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3. ANALISI DELLA NORMATIVA AMBIENTALE EUROPEA E

3.4. Il quadro europeo

3.4.1. La Direttiva 2003/87/CE

La Direttiva 2003/87/CE nasce dall’esigenza di definire all’interno dell’UE un unico sistema di riduzione delle emissioni di gas serra per il raggiungimento degli impegni di riduzione accettati attraverso la ratifica del Protocollo di Kyoto. Lo scambio dei diritti di emissione è stato concepito come lo strumento di politica ambientale economicamente più efficiente ed in grado di incidere meno degli altri, come ad esempio gli strumenti di comando e controllo, sulle condizioni di concorrenza. Sotto questo punto di vista la direttiva si configura come un intervento a carattere innovativo in quanto rappresenta il primo vero tentativo di adozione di uno strumento di mercato su vasta scala.

Più nel dettaglio, la direttiva individua sei gas serra oggetto di riduzione, anche se stabilisce che durante il primo periodo di applicazione il sistema disciplinerà le sole emissioni di CO2. Una scelta del genere è stata giustificata dal fatto che queste rappresentavano all’epoca circa l’80 per cento delle emissioni totali e che i sistemi di rilevazione e controllo dei gas diversi dal

94 Il Libro Verde del 2000 prevedeva un meccanismo di scambio dei diritti di emissione all’interno della UE su base volontaria e partendo da un sistema di scambio già attivo all’interno di ciascuno Stato membro. Il Libro era fondato in altre parole sulla considerazione che un sistema di scambio comunitario potesse ridurre i costi ambientali di adempimento a carico di ciascun Paese e complessivamente per l’intera UE.

biossido di carbonio risultavano ancora troppo complessi. La direttiva ha limitato inoltre il suo campo di azione alle realtà industriali più energivore e, di conseguenza, responsabili di gran parte delle emissioni nocive, lasciando comunque ai singoli Stati la possibilità di estendere il campo di applicazione anche ad altri settori con capacità inferiori rispetto a quelle indicate dalla direttiva (a partire dal 2005) e ad attività non inizialmente comprese (a partire dal 2008), previa autorizzazione da parte della Commissione Europea. In particolare, i settori coinvolti, indicati nell’allegato I della direttiva, sono: le attività energetiche, ossia tutti gli impianti di combustione con potenza calorifera superiore ai 20 MW, compresi quelli per la produzione di energia elettrica ed esclusi gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani; le raffinerie di petrolio e le cokerie; le industrie produttrici di ferro e di alluminio e di altri materiali ferrosi; le industrie del cemento e della calce con forni rotativi la cui capacità di produzione è rispettivamente maggiore di 500t e di 50t al giorno; l’industria del vetro con capacità di fusione superiore a 20t al giorno e di prodotti ceramici con capacità di produzione di oltre 75t al giorno; infine l’industria della carta e del cartone a partire dal legno o con capacità di produzione superiore a 20t al giorno. A tali settori è collegato un numero di impianti responsabili per circa la metà delle emissioni inquinanti da CO2

mediamente generate in Europa ogni anno.

È evidente come siano stati tralasciati settori ad alto impatto ambientale, come quello dei trasporti, dell’industria chimica e dell’alluminio. La direttiva ha, però, previsto all’art. 30 comma 2 la possibilità da parte della Commissione Europea di proporre una variazione dei comparti sottoposti agli obblighi di riduzione. Proprio nell’autunno del 2006 la Commissione, attraverso la Comunicazione COM (2006) 676 del 13 novembre 2006, ha presentato una proposta di revisione della Direttiva ET, in cui è stata valutata questa ipotesi, senza menzionare però il settore dei trasporti.

In sostanza, il sistema introdotto può essere così sinteticamente descritto: ¾ è uno schema cosiddetto di cap and trade: sono le autorità

regolamentari, più precisamente i singoli Stati membri, a decidere la quota massima di emissioni consentita nel periodo di riferimento (cap) e a ripartirla per settori e per singoli impianti; le quote di emissione così distribuite possono essere scambiate su un apposito mercato creato ed istituito dalle autorità competenti, le quali sono comunque responsabili del suo corretto funzionamento. Uno schema così concepito, incentrato, cioè, sul contingentamento dei permessi di emissione, ha come primo obiettivo quello di favorire un aumento della domanda e dei prezzi delle quote di emissione. In questo modo, le imprese dovrebbero essere incentivate ad investire in tecnologie più pulite, anche se in realtà, come verrà messo in evidenza, la sovrabbondanza delle quote concesse da ciascuno Stato membro ha

determinato una drastica riduzione dei prezzi dei permessi di emissione, giunti al di sotto dell’euro per t/CO295;

¾ obbliga le imprese sottoposte alla direttiva a richiedere un’autorizzazione ad emettere emissioni inquinanti come condizione necessaria per lo svolgimento dell’attività produttiva. L’autorizzazione così concepita non è altro che il provvedimento che segna la nascita di un rapporto giuridico tra Pubblica Amministrazione e proprietario dell’impianto96;

¾ individua due periodi di applicazione, il 2005-2007 ed il 2008-2012, per ciascuno dei quali gli Stati membri hanno l’obbligo di redigere un PNA entro 18 mesi prima dell’inizio del periodo di riferimento. Un così largo anticipo nella stesura e nella consegna del Piano è legato all’esigenza di consentire alle imprese di conoscere ex ante il numero di quote assegnate, in modo tale da permettere loro di adattare le strategie aziendali al nuovo contesto. Il Piano deve essere poi sottoposto all’approvazione della Commissione Europea. Una suddivisione temporale di questo tipo è stata dettata dalla convinzione che il preparare l’Europa alla negoziazione dei permessi di emissione prima del periodo indicato dal Protocollo, ossia il 2008-2012, avrebbe consentito a ciascun Paese di prendere familiarità con il sistema e di operare, in seguito, con maggior successo;

¾ le quote di emissione sono assegnate a livello di impianto e a titolo gratuito, per una percentuale pari al 95 per cento nel primo periodo di riferimento ed al 90 nel secondo. Le quote residue possono essere distribuite adottando meccanismi diversi, anche di asta, la cui individuazione è lasciata alla discrezionalità dello Stato membro. La scelta di assegnare le quote a titolo gratuito è stata giustificata dalla necessità di armonizzazione le procedure e di evitare distorsioni sul piano concorrenziale, sollevando così le imprese obbligate da un onere iniziale aggiuntivo. La direttiva prevede, però, che a partire dal 2013 ogni singolo Stato possa decidere di assegnare le quote esclusivamente sulla base di meccanismi d’asta97;

95 Valore relativo ai prezzi spot al dicembre 2007. Il prezzo future al dicembre 2008 si assesta invece sui 20 €/tCO2.

96 Si è aperta una diatriba circa la natura dell’autorizzazione. Vi è incertezza cioè se quest’ultima corrisponda all’atto amministrativo necessario per la rimozione di un ostacolo all’esercizio di un diritto preesistente in capo all’impresa o sia riconducibile semplicemente ad un atto puramente concessorio, attraverso il quale la PA attribuisce alle imprese un diritto ex novo.

97 Con un documento del giugno 2006 (http://www.wwf.org.uk/filelibrary/pdf/EU_ETS_caps_0606.pdf), il WWF ha incoraggiato

l’impiego di meccanismi d’asta per la vendita dei permessi di emissione in quanto non solo potrebbe essere messo in pratica il principio sancito in sede europea secondo il quale “chi inquina paga”, ma gli introiti così ottenuti potrebbero essere impiegati per promuovere la diffusione di tecnologie verdi.

¾ le quote di emissione utilizzate ogni anno devono essere restituite alle autorità competenti, individuate da ciascun Paese, pena il pagamento di una sanzione pari a 40 euro per tonnellata di CO2 in eccesso per il primo periodo di riferimento e a 100 euro per l’arco temporale 2008-2012; i permessi di emissione risparmiati, invece, possono essere collocati sul mercato e venduti a quelle imprese meno virtuose, traendone un profitto. La direttiva stabilisce, inoltre, che anche altri soggetti, pubblici o privati, persone fisiche o giuridiche, sono ammesse a partecipare alle operazioni di acquisto e di vendita, qualora dispongano di un conto personale presso il registro delle emissioni. Se ne deduce che la contrattazione può aver luogo direttamente tra acquirente e venditore o per mezzo di piattaforme di scambio, denominate borse dei fumi, che svolgono funzioni di intermediazione98.

¾ per quanto concerne la registrazione degli scambi, gli Stati membri devono dotarsi di registri per la contabilizzazione delle operazioni di trasferimento delle quote. Tali registri sono tra loro collegati in via telematica ad un registro centrale, il Community Indipendent Transaction Log (CITL), istituito e disciplinato dal Regolamento 2004/2216/CE; ¾ in relazione ai nuovi entranti, sono gli stessi Stati membri ad avere

l’obbligo di indicare nei PNA le modalità di accesso dei nuovi impianti oggetto della direttiva;

¾ riguardo alle attività di monitoraggio e verifica, la direttiva dispone che la prima deve essere obbligatoriamente eseguita a livello di singolo impianto ai sensi della decisione della Commissione del 2004 inerente le linee guida per la realizzazione del sistema di ET. I dati così rilevati sono sottoposti alla verifica da parte di enti accreditati e poi comunicati alle autorità competenti;

¾ le azioni di riduzione già intraprese dai settori obbligati prima dell’emanazione della direttiva (early actions) devono essere prese in considerazione in sede di definizione dei PNA di ciascun Paese;

98 Le piattaforme di scambio più famose sono l’austriaca Exaa, la francese Powenext e la norvegese Nord Pool. In Italia la piattaforma è gestita dal Gestore del Mercato Elettrico. Generalmente chi partecipa alla piattaforma sono i soli soggetti obbligati dalla direttiva, in quanto l’adesione ha luogo a titolo oneroso. Anche gli enti locali, però, possono prendervi parte. A tal fine si ricorda come esempio la Legge regionale del Veneto n. 6 del 1 giugno 2006 “Interventi regionali per la promozione del Protocollo di Kyoto e della direttiva 2003/87/CE”, che ha disposto risorse finanziarie per la realizzazione da parte della stessa Regione, di progetti di JI e di CDM al fine di ottenere permessi di emissione da collocare sul mercato o anche direttamente a favore delle imprese regionali, attraverso appositi bandi.

¾ è possibile, infine, il collegamento con gli schemi proposti dagli altri paesi previo il raggiungimento di un accordo di mutuo riconoscimento.

Per quanto concerne la tempistica, il sistema è ufficialmente entrato in funzione il 1° gennaio 2005.