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La vita dello starec è ormai conclusa e il suo cadavere non tarda a dare segni di decomposizione. La stanza, dove i devoti si raccolgono attorno alla salma, è pervasa in breve tempo dall’odore di putrefazione. Questo fatto genera scandalo al punto da far mettere in dubbio la santità di Zosima. Il fatto che il cadavere tardi a decomporsi è, secondo la tradizione, un segno importante della santità dell’estinto.

La mancanza di segni di decomposizione in passato

provocava un senso di commozione e mistero da parte della comunità dei monaci, si conservava nella loro memoria come un evento magnifico e miracoloso e come una promessa che dalle loro tombe sarebbe derivata una gloria ancora più grande nel futuro306.

L’odore del cadavere, aspetto naturale di tutti i corpi in decomposizione, era stato precedentemente riscontrato nelle salme di altri santi monaci, timorati di Dio. Tuttavia in nessun caso come in questo si mormora tanto.

La narrazione dei momenti successivi alla morte dello starec è intrisa di forza drammatica e carnevalesca. Secondo Michail Bachtin il carnevalesco ha come tratto

305 F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, op. cit., p. 228. 306Ibidem, p. 458.

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essenziale il «ribaltamento». La linea che distingue un valore dal suo contrario sfuma indefinitamente. Il carnevale è un avvenimento ricco di ambiguità e ambivalenze che, distruggendo, rinnova ogni cosa e apre ad orizzonti impensati e impensabili. Gli opposti unendosi si confondono. «Il carnevale avvicina, unisce, collega e combina sacro e profano, sublime e infimo, grandioso e meschino, saggio e stolto»307. In questa commistione del sacro col profano «una signora di poca fede», la

Chochlakova, e «un seminarista arrivista», Rakitin, possono ergersi a giudicare la santità dello starec.

Il lezzo di putrefazione sconvolge soprattutto Aleksej, già duramente provato. Egli non riesce a capacitarsi di come ciò sia possibile. La tentazione di ribellarsi a Dio diventa sempre più forte.

[Alëša] non poteva tollerare, senza provare mortificazione, e addirittura, rabbia, che il più giusto dei giusti fosse sottoposto al dileggio perfido e beffardo di una folla così frivola e a lui inferiore […]. Perché la Provvidenza aveva nascosto la sua mano proprio nel “momento più critico” […], quasi a sottomettersi volontariamente alle cieche, mute, impietose leggi naturali?308

Michail Bachtin scrive:

Attraverso l’incoronazione fin dall’inizio s’intravede la scoronazione. E tali sono tutti simboli carnevaleschi: essi intravedono in sé la prospettiva della negazione (della morte) o viceversa. La nascita è pregna della morte, la morte di una nuova nascita.

Il rito della scoronazione porta quasi a compimento l’incoronazione ed è inseparabile da essa ([…] è un rito uno e bino). E attraverso di essa si intravede una nuova incoronazione309.

307 M. Bachtin, Dostoevskij, op. cit., p. 161.

308 F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, op. cit., p. 471. 309 M. Bachtin, Dostoevskij, op. cit., p. 163.

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Ciò che esprime Bachtin descrive bene quanto accade nel romanzo attraverso l’esperienza di Alëša. Il giovane sperimenta attraverso la morte dello starec il crollo di tutte le sue certezze o di ciò che egli sinora ha ritenuto certo. La morte di colui che gli è stato più padre di Fëdor Pavlovič lo getta in uno smarrimento nel quale non vede alcuna via di uscita. Questo «ribaltamento» crea nuove situazioni e gli orizzonti cognitivi di Alëša si schiudono e si dispongono ad accogliere scoperte impensate. La morte che il giovane Karamazov sperimenta spalanca a una vita più piena.

La soluzione ai dubbi che affliggono Alëša avviene in due momenti. La prima tappa importante è il dialogo con Grušen’ka. La ragazza afferma di aver donato anche lei una cipollina nonostante la sua cattiveria e dice che la bontà divina non può annullare il bene fatto anche se in minima parte. L’altro momento significativo di risposta al dramma di Aleksej accade in monastero, mentre sosta davanti alla salma dello starec. Durante la lettura del brano giovanneo delle nozze di Cana310 il novizio

si addormenta e sogna Zosima. Questi, invitato alle nozze, invita a sua volta Alëša. Entrambi come molti altri possono sedere al banchetto con lo Sposo per aver dato soltanto una cipollina. Se Dio è veramente tale, ossia Amore, Verità e Bellezza, non può annullare neanche un solo gesto di bene e di gratuità che la persona ha compiuto. Se ciò accadesse, Dio verrebbe meno a se stesso, cioè all’amore. Non occorrono gesti eroici per poter accedere alla felicità che solo Dio può offrire. Ne L’idiota questa è la pretesa di Ippolit per il quale l’unico vero seme è quello gettato da una grande azione. Nell’ultimo romanzo Dostoevskij risponde a questo dubbio che lacera l’infelice e malato Ippolit esaltando la grandezza e la magnanimità di Dio. L’unico grande bene è Dio stesso, pertanto è sufficiente un po’ di amore per accedere alla festa che Egli prepara per i suoi amici. La grande azione farebbe inorgoglire chi l’ha compiuta e ciò è inconciliabile con la disinteressata affermazione dell’altro, che l’amore chiede. Ciò che conta è un gesto fatto con amore, qualsiasi esso sia e non la misura dell’azione. Basta un umile gesto di gratuità e la coscienza della propria

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indigenza davanti a Dio per poter accedere al banchetto e festeggiare il miracolo dell’acqua trasformata in vino. Il Vangelo di Giovanni ricorda che con questo segno «Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea»311. L’ingresso del Signore

nella vita pubblica si manifesta attraverso un segno di pienezza. Egli non interrompe la gioia degli invitati a nozze, ma la estende. Il significato di tale miracolo è espresso da Cristo quando afferma: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza»312. Alëša ricorda le parole del maestro estinto: «Chi ama gli uomini

ama pure la loro gioia»313. Nel sogno Zosima incoraggia il discepolo e lo esorta alla

sua missione: «Da’ inizio al tuo lavoro, mio mite ragazzo […]. Non avere paura»314.

La morte diviene così fonte di vita. L’ingresso nella vita adulta per Alëša deve fare i conti col dolore e grazie ad esso si rinnova la coscienza della sua missione nel mondo. Non si diventa grandi senza affrontare una grande tristezza.

La sofferenza e il dolore sono sempre inevitabili per una coscienza sensibile e per un cuore profondo. Gli uomini veramente grandi […] devono provare una gran tristezza su questa terra315.

Uscito dalla cella, Alëša resta solo nella notte autunnale rischiarata da un magnifico cielo stellato. Il giovane si ritrova ad abbracciare la terra e a bagnarla di lacrime.

Nella sua esultanza egli piangeva persino per quelle lacrime che brillavano per lui dall’abisso della notte, e “non si vergognava della propria estasi”. Era come se i fili di tutti questi innumerevoli mondi divini si fossero uniti tutti insieme nella sua anima ed essa trepidasse “al contatto con gli altri mondi”. Aveva voglia di

311 Gv 2, 11. 312 Gv 10, 10.

313 F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, op. cit., p. 500. 314Ibidem, pp. 501-502.

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perdonare tutti, di tutto e di chiedere perdono […] per tutti, per tutto e per ogni cosa316.

Secondo i padri della Chiesa d’oriente il cuore affranto e umiliato è il luogo dove avviene la rigenerazione dell’uomo in Cristo. La dolorosa contrizione dello stato di peccato porta alla persona la coscienza della propria fragilità ontologica, prima che morale. Le lacrime rappresentano il dono che Dio fa all’uomo, esse sono il segno che il cuore di pietra si sta convertendo in cuore di carne. L’anima deve sapere, scrive Basilio di Cesarea,

che il tempo della penitenza è tempo di lacrime, come ha mostrato David nel salmo sesto. Abbia piena certezza di ricevere la purificazione dai peccati mediante il sangue di Cristo, nella grandezza della pietà e nel gran numero delle misericordie di Dio che dice: Anche se i vostri fossero come porpora, li renderò bianchi come neve; se fossero come scarlatto, li renderò bianchi come lana. E, a questo punto, ricevuta la facoltà e la forza di piacere a Dio, dice: Alla sera albergherà il pianto e al mattino l’esultanza. Hai convertito il lutto in gioia per me, hai strappato il mio sacco e mi hai cinto di letizia affinché la mia gloria a te salmeggi317.

Il dolore del penitente è simile alle doglie del parto. Perché la vita possa nascere è necessario che la donna attraversi tutte le fasi della gravidanza sino ai dolori lancinanti del parto. Allo stesso modo solo dalle lacrime può scaturire la gioia, poiché non esiste felicità vera esente da sacrificio. Ciò è espresso in maniera efficace dall’archimandrita Sofronio:

316Ibidem, p. 503.

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Amari all’inizio del pentimento, i pianti si trasformano in seguito in lacrime di un amore esultante per Dio. È il segno che la nostra preghiera è stata ascoltata e che, attraverso la sua azione, noi siamo introdotti in una vita nuova318.

Alëša da ora in poi sperimenta questa vita nuova. Egli accede ora a una profondità inattesa e trova in sé la forza che lo rende capace di andare nel mondo obbedendo al suo starec. La timidezza e il bisogno di appoggi dell’adolescente lasciano il posto a una coscienza responsabile, capace di stare di fronte agli uomini condividendone le gioie e i dolori.

Quando era caduto a terra era un giovane fragile, ma quando si alzò era ormai un guerriero risoluto per tutta la vita, questo lo avvertì subito, ne fu subito consapevole, in quello stesso momento di estasi. E mai, mai nel corso della sua vita, Alëša poté dimenticare quell’istante. “Qualcuno visitò la mia anima in quell’ora”, diceva credendo fermamente alle proprie parole…319

Tutta l’educazione dello starec nei confronti dell’allievo ha avuto come scopo quello di fare di Alëša un uomo libero. Il seme buono di Zosima matura nel giovane Karamazov.

Nel libro decimo, intitolato «Ragazzi», Alëša ricompare alla guida degli amici di Iliuša, figlio di Snegirëv. Questi è un capitano a riposo vittima degli oltraggi di Mitja. Alëša a questo punto manifesta la sua maturità nel prendersi cura dei giovani.

Karamazov, - osserva un adolescente – frequentate tutti quei piccoletti, vuol dire che volete influenzare la giovane generazione, volete aiutarla a crescere, essere utile? E devo ammettere che questo lato del vostro carattere […] è quello che mi ha interessato di più in voi320.

318 Archimandrita Sofronio, cit. in B. Petrà, La penitenza nelle Chiese ortodosse. Aspetti storici e

sacramentali, EDB, Bologna 2005, pp. 69-70.

319 F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, op. cit., p. 503. 320Ibidem, p. 733.

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L’educazione, che è un’alta forma di amore, è un dono che Alëša può offrire solo perché egli è stato oggetto di questo amore. Tutto il magistero dello starec aveva come fine la crescita integrale della persona. Nei taccuini preparatori al romanzo lo starec afferma: «Abbiate cura del popolo, educatelo»321. Lo sforzo del discepolo di

Zosima è indirizzato agli adolescenti perché per la loro giovane età sono più facilmente educabili degli adulti, la cui persona è più strutturata. L’educazione è essenzialmente dono e vive come tale. Da questo si comprende che Alëša sta diventato adulto, egli ora è capace non solo di essere educato ma anche di offrire l’amore ricevuto. Sapere educare significa essere diventati adulti e l’adulto è colui che genera. L’educazione è una generazione spirituale di cui è capace solo chi è divenuto maturo. Ma questa maturità è una conquista personale di ciascuno che, come insegnava lo starec parlando dell’amore, «si compra a caro prezzo, attraverso un lungo lavoro e in tempi molto lunghi»322.