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4. I COSTI ED I BENEFICI DEL SISTEMA EUROPEO DEI PERMESSI DI

4.3. I costi dello strumento dei permessi di emissione…

I vincoli imposti dalla normativa ambientale in tema di emissioni inquinanti ha posto le imprese europee e nazionali di fronte ad una scelta strategica di tutto rilievo. Sono principalmente quattro i percorsi a disposizione. Nel dettaglio, l’impresa potrebbe:

¾ nell’ipotesi più estrema e non potendo sostenere oneri aggiuntivi, decidere di ridurre la produzione, almeno nel breve, e con essa le emissioni inquinanti, ponendosi così in una posizione di estrema inefficienza o, in alternativa, uscire dal mercato in una prospettiva di lungo periodo;

125 Nell’ambito del presente lavoro saranno considerate le sole emissioni indirette derivanti da consumi di energia elettrica prodotto all’esterno dell’impresa.

¾ avviare azioni di riduzione realizzando i necessari investimenti126; ¾ acquistare i permessi di emissione per far fronte agli obblighi di

riduzione, pagando per questi un certo prezzo che dipenderà dalle contrattazioni sul mercato dei titoli ad inquinare.

Trascurando la prima ipotesi, da ricondurre ad una situazione inefficiente in partenza, ogni impresa, in misura diversa a seconda delle caratteristiche della propria curva dei costi di abbattimento127, dovrà affrontare un impegno economico più o meno consistente per la realizzazione degli interventi per la riduzione delle emissioni inquinanti. La scelta di ricorrere al mercato dei permessi di emissione o di realizzare investimenti, dipenderà sia dal prezzo dei titoli ad inquinare, sia dall’entità dei costi di intervento e delle risorse potenzialmente a disposizione delle singole realtà produttive. Quest’ultimo punto assume un’importanza specifica: la frontiera tecnologica delle imprese non può essere spostata in modo significativo nel breve termine a meno di non avviare investimenti importanti e, quindi, impegnativi in termini di risorse, che non tutte le realtà produttive sono in grado di sopportare.

Emerge che, di fronte ad un certo prezzo dei titoli ad inquinare, la portata dello sforzo economico richiesto alle imprese, nel lungo e soprattutto nel breve periodo, potrebbe costituire causa primaria di una riduzione di competitività.

I costi ambientali di cui l’impresa deve tener conto possono essere distinti in due categorie:

¾ diretti o di conformità; ¾ indiretti.

Come già ricordato, i costi diretti derivano dagli effetti che le politiche ambientali generano direttamente a carico del settore, mentre i costi indiretti sono determinati da interventi regolatori in materia posti a carico dei comparti da cui una certa impresa o industria dipende.

Per quanto originati da fonti diverse, tali costi hanno ripercussioni sulla profittabilità delle imprese e delle industrie, sui prezzi di vendita, sulle dinamiche della domanda, sull’innovazione, sulla produttività e sulle diverse decisioni di investimento. Tali effetti dipenderanno in ampia parte:

126 Per attività di investimento si intendono le risorse impiegate per: interventi sui processi produttivi, progetti realizzati in paesi terzi secondo quanto previsto dalla Direttiva ET e la Direttiva “Linking” ed infine per le operazioni di delocalizzazione produttiva.

127 Tale curva in generale ha un andamento crescente: il costo di abbattimento delle emissioni è tanto più alto quanto più consistenti sono gli interventi di riduzione necessari. I costi di abbattimento inoltre crescono in maniera più che proporzionale all’aumentare del numero degli interventi da realizzare. Ciò significa che le imprese con una curva dei costi di abbattimento più inclinata dovranno sopportare costi più importanti.

¾ dai canali di finanziamento a disposizione dell’impresa (il mercato dei capitali, il margine di manovra sui prezzi e sul profitto e i possibili risparmi di costo ad esempio);

¾ dalla struttura e dalle caratteristiche dei mercati (elasticità della domanda rispetto a variazioni di prezzo o il grado di esposizione alla concorrenza internazionale).

Di questi costi l’impresa deve necessariamente tenere conto, per evitare di adottare strategie d’azione che potrebbero rivelarsi, in ultimo, economicamente sconvenienti. Saranno analizzati in dettaglio nei paragrafi che seguono.

4.3.1 I costi diretti o di conformità

Tra i costi diretti sono da includere i costi interni di abbattimento, ossia quelli necessari per progettare ed implementare nuova tecnologia più efficiente sotto il profilo ambientale, aggravati dai costi per l’acquisto di quote di emissione o scontati dei ricavi derivanti dalla cessione dei titoli ad inquinare. Formalizzando, nel caso in cui i permessi fossero assegnati a titolo gratuito128:

(4.1) CD = CIA + ppea Qpea - ppev Qpev

Dove:

CD = costi diretti

CIA = costi interni di abbattimento129

ppea = prezzo di acquisto dei permessi di emissione Qpea = quantità di permessi acquistata

ppev = prezzo di vendita dei permessi di emissione Qpev = quantità di permessi venduti

In particolare, sono i costi interni di abbattimento a mettere a rischio i profitti soprattutto nel breve termine. Questo perché l’impresa, supponendo che operi in maniera efficiente, dovrà spostare parte delle proprie risorse verso l’acquisto di tecnologie in grado di ridurre le emissioni inquinanti (ad esempio tecnologie end of pipe o sostituzione degli impianti esistenti con altri

128 Nel caso in cui l’assegnazione fosse a titolo oneroso nell’equazione deve essere aggiunto al membro di destra un addendo che indica appunto tale costo. Evidentemente in questa circostanza i costi diretti a carico delle imprese sarebbero più elevati.

129 In maniera estensiva tra i costi interni di abbattimento si fanno ricadere anche i costi per progetti di JI e CDM e gli eventuali costi sostenuti per delocalizzare le attività produttive.

più efficienti in termini energetici), ottenendo come primo immediato effetto una riduzione della produttività. È solo nel lungo periodo che i costi ambientali possono essere recuperati: l’innovazione tecnologica porterà ad un nuovo aumento della produttività e dunque dei margini di profitto. In realtà, questo processo non è sempre possibile in quanto, come già ricordato, l’impresa potrebbe avere difficoltà ad accedere al mercato del credito. Inoltre, se i costi di adeguamento alla normativa risultassero particolarmente elevati, l’impresa potrebbe trovare più conveniente servirsi delle risorse di cui dispone per eludere le prescrizioni ambientali, con l’effetto di compromettere ulteriormente l’efficacia dell’intero meccanismo dei permessi di emissione.

Generalmente, le imprese meno inquinanti o comunque in linea con gli obiettivi di riduzione assegnati, con costi di abbattimento e spesa energetica contenuti e, in ultimo, con possibilità di trasferire gli extra-oneri sui prezzi di vendita saranno venditori di quote. Al contrario, le imprese con emissioni più alte rispetto ai valori obiettivo, con un costo di abbattimento e una spesa energetica elevati, aperte alla concorrenza sui mercati esteri saranno acquirenti di quote.

Con riferimento alle altre componenti della funzione 4.1, i costi derivanti dall’acquisto dei permessi di emissione variano a seconda della quantità di titoli necessaria a coprire le emissioni residue e dal prezzo degli stessi, la cui determinazione è lasciata al mercato.

Analogamente, gli introiti conseguiti nel caso di vendita dei diritti ad inquinare dipendono anche in questo caso dalla quantità offerta e dal prezzo frutto delle contrattazioni. Nel caso estremo in cui l’impresa fosse particolarmente efficiente sotto il profilo energetico-ambientale e nell’ipotesi in cui i prezzi dei permessi di emissione fossero sufficientemente elevati, i costi diretti potrebbero avere addirittura segno negativo.

Alla luce di quanto messo in evidenza, risulta chiara la funzione svolta dal mercato ambientale e dal meccanismo incentivante dei prezzi dei permessi di emissione. Considerato il ruolo di primo piano occupato da questi ultimi appare di estremo interesse approfondirne alcuni aspetti.

4.3.2 Il prezzo della CO2

Il prezzo dei permessi di emissione rappresenta il perno sul quale ruota il meccanismo di ET. Infatti, almeno sul piano teorico, l’impresa sceglierà se intraprendere iniziative interne per la riduzione dei gas serra o acquistare i permessi di emissione sul mercato ambientale proprio sulla base del valore assunto da tale prezzo. Più nel dettaglio, se il costo marginale di abbattimento risulta maggiore rispetto al prezzo dei permessi ad inquinare l’impresa troverà conveniente far ricorso al mercato dei titoli ad inquinare. Al contrario, nell’ipotesi in cui tale prezzo fosse più elevato rispetto al costo

marginale di abbattimento, l’impresa sarà portata a realizzare investimenti interni. Analiticamente:

(4.2) ppea >CMAabb Æ l’impresa effettuerà interventi interni;

(4.3) ppea <CMAabb Æ l’impresa acquisterà titoli ad inquinare;

(4.4) ppea =CMAabb Æ per l’impresa sarà indifferente acquistare titoli o

operare interventi interni di riduzione.

Il prezzo dei permessi di emissione, come già ricordato, si forma sul mercato ambientale per effetto della domanda e dell’offerta. Più precisamente, esiste una serie di fattori che ne influenza la dimensione130:

¾ i vincoli di riduzione a carico di ciascuna realtà produttiva, che dipenderanno sia dall’ammontare di permessi assegnati sia dalle caratteristiche del settore di appartenenza;

¾ la possibilità di far ricorso ai meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto, il cui limite è stabilito dai PNA di ciascuno stato; ¾ i prezzi relativi dei combustibili impiegati nel processo produttivo; ¾ le condizioni climatiche, che segnano l’oscillazione dei prezzi dei

combustibili fossili e non convenzionali;

¾ le caratteristiche del quadro regolatorio esistente in materia di emissioni inquinanti;

¾ l’incertezza politica legata al futuro del Trattato di Kyoto e della Direttiva 2003/87/CE dopo il 2012, che si riflette in modo negativo sulle scelte di investimento delle imprese.

Sulla base di tali fattori è possibile individuare le motivazioni alla base dell’estrema volatilità conosciuta dai prezzi dei permessi di emissione dal 2005 ad oggi, che ha messo seriamente in discussione l’efficacia del sistema di ET.

Il grafico 4.1 mostra le quotazioni spot dei titoli ad inquinare dalla messa in funziona del sistema di ET all’aprile 2007. Nel dettaglio, per l’anno 2005 si osserva un’oscillazione dei prezzi compresa tra i 20 ed i 30 €/tCO2. Questo andamento è da attribuire alle incertezze che hanno caratterizzato la primissima fase di avvio del sistema: i PNA presentati in ritardo, sottoposti ad approvazione vincolata ad un qualche tipo di modifica o addirittura respinti, un mercato dei titoli ad inquinare ancora poco fluido, le difficoltà incontrate nel raccogliere le informazioni sulle emissioni storiche, sono tutti elementi che hanno influito pesantemente sulla dinamica dei prezzi dei titoli

ad inquinare. In altri termini, non si erano ancora manifestate le condizioni necessarie ai prezzi per esplicare le proprie funzioni.

Graf. 4.1 : il prezzo spot delle emissioni (€/tCO2) nel periodo aprile 2005 - aprile 2007

Fonte: AEEG, 2007

Con la diffusione, nel maggio del 2006, dei dati sulle emissioni effettivamente generate nell’anno 2005, che hanno sottolineato e confermato la generale sovrallocazione di diritti ad inquinare operata da gran parte degli stati europei, il prezzo dei titoli è letteralmente crollato da circa 30 a 10 €/tCO2.

Stessa situazione si è riproposta con la pubblicazione dei dati sulle emissioni effettive per il 2006: i prezzi spot hanno raggiunto addirittura gli 0,80 €/tCO2

il 3 aprile 2007.

Di fronte a quotazioni così basse, si è venuto a creare un clima di allarmismo generale. Nell’ipotesi in cui i prezzi si fossero assestati sotto l’euro il sistema avrebbe perso completamente la sua ragione di essere. Se il meccanismo di ET è fondato sui segnali inviati dai prezzi dei permessi di emissione, valori così bassi avrebbero condotto le imprese a proseguire sostanzialmente su uno scenario di business as usual: per qualsiasi ammontare di emissioni aggiuntive rispetto a quelle assegnate, il ricorso al mercato sarebbe stato particolarmente conveniente. Ciò fino a quando la domanda avrebbe assorbito le quote in eccesso, momento dopo il quale si sarebbero aperti due scenari alternativi, altrettanto problematici: un aumento improvviso dei prezzi dei titoli con conseguenze importanti sui sistemi produttivi o la

necessità di stabilire nei PNA per il secondo periodo un numero di quote di emissione almeno pari al piano precedente.

In realtà, tale allarmismo è stato mitigato dall’andamento dei prezzi future al dicembre 2008, che sebbene abbia subito un calo importante durante il secondo semestre 2006 raggiungendo un minimo di 15 €/tCO2 nel febbraio 2007 come messo in evidenza dal grafico 4.2, ha recentemente ripreso quota ad oltre 20 €/tCO2. In sostanza, è stato proprio l’andamento dei prezzi future a consentire un recupero di fiducia nei confronti dei meccanismi incentivanti promossi dal sistema ET: le prospettive di prezzo se mantenute sopra i 20 euro appaiono ragionevoli ed in grado di favorire gli investimenti.

Graf. 4.2: prezzi spot e future a confronto nel periodo settembre 2006- settembre 2007

0 5 10 15 20 25 30 35 se t-0 6 o tt-0 6 nov -06 di c -06 gen-07 fe b-07 m a r-0 7 apr -07 m a g-07 gi u-07 lu g -0 7 ago-07 se t-0 7

prezzi spot prezzi future dic 08

Fonte: Powernext (2007) Tendences carbones, bulletin mensuel du marché européen de CO2,

numero 18 octobre.

Al momento, il gap tra i prezzi spot e future è notevole, ma si deduce andrà riducendosi nell’immediato futuro, soprattutto non appena la totalità dei PNA per il secondo periodo di applicazione saranno approvati dalla Commissione Europea.

Alla luce di quanto si è verificato, monitorare in qualche modo il mercato dei permessi di emissione è un passo assolutamente necessario per assicurare il buon andamento del sistema di ET. Emerge, così, il ruolo che le autorità di controllo dovranno svolgere e l’impossibilità del mercato ambientale di svolgere le sue funzioni in modo del tutto autonomo.