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2. LA SCELTA DEGLI STRUMENTI DI POLITICA AMBIENTALE

2.5. Gli effetti diretti delle politiche ambientali

2.5.3. I permessi di emissione negoziabili

Dei permessi di emissione negoziabili si è cominciato a parlare più di 50 anni fa68, ma è solo negli ultimi anni che ha riscosso il favore nel mondo economico ed istituzionale69. Il sistema può essere applicato a diverse fonti di inquinamento, ma in questa sede sarà analizzato facendo riferimento al suo più ampio impiego, ossia alla riduzione dei gas serra in atmosfera.

I permessi di emissione uniscono i benefici della regolazione ambientale intesa come comando e controllo e quelli degli strumenti di mercato; questo è il motivo per il quale spesso vengono più propriamente definiti come uno strumento di quasi mercato piuttosto che di puro mercato.

Più precisamente, il sistema affida ai regolatori il compito di individuare un tetto massimo di emissioni ex-ante, il cosiddetto cap, da distribuire alle imprese sottoposte sotto forma di titoli ad inquinare. Sarà poi la libera contrattazione su un mercato appositamente creato a determinare il prezzo degli stessi. L’impresa in questo modo minimizzerà i costi ambientali: sulla base dei segnali di prezzo provenienti dal mercato ambientale, potrà scegliere se ridurre le emissioni inquinanti attraverso interventi interni o acquistare ulteriori permessi ad inquinare.

Ne deriva che lo strumento può svolgere le sue funzioni senza che sia strettamente necessario conoscere le curve del costo marginale di abbattimento di ciascuna impresa. L’unica informazione richiesta riguarda le emissioni inquinanti in capo a ciascun impianto produttivo, sulla base di cui

68 Crocker (1966), Dales (1968) e Montgomery (1974) sono stati coloro che per primi hanno definito le caratteristiche e le potenzialità di un sistema di scambio di permessi di emissione.

69 Negli Stati Uniti lo strumento dei permessi di emissione è stato impiegato ben prima della sottoscrizione del Protocollo di Kyoto. Si pensi all’emendamento al Clean Air Act del 1977 o al programma sulle piogge acide del 1990 per ridurre le emissioni di biossido di zolfo generato dagli impianti di produzione di energia elettrica.

viene deciso l’ammontare dei permessi da distribuire a ciascuna realtà produttiva. I problemi di asimmetria informativa vengono così ridotti, per quanto anche in sede di raccolta dei dati sulle emissioni nocive potrebbero sorgere problemi informativi non trascurabili: le imprese sono restie a fornire indicazioni che potrebbero giocare potenzialmente a loro svantaggio.

Inoltre, le autorità potrebbero non disporre degli strumenti più appropriati per esercitare le attività di monitoraggio e di controllo. Sotto certe condizioni, l’impresa potrebbe trovare più vantaggioso violare o eludere la normativa in materia piuttosto che conformarvisi. Questo perché nella realtà il sistema dei permessi ad inquinare non è self-enforcing; è necessario allora introdurre un qualche meccanismo sanzionatorio o di responsabilità ambientale70, per quanto questo implichi maggiori costi amministrativi, come già ricordato per le tasse ed il comando e controllo.

Alcuni autori71 hanno osservato come i permessi di emissione non favoriscano l’innovazione nella stessa misura delle tasse. Questo perché avendo le imprese la possibilità di minimizzare gli extra-costi ambientali attraverso la contrattazione dei titoli, hanno minori incentivi ad innovare. In realtà, la critica non ha trovato ampio consenso. Lo stimolo all’innovazione dipenderà dal prezzo dei permessi ad inquinare: tanto più è elevato quanto maggiore sarà l’incentivo. Evidentemente, nell’ipotesi in cui i prezzi dei titoli fossero particolarmente bassi tale incentivo verrebbe meno; un simile scenario non dovrebbe trovare spazio nell’ipotesi in cui il sistema fosse configurato correttamente. Lo strumento dei permessi di emissione ha inoltre una componente di business intrinseca, in quanto consente alle imprese più virtuose di vendere sul mercato ambientale i permessi assegnati e non utilizzati, ottenendo così un’entrata aggiuntiva. Alla luce di ciò, sembrerebbe che lo strumento dei diritti ad inquinare sia in grado di creare un incentivo più forte all’innovazione rispetto alle tasse.

È evidente il richiamo a quanto teorizzato da Coase72: la libera contrattazione, se alcune condizioni sono verificate, porta ad un’allocazione efficiente dei titoli ad inquinare.

In virtù della possibilità di scambio, rispetto a tasse e comando e controllo, il sistema dei permessi di emissione si distingue per una più elevata flessibilità e consente ai singoli operatori di raggiungere gli obiettivi fissati scegliendo le tecniche che più si confacciano alla realtà in cui operano. Il sistema sembra quindi efficace ed efficiente almeno sotto il profilo teorico.

Uno schema di questo tipo, per quanto associ i vantaggi che emergono dagli strumenti di comando e controllo e di mercato, è causa però di costi di

70 Meleo L. (2006), Environmental constraints and the development of transition economies: a law

and economics analysis, I Quaderni del Grif, n. 2. 71 Crf. 61.

transazione consistenti e problemi informativi di non poco conto, che potrebbero comprometterne il corretto funzionamento.

Stavins73 ha distinto i costi associati ai permessi di emissione in tre grandi categorie74:

¾ costi di ricerca e di raccolta delle informazioni; ¾ costi di contrattazione e di decisione;

¾ costi di monitoraggio e di enforcement.

Il primo gruppo include gli oneri che derivano dalle operazioni di raccolta delle informazioni necessarie a rendere il sistema operativo. Questa tipologia trova origine nel fatto che l’informazione è equiparabile ad un bene pubblico. Il bene informazione si distingue, cioè, per non rivalità e non escludibilità nell’uso, ed è per questo altamente replicabile ma scarsamente prodotto (il costo marginale di diffusione dell’informazione è pari a zero). Alla luce di ciò, i costi per le autorità competenti potrebbero assumere dimensioni tali da ridurre l’efficacia e l’efficienza dell’intero sistema, considerata la reticenza delle imprese a fornire certi tipi di dati e di informazioni.

Il secondo gruppo è rappresentato dai costi necessari per avviare le attività di contrattazione, quali i costi di consulenza, per il brokeraggio e per i servizi assicurativi. Alla luce delle caratteristiche dello strumento in questione, tali oneri potrebbero assumere dimensioni notevoli.

Il terzo raggruppamento riguarda, infine, esclusivamente le autorità amministrative, in quanto fa riferimento a quei costi che, in effetti, devono essere sopportati dalle autorità per il controllo ed il monitoraggio del sistema.

Sebbene le prime due categorie rivestano un’importanza cruciale, è la terza ad essere la principale fonte di costo. Le attività di controllo e di enforcement rappresentano, infatti, al contrario di quanto accade per le altre attività che richiedono esborsi una tantum, degli oneri che le autorità devono sostenere durante tutto il periodo di funzionamento del sistema.

L’efficacia dello strumento dei titoli ad inquinare potrebbe essere compromessa anche da altre variabili:

¾ la concentrazione nel mercato dei permessi di emissione (Hahn 1984, Misolek e Elder, 1989);

¾ la concentrazione nel mercato dei prodotti (Maleug, 1990);

¾ comportamenti non finalizzati alla massimizzazione dei profitti (Tschirhart, 1984);

73 Stavins R., (1995), Transaction costs and tradable permits, in «Journal of Environmental Economics and Management», n. 29.

¾ il quadro regolatorio preesistente (Bohi e Bertraw, 1992)75.

Anche la modalità con cui i titoli vengono assegnati alle imprese contribuisce a segnare la capacità di un sistema dei permessi di emissione di raggiungere i suoi obiettivi al minimo costo. Esistono tre diverse modalità di distribuzione:

¾ collocazione a titolo gratuito (subsidy approach); ¾ collocazione a titolo oneroso (revenue auction); ¾ collocazione mista.

Con la collocazione a titolo gratuito, i permessi sono assegnati dalle autorità governative senza oneri aggiuntivi per le imprese e sulla base di criteri opportunamente definiti, come ad esempio quello “storico” o di grandfathering76 (ossia sulla base delle emissioni storiche generate dalle imprese presenti in un settore, in un determinato periodo) o attraverso un benchmark77(un qualche parametro calcolato, ad esempio, sulla base delle prospettive di espansione dell’impresa).

Gli svantaggi legati all’adozione del criterio storico sono sostanzialmente due. In primis, ad alcune imprese potrebbero non essere riconosciuti gli sforzi compiuti in epoche precedenti a quella di riferimento, col pericolo di vedere paradossalmente favorite le realtà produttive più inquinanti. In secondo luogo, esiste il rischio di prendere come riferimento un arco temporale in cui le imprese hanno registrato performance, ovvero emissioni nocive, inferiori alla media78. In questo caso, i permessi di emissione assegnati potrebbero non essere commisurati alle possibilità di intervento del settore o dell’impianto. D’altro canto, in assenza di perfetta informazione, anche gli indici di benchmark potrebbero essere causa di allocazioni inefficienti. In sostanza, l’impiego dell’uno o dell’altro metodo dipenderà dalle caratteristiche e dalle circostanze in cui versano le industrie dei diversi paesi.

Inoltre, l’assegnazione dei permessi a titolo gratuito non genera entrate per lo Stato; le autorità non disporranno di risorse aggiuntive per l’attuazione di politiche redistributive, destinate, cioè, alla correzione di eventuali squilibri originati dallo strumento in questione.

La collocazione a titolo oneroso si realizza, invece, attraverso la cessione dei permessi dietro il pagamento di un prezzo. Generalmente il meccanismo utilizzato è quello dell’asta. Ciò significa che i permessi saranno attribuiti ai soggetti con disponibilità a pagare maggiore. Per quanto questo metodo

75 Cfr. 73.

76 Tale criterio, come sarà messo in evidenza, è stato alla base del PNA italiano per il periodo 2005-2007.

77 Come accaduto per il PNA dell’Italia per l’arco temporale 2008-2012.

78 Per ovviare a questo problema nel calcolo delle emissioni medie del periodo storico generalmente si usa eliminare il valore più basso.

generi un’entrata aggiuntiva per lo Stato, da destinare eventualmente ad iniziative di tipo redistributivo79, il meccanismo d’asta potrebbe favorire le imprese più forti e penalizzare quelle con minore capacità finanziaria; si potrebbero creare così posizioni dominanti nel mercato dei permessi.

Le assegnazioni miste si risolvono nella distribuzione di una certa quota di permessi gratuitamente; la restante viene assegnata sulla base della disponibilità a pagare. Ingloba le stesse problematiche ed i medesimi vantaggi dei precedenti. Questo approccio risulta conveniente soprattutto durante i primi periodi di applicazione dello strumento oggetto di analisi: le imprese non vengono sobbarcate immediatamente di un onere aggiuntivo e le risorse collezionate dalle autorità, per la quote di diritti ad inquinare assegnata a titolo oneroso, potrebbero essere impiegate con finalità distributive. Questo è il sistema scelto in sede europea, come sarà meglio messo in evidenza nel prossimo capitolo.

In sintesi, lo strumento dei permessi di emissione sembra essere, almeno sul piano teorico, efficace ed efficiente in quanto consente il raggiungimento degli obiettivi di riduzione fissati al minor costo possibile e fornisce incentivi all’innovazione. In realtà, le asimmetrie informative ed i comportamenti opportunistici e di free-riding possono nuovamente compromettere la validità dello strumento, come già precisato per il comando e controllo e le tasse ambientali. Sotto il profilo dell’equità non sembra altrettanto conveniente, a meno che non preveda un’assegnazione dei permessi a titolo oneroso, come sarà meglio messo in evidenza nel prosieguo, o una distribuzione dei diritti ad inquinare a titolo gratuito che sia più generosa verso quei settori a rilevanza strategica.