vincolante del 20 da una certa prospettiva appare non pienamente condivisibile. Far gravare nuovi e ambiziosi impegni di riduzione, in modo unilaterale e nel breve termine, su stati che non riusciranno nemmeno a perseguire gli obiettivi del 2012 non sembra una scelta molto convincente. Per quanto l’accordo abbia una forte valenza politica, sarebbe stato necessario tentare di valutare con maggiore obiettività le potenzialità di riduzione a disposizione dell’UE e dei suoi Stati membri.

Tuttavia, a fronte del messaggio lanciato dall’Unione, l’Italia dovrebbe dare una risposta concreta da subito, anche se commisurata alle sue possibilità di intervento. Abbandonare l’atteggiamento attendista assunto negli ultimi anni e farsi promotrice di una propria strategia di intervento sui temi energetico-ambientali, che favorisca l’innovazione e la crescita economica, appare un passo assolutamente necessario. Mantenere un atteggiamento di basso profilo è una scelta fallimentare in partenza. Inoltre, almeno nel brevissimo termine, l’Italia dovrebbe costituirsi parte attiva e credibile nel dibattito in corso per la fase post-Kyoto.

In conclusione, solo attraverso programmi altamente condivisi e adeguati alle reali possibilità di intervento di ciascuno stato si potrà sostenere con successo la causa ambientale e permettere al sistema europeo dei permessi di emissione di funzionare correttamente. Il percorso intrapreso sul fronte internazionale, europeo e nazionale sembra muoversi, però, nella direzione opposta.

4. I COSTI ED I BENEFICI DEL SISTEMA EUROPEO DEI