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1. I LEGAMI TRA REGOLAZIONE AMBIENTALE E COMPETITIVITÁ

1.4. La letteratura sulle relazioni tra vincoli ambientali e

1.4.1. L’ipotesi di Porter

Porter è stato il primo autore a rompere la visione neoclassica del rapporto tra regolazione ambientale e competitività. Egli ha introdotto una nuova variabile negli schemi teorici più tradizionali, ossia l’innovazione tecnologica.

Più nel dettaglio, Porter ritiene che in una situazione in cui le imprese operano sulla base della minimizzazione dei costi e in un mondo statico, la regolazione ambientale comporta inevitabilmente oneri aggiuntivi. Se, invece, si assume un contesto dinamico, la tecnologia corre in aiuto: un quadro regolatorio adeguato è in grado di ridurre i costi ambientali in quanto spinge le imprese ad investire in nuove tecnologie più efficienti sotto il profilo economico ed ambientale, rendendole più competitive.

In altri termini, il problema ambientale ed i vincoli regolatori in materia potrebbero fornire alle imprese un incentivo all’innovazione che consentirebbe non solo una riduzione delle emissioni inquinanti nel caso specifico, ma anche un aumento di produttività che nel medio-lungo termine consentirebbe un recupero degli investimenti, una crescita dei profitti e, di conseguenza, un rafforzamento della posizione competitiva.

Il ragionamento porteriano si fonda così sulla considerazione che, in un’economia globalizzata, la competitività non si esprime tanto nella disponibilità e nell’accessibilità delle risorse, quanto nella possibilità di utilizzare le stesse in maniera più razionale.

Porter e Van der Linde scrivono: “innovation addresses emvironmental impacts while simultaneously improving the affected product itself and/or related processes…in some cases these innovation offsets can exceed the costs of compliance” e “companies simply get smarter about how to deal with pollution”30.

Il produrre un bene più eco-sostenibile giustificherebbe inoltre un prezzo di vendita più elevato, che, come tale, meglio potrebbe remunerare gli investimenti realizzati. Infatti, in un’epoca in cui la cultura ambientale va rafforzandosi, i consumatori potrebbero essere disposti a pagare un prezzo

29 Wagner M. (2003), The Porter Hypotesis Revisited: a Literature Review of Theoretical Models and

Empirical Testes, paper del Centre for Sustainable Development.

30 Porter M., Van Der Linde C. (1995), Toward a new conception of the

aggiuntivo per l’acquisto di un bene a minor impatto ambientale, almeno nel breve periodo.

Si potrebbero aprire, inoltre, opportunità legate all’emergere di nuovi mercati, in particolare per la produzione di tecnologie verdi, che potrebbero fornire un contributo importante alla crescita di un paese. Ampliando il campo di azione delle imprese si creerebbe cioè una nuova spinta alla crescita. A conferma di ciò, in effetti, si pensi a quanto accaduto in Germania o in Giappone, all’avanguardia nella produzione di tecnologie environmentally-friendly.

Affinché questo processo dinamico possa dispiegare i suoi benefici si richiede però una condizione specifica: un quadro regolatorio certo, stringente e definito in modo da non ostacolare l’innovazione. Da ciò si deduce che l’ipotesi porteriana è basata in qualche modo sull’assunto di razionalità limitata: solo una regolazione puntuale e in grado di guidare le scelte delle imprese può favorire gli investimenti “verdi”31.

Più dettagliatamente, Porter sostiene che la regolazione ambientale è in grado di promuovere due diversi tipi di innovazione: quella legata allo sviluppo di nuove tecnologie e metodi produttivi volti, a titolo di mitigazione, a ridurre al minimo i costi ambientali una volta che i problemi legati all’inquinamento si presentino (riciclo degli scarti tossici di alcune produzioni ad esempio); quella che incide sui processi produttivi influendo ex ante sui fattori responsabili del degrado ambientale, a titolo di prevenzione (incremento della produttività dei fattori di produzione ad esempio). Sono però i secondi a dover essere oggetto di un interesse specifico. Infatti, l’autore ritiene che i costi ambientali ex-post, a lungo andare potrebbero divenire ben più consistenti di quelli che si dovrebbe sostenere a titolo di prevenzione.

Porter precisa poi che i costi associati ai processi regolatori, anche in materia ambientale, sono mediamente elevati, motivo per cui il quadro normativo non è sottoposto ad aggiustamenti su base continua. A causa di ciò, spesso le imprese sono portate ad effettuare i necessari investimenti nell’ottica di conformarsi alle prescrizioni normative piuttosto che nella prospettiva di migliorarsi sotto il profilo economico-ambientale (compliance rather than innovation). In aggiunta, le imprese effettuano frequentemente scelte non propriamente ottimali, vuoi per problemi informativi, vuoi per l’aver assunto comportamenti opportunistici o per aver adottato specifiche strategie di lobby. Riguardo a quest’ultimo punto, le pressioni esercitate dalle imprese sul regolatore rappresentano una delle cause primarie di interventi normativi

31 Greaker M. (2003), Strategic environmental policy; eco – dumping or green strategy?, in «Journal of Environmental Economics and Management», n. 45. Nell’articolo è dimostrato inoltre che una regolazione stringente è un presupposto irrinunciabile per favorire l’innovazione anche qualora le imprese fossero perfettamente razionali.

non adeguati: le azioni di lobby inibiscono la regolazione, rendendola a volte non efficiente.

Nuovamente Porter sostiene che un simile atteggiamento di così basso profilo è frutto di una visione statica del contesto in cui si opera. Le imprese spesso non sono in grado di cogliere le opportunità legate all’innovazione dinamica. A ciò si aggiunga la tendenza delle stesse a guardare alle problematiche ambientali come a fattori esogeni: di frequente le imprese richiedono la consulenza di soggetti esterni in materia energetico-ambientale. Come noto, un soggetto terzo dispone di un set informativo sicuramente più limitato rispetto ad un componente dell’organico aziendale, motivo per cui, non di rado, sono suggerite soluzioni volte all’adeguamento piuttosto che alla prevenzione. Se ne deduce nuovamente che una normativa appropriata potrebbe favorire un cambio di atteggiamento.

In sintesi, un quadro regolatorio certo e puntuale diviene strumento indispensabile per la gestione dei problemi ambientali per i seguenti motivi32:

¾ incentiva le imprese ad innovare. In assenza di regolazione le imprese non sono indotte a ridurre le proprie inefficienze sotto il profilo economico-ambientale. Questo perché spesso le conoscenze e la capacità di processare le informazioni disponibili sono limitate: le imprese non riescono sempre a percepire i vantaggi derivanti dall’innovazione;

¾ riduce le incertezze legate agli investimenti, ambientali in questo caso; ¾ migliora in tempi rapidi la qualità dell’ambiente;

¾ rafforza la cultura ambientale delle imprese e dei consumatori;

¾ evita che alcune realtà produttive possano guadagnare posizioni di vantaggio eludendo la normativa ambientale.

Alla luce di ciò, sorge un problema aggiuntivo: cosa si intende per regolazione stringente ed efficiente. A questo fine, Porter33 ne individua alcune proprietà e caratteristiche. Nel dettaglio, la regolazione dovrebbe:

¾ focalizzarsi sugli outcomes piuttosto che sulla tecnologia. L’individuazione di specifiche soluzioni tecnologiche (come le best avalaible technologies – BAT o il best available control technologies – BACT) è un deterrente all’innovazione, in quanto una volta adottate l’impresa potrebbe non avere ulteriori incentivi ad innovare. In altri termini,

32 Porter M., Van Der Linde C. (1995), Green and competitive, in «Harvard Business Review», settembre-ottobre e Porter M., Van Der Linde C. (1995), Toward a new conception of the

Environment-Competitiveness Relationship, in «The Journal of Economic Perspective», vol. 9, n.

4.

33 Porter M., Van Der Linde C. (1995), Green and competitive, in «Harvard Business Review», settembre-ottobre, pag. 124.

rispetto ad un certo obiettivo, all’impresa dovrebbe essere accordata comunque una certa libertà di movimento;

¾ incoraggiare soluzioni lungo l’intera filiera di produzione, agendo in modo tale che sia la stessa domanda, privata ma anche dei pubblici uffici, a richiedere beni ecosostenibili;

¾ individuare degli obiettivi specifici da raggiungere in modo graduale, ossia dei traguardi di breve da inserire in una strategia di lungo periodo;

¾ favorire l’impiego di strumenti di mercato, quali le tasse ambientali o i permessi di emissione;

¾ essere supportata da sistemi di responsabilità ambientale34;

¾ risultare quanto più vicina o poco più stringente rispetto alla normativa in materia in vigore negli altri paesi, nella prospettiva di evitare variazioni eccessive del quadro competitivo;

¾ rendere la disciplina di riferimento certa ed i meccanismi di revisione della stessa quanto più prevedibili. Solo in questo modo le imprese sono indotte ad innovare e a realizzare nuovi investimenti;

¾ coinvolgere le diverse categorie produttive nei processi decisionali. Questo per favorire la cooperazione ed un corretto scambio di informazione tra imprese e regolatore e ridurre così i problemi di asimmetria informativa;

¾ minimizzare i tempi e le risorse necessarie al processo regolatorio. Porter stesso e altri autori hanno presentato una serie di casi studio a supporto della propria tesi. Un esempio ricordato in diversi lavori è quello dell’industria dei fiori olandese. Durante i primi anni novanta, la coltivazione delle piante da fiore inquinava suolo e acque a causa dei pesticidi e delle altre sostanze a cui si ricorreva per favorirne la crescita. Con l’introduzione di una regolazione ambientale piuttosto severa in materia di impiego di prodotti chimici nelle attività di coltura, le imprese olandesi hanno sviluppato un sistema di produzione in cui i fiori vengono fatti crescere su di un suolo artificiale. I risultati sono stati: una drastica riduzione dei rischi di contaminazione e dei costi di produzione ed un parallelo miglioramento della qualità e della produttività delle colture e, di conseguenza, della posizione competitiva dell’industria olandese dei fiori. Altro esempio spesso ricordato è quello della Du Pont che, a seguito dell’introduzione di una normativa specifica sui rifiuti, ha effettuato interventi significativi per la minimizzazione degli scarti di produzione. Queste azioni hanno generato vantaggi consistenti sul piano competitivo.

34 Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Shavell S. (1993), The Optimal Structure of

Tuttavia, l’ipotesi porteriana è stata oggetto di diverse critiche. Nel prossimo paragrafo saranno sinteticamente argomentate quelle di maggior rilievo.

1.4.2 Le critiche all’ipotesi di Porter: la regolazione incide o ha effetti nulli