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L’epigrafe, che riporta il passo evangelico di Matteo 8, 32-36, offre al lettore un duplice livello interpretativo: da un lato quello dei demoni, della loro azione devastatrice e dall’altro la possibilità di guarigione e di pace legate alla figura di Cristo. Questo livello è la soluzione salvifica dell’aspetto negativo che dà il titolo al romanzo.

119Ibidem, «lettera a Nikolaj NikolaevičStrachov, Dresda, 4-14 dicembre 1870», p. 281.

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Il romanzo narra le vicende di un gruppo di rivoluzionari, diretto da Pëtr Verchovenkij121. Personaggio centrale del romanzo, attorno a cui ruotano tutte le

vicende, è Nikolaj Stavrogin, figlio di Varvara Petrovna nonché allievo di Stepan Trofimovič. Stavrogin torna nella cittadina d’origine dopo un periodo trascorso a

Pietroburgo in cui ha compiuto numerosi crimini, tra i quali la seduzione e l’istigazione al suicidio di una bambina e le nozze con una povera zoppa.

La vicenda del romanzo prende avvio dai piccoli contrasti fra Stepan Trofimovič e Varvara Petrovna, donna ricca e ambiziosa. Il primo si disinteressa

totalmente del figlio Pëtr, al punto tale da non riuscire a provare nei suoi confronti altro che sensi di colpa122, Varvara non sa offrire al figlio Nicolas la cura e l’affetto

necessari. Ella è troppo occupata dal suo prestigio in società e dal desiderio di estendere il suo potere.

Dostoevskij era molto interessato al problema intergenerazionale. Non è un caso che il contesto embrionale dal quale prende avvio l’intera vicenda del romanzo sia una storia di educazione mancata. In tale contesto il comportamento dei padri ha esiti devastanti nei figli. La visione astratta e utopistica di Stepan Trofimovič è trasmessa al figlio, nichilista e anarchico, che deride le idee del padre dal quale ha comunque tratto spunto per le sue concezioni. I due Verchovenskij, padre e figlio,

121 Questi è il figlio di Stepan Trofimovičcinquantenne liberale, che incarna tutte le caratteristiche

dell’intellettuale russo della generazione di Dostoevskij. Il suo idealismo lo porta ad esporre teorie prive di qualsiasi concretezza, come quando sostiene di preferire Raffaello e Shakespeare alla liberazione dei contadini.

122 Ecco quanto afferma a tal proposito Stepan Trofimovič: «Io… non vedo Petruša da moltissimo

tempo e… mi ritengo così poco in diritto di chiamarmi padre […]. Aspetto il mio povero ragazzo, di fronte al quale… di fronte al quale sono così colpevole! Cioè, voglio dire propriamente, che lasciandolo allora a Pietroburgo, io… in una parola lo consideravo una nullità, quelque chose dans ce genre. Era un ragazzo nervoso, sapete, molto sensibile e… pauroso. Quando andava a letto, si inchinava sino a terra e faceva il segno della croce sul cuscino per non morire di notte… je m’en souviens. Enfin, nessun sentimento del bello, cioè nulla di superiore, di fondamentale, nessun germe di un’idea futura… c’était comme un petit idiot» (F. M. Dostoevskij, I demoni, op. cit., pp. 96-97).

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rappresentano la stretta relazione fra l’idealismo utopistico dei padri e la violenza rivoluzionaria dei figli. Ecco quanto scrive il romanziere all’erede al trono imperiale Aleksandr Aleksandrovič:

I nostri Belinskij e Granovskij non ci crederebbero, se si dicesse loro che essi sono i padri diretti dei Nečaev. Ora appunto questa parentela e discendenza di

pensiero, sviluppatasi dai padri nei figli, ho voluto esprimere nella mia opera123.

I padri liberali hanno perso le proprie radici culturali e quando parlano di popolo in realtà descrivono la loro immagine astratta124. Questa indifferenza nei

confronti della tradizione prepara una generazione ben determinata a farla finita con quanto trasmesso dai padri.

Nel romanzo l’origine del male è la vacuità spirituale dell’educazione che Stepan Trofimovič impartisce ai suoi allievi: Stavrogin, Šatov e Lise.

[Stepan Trofimovič] come educatore, […] sa «suscitare nell’anima l’eterna

tristezza», ma non sa placarla, essendo privo di fede nell’oggetto di questa tristezza. La sua abituale esclamazione: «Dio, che sei così grande e così buono!» suona falsa. «Che menzogne sapeva raccontarmi!... quasi meglio della verità» esclama la sua alunna Lise125.

123 F. M. Dostoevskij, Epistolario, «Pietroburgo, febbraio 1873», op. cit., p. 356.

124 Questa è precisamente l’accusa che Šatov muove al maestro Stepan Trofimovič: «Voi non solo

non avete saputo vedere il popolo, voi lo avete trattato con un disprezzo disgustoso, unicamente perché per popolo immaginavate solo il popolo francese, anzi quello parigino e vi siete vergognati che il popolo russo non fosse così. Ecco la pura verità! Ma chi non ha popolo non ha Dio! Siate certi che tutti quelli che smettono di capire il proprio popolo e perdono i legami con lui, perdono subito, nella stessa misura, anche la fede patria, diventano o atei, o indifferenti. Dico la verità! È un fatto che si può verificare. Ecco perché voi tutti e noi tutti ora siamo ignobili atei oppure una ripugnante massa di indifferenti e niente più! Voi compreso, Stepan Trofimovič, anzi ho parlato per

voi, sappiatelo!» (F. M. Dostoevskij, I demoni, op. cit., p. 41).

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Egli stesso confessa di aver «mentito per tutta la vita» e di non aver «mai parlato per la verità»126 ma solo per se stesso. Certo Verchovenskij non può

immaginare gli esiti nefasti del suo magistero egocentrico e astratto. Il vecchio chiacchierone non sa che il suo idealismo prepara una generazione poco favorevole ai grandi sistemi razionali e ben più incline alla lotta armata. Allo stesso modo il deismo astratto di Stepan Trofimovič diviene ateismo concreto e pratico nella

generazione che ha educato127.

Un altro modello negativo è Varvara Petrovna. Essa ama attorniarsi di gente altolocata, generali, baroni e intellettuali. Quando si reca a Pietroburgo la visita al figlio è solo un pretesto per riallacciare e ampliare le relazioni perdute. D’altro canto ella colma con un eccesso di permissività la sua disattenzione nei confronti del figlio.

Nikolaj Stavrogin, di cui nella prima parte dell’opera possiamo seguire l’infanzia e la formazione, è un giovane bello e forte, molto promettente nella società pietroburghese. Tuttavia su di lui iniziano a girare strane voci che mettono in apprensione la madre. In città tutti parlano di lui. In particolare egli cattura le

126 F. M. Dostoevskij, I demoni, op. cit., p. 696.

127 «Per quanto riguarda il cristianesimo – afferma Stepan Trofimovič -, con tutto il mio sincero

rispetto per lui, io non sono un cristiano. Sono piuttosto un antico pagano, come il grande poeta Goethe o come un antico greco. Non fosse altro perché il cristianesimo non ha capito la donna» (ibidem, pp. 39-40). Dostoevskij non risparmia nemmeno il clero, perché anch’esso contribuisce alla formazione dei nichilisti. «Dostoevskij aveva ragione – scrive Pavel Evdokimov-: tra i fondatori del liberalismo e tra coloro che l’hanno attuato in tempi recenti è comparsa una quantità notevole di antichi studenti di seminari: Cerniševskij, Dobroljubov, figli di arcipreti ed entrambi seminaristi, Nečaev, insegnante di catechismo, e più di recente, Dzerinskij, fervente cattolico durante la

giovinezza, destinato al sacerdozio e, al vertice, Stalin che da giovane fu seminarista. La negazione ascetica del mondo, se mal guidata, può degenerare nella negazione nichilistica dei valori e della cultura» (P. Evdokimov, Il problema del male in Dostoevskij, op. cit., nota 23, p. 240).

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attenzioni delle donne. È diventato «una specie di duellante di professione, che attacca e offende le persone per il gusto di offenderle»128.

La vicenda di Stavrogin è intrecciata a quella di altri personaggi quali Mar’ja Timofeevna e il capitano Lebjadkin, suo fratello. Mar’ja è una jurodivaja129che stenta

a distinguere la realtà dal sogno, come quando racconta di piangere un figlio senza la certezza di averlo avuto. La sua misera condizione la costringe a vivere sola, ai margini della società, in una stanza buia, illuminata dalla luce fioca di una candela, col fratello alcolizzato che la maltratta e non le dà da mangiare. La sua disgrazia fa da contrappunto alla sua povertà psicologica e spirituale130.

La vicenda centrale del romanzo inizia quando Nikolaj Stavrogin e Pëtr Verchovenskij tornano dall’estero. Pëtr giunge in provincia per dare vita a una nuova cellula rivoluzionaria che intende sovvertire il sistema politico131.

128 Cfr. F. M. Dostoevskij, I demoni, op. cit.,p. 44. Altri fatti anomali rivelano la stranezza dei modi:

un tale di nome Pëtr Pavlovič Gaganov ha preso l’abitudine di ripetere: «Eh, no! Nessuno mi

prende per il naso!» e Stavrogin udendo quest’espressione lo prende letteralmente per il naso, umiliandolo davanti a tutti. L’offesa raddoppia quando il nostro giovane si scusa con noncuranza, come se non fosse successo niente di grave. Al governatore che gli chiede conto della sua bizzarra condotta risponde mordendogli l’orecchio e facendolo quasi morire di spavento.

129 Il termine “jurodivyi” tradotto con “folle per Cristo”, “originale”, in russo designa una persona

religiosa e semplice di spirito a cui il popolo attribuisce particolari virtù profetiche. Nei romanzi di Dostoevskijèun personaggio ricorrente, ne sono esempi Lizaveta, vittima di Raskol’nikov in Delitto e Castigo, Mar’ja Lebjadkina e Lizaveta Smerdjaščaja de I fratelli Karamazov.

130 Nel capitolo «Il serpente saggio» Mar’ja Timofeevna ha un ruolo importante. La scena si

svolge in casa di Varvara Petrovna, che è attesa da Stepan Trofimovič e da Šatov. Questi è insieme a Kirillov, l’ingegnere, un personaggio che si compromette con Pëtr, condividendone inizialmente gli ideali rivoluzionari. Varvara esprime incredula la sua amarezza nel raccontare di aver ricevuto delle lettere anonime dove si accusa il figlio di essere impazzito e che «una zoppa avrà un ruolo straordinariamente importante» (F. M. Dostoevskij, I demoni, op. cit., p. 176) nella sua vita. In effetti Mar’ja Timofeevna è la moglie legittima di Stavrogin.

131Egli coinvolge con ricatto e inganno tutti coloro che con lui si sono compromessi. Di Stavrogin

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Egli è cosciente della sua meschinità: «Ebbene qual è il mio vero volto? L’aurea mediocrità: né sciocco, né intelligente, abbastanza povero di talento e piovuto dalla luna»132.

Una caratteristica dei personaggi de I demoni è la loro operosità. L’apatia inerte di Stavrogin rappresenta un tratto caratteristico suo proprio, che lo rende enigmatico. Nel capitolo «La notte» egli appare, a partire dai colloqui che ha con Kirillov e con Šatov, come colui che tiene i fili della rete. L’immagine del ragno nell’opera è ricorrente. In Kirillov Stavrogin instilla il nichilismo superoministico, in Šatov le dottrine panslaviste e in Pëtr il socialismo rivoluzionario. Tali idee si sviluppano nella mente dei personaggi, prendono accenti e tratti autonomi secondo la sensibilità di chi le accetta.

Kirillov è un personaggio diviso. Egli subisce il fascino di Stavrogin e accoglie da lui l’idea dell’affermazione di se stesso attraverso il suicidio. Al tempo stesso emerge in lui una positività che è l’aspetto essenziale della sua persona. Ciò appare chiaro nel momento in cui Stavrogin lo visita, sorprendendolo mentre gioca con una bambina:

«Amate i bambini?» – gli chiede Stavrogin –

«Sì, li amo» rispose Kirillov, con un tono, del resto, alquanto indifferente. «Dunque amate anche la vita?»

«Sì, amo anche la vita, perché?» «Ma se avete deciso di spararvi!»

russa». Egli stesso rivela a Stavrogin il suo procedere intrigante: «io ho una tattica; mento, mento e a un tratto dico una parola intelligente, proprio quando tutti loro la cercano. Tutti mi vengono incontro e io comincio di nuovo a mentire» (ibidem, p. 237). Fed’ka il forzato descrive il giovane Verchovenskij come «un uomo straordinariamente avaro e duro di cuore» (ibidem, p. 297). L’avarizia è indice di piccineria d’animo e corrisponde alla grettezza di chi non ha mai avuto un autentico slancio per affermare qualcosa di più grande di se stesso. La vita chiede questo slancio e chi si sottrae ad esso si preclude la possibilità di amare.

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«E allora? Perché le due cose insieme? La vita è una cosa, questa è un’altra. La vita esiste, la morte non esiste affatto.»133

Kirillov davanti a Stavrogin afferma il valore a cui l’uomo tende: «La vita esiste, la morte non esiste affatto». È l’esperienza a parlare in lui: l’uomo è fatto per la vita e non per la morte. L’ingegnere afferma col cuore quanto poi nega con ragionamenti astratti indotti da Stavrogin, che in lui sperimenta le teorie nichiliste.

Stavrogin manifesta il suo disappunto su ciò che non è frutto del suo pensiero.

«Avete cominciato a credere nella eternità della vita futura?»

«No, non nella eternità della vita futura, ma di questa vita. Ci sono dei momenti, voi arrivate a certi momenti in cui il tempo si ferma e diventa eterno.»

«Sperate di arrivare a un simile momento?» «Sì.»

«È poco probabile che ci sia nel nostro tempo» rispose Nikolaj Vsevolodovič,

senza alcuna ironia, lentamente e pensoso. «Nell’Apocalisse l’angelo giura che il tempo non esisterà più.»

«Lo so. Questo là è detto molto giustamente, con chiarezza e precisione. Quando tutto l’uomo raggiungerà la felicità, il tempo non vi sarà più, perché non occorrerà. È una idea molto giusta.»

[…]

«A quanto pare siete molto felice, Kirillov»

«Sì, molto felice» rispose l’altro, come se dicesse la cosa più comune del mondo. «Eppure recentemente eravate afflitto; eravate arrabbiato con Liputin?»

«Uhm… adesso non rimprovero nessuno. Allora non sapevo ancora di essere felice. Non avete mai visto una foglia, una foglia d’albero?»

«Sì.»

«Non molto tempo fa ne ho visto una gialla, con un po’ di verde, marcita sui lati. Il vento la portava. Quando avevo dieci anni, d’inverno chiudevo apposta gli occhi, mi immaginavo una foglia, verde lucente con le nervature e il sole che

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brillava. Riaprivo gli occhi e non credevo a nulla, perché quello era molto bello e li chiudevo di nuovo.»

«Cos’è un’allegoria?»

«N-no!... perché mai? Non è un’allegoria, ma una semplice foglia, solo una foglia. La foglia è bella. Tutto è bello.»134

L’improvvisa scoperta della bellezza dell’esistenza rende cosciente Kirillov che ogni particolare è bello, anche quello apparentemente più insignificante come una foglia portata dal vento. Tutto ciò non è dimostrato da Kirillov, ma percepito con tutto il suo essere, «Tutto è bello» è l’antifona del personaggio. Questi, che si dichiara ateo, diviene un profeta inconsapevole del profondo rapporto di tutte le cose con l’Essere.

Il presente nel quale l’uomo vive può essere la maschera del niente oppure il varco attraverso il quale l’uomo accede all’eterno, a quanto permane nel fugace trascorrere dell’istante. In Kirillov tutto ciò è ancora embrionale.

La testimonianza positiva di Kirillov potrebbe essere una speranza anche per Stavrogin, se questi fosse disponibile ad accoglierla. Egli è invece troppo ingombro di se stesso e della smania di esercitare il suo potere sugli altri. Per questo il bene di Kirillov non trova spazio in lui.

L’influenza mortifera di Stavrogin non viene mai meno e Kirillov continuerà a farsi promotore delle idee nichiliste di Stavrogin. Al tempo stesso accende la lampada sotto l’icona.

«Chi insegnerà che tutti sono buoni, colui compirà il mondo.» «Colui che lo ha insegnato è stato crocifisso.»

«Egli verrà e il suo nome sarà uomo-Dio.» «Dio-uomo?»

«Uomo-Dio, in questo sta la differenza.»

«Siete stato voi ad accendere la lampada davanti all’icona?»

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«Sì, sono stato io.»

«Siete diventato credente?»

«Alla vecchia piace che si accenda la lampada… oggi lei non aveva tempo» borbottò Kirillov.

«Ma voi non pregate ancora?»

«Io prego tutto. Vedete un ragno si arrampica sul muro e io lo guardo e gli sono riconoscente perché si arrampica.»

I suoi occhi si infiammarono di nuovo. Guardava sempre Stavrogin in faccia, con uno sguardo fermo e inflessibile. Stavrogin lo spiava accigliato e sprezzante, ma nel suo sguardo non c’era ironia.

«Scommetto che quando verrò qui un’altra volta, ormai crederete anche in Dio» disse, alzandosi e prendendo il cappello135.

Terminato il colloquio con Kirillov Stavrogin va a visitare Šatov. Stavrogin gli rivela i piani segreti di Pëtr Verchovenskij. Pëtr non ha nessuna intenzione di accondiscendere alle richieste di Šatov di uscire dalla società. Egli ha invece intenzione di ucciderlo a tempo opportuno, in quanto è una persona che sa troppo e potrebbe denunciarli.

Šatov ha un’alta considerazione di Stavrogin e al tempo stesso lo odia pur senza riuscire a fare a meno di lui. Il pugno datogli qualche giorno prima a casa di Varvara è frutto della delusione di Šatov per la scoperta che anche Stavrogin mente.

Stavrogin, perché sono condannato a credere eternamente in voi? – confessa Šatov – Potrei forse parlare così con un altro? […] Non bacerò forse le orme dei vostri piedi, quando ve ne sarete andato? Io non posso strapparvi dal mio cuore, Nikolaj Stavrogin!136

L’indifferenza di Stavrogin e la logicità dei suoi ragionamenti contaminano le persone che gli stanno vicino, soggiogandole sotto il peso di idee astratte.

135Ibidem, p. 251. 136Ibidem, p. 269.

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«“Popolo portatore di Dio” – afferma Stavrogin – non è che la conclusione del nostro colloquio avvenuto più di due anni fa all’estero, poco prima della vostra partenza per l’America. Almeno per quanto posso ricordare ora.»

«Questa frase è vostra per intero, e non mia. È proprio vostra e non è soltanto la conclusione del nostro colloquio. Un “nostro” colloquio non c’è mai stato: c’era un maestro, che pronunciava grandi parole e c’era uno studente, risuscitato dai morti. Io ero quello studente e voi quel maestro.»

«Ma se ricordo bene, fu proprio dopo le mie parole che entraste nella società e solo più tardi partiste per l’America.»

«Sì, e ve lo scrissi dall’America; vi scrissi tutto. Sì, non potevo strapparmi subito, sanguinando, da tutto quello cui ero attaccato fin dall’infanzia, a cui erano andati tutti gli entusiasmi delle mie speranze e tutte le lacrime del mio odio… È difficile cambiare dèi… Allora io non vi credetti, perché non volevo credere e mi aggrappai per l’ultima volta a questa cloaca immonda… Ma il seme è rimasto ed è cresciuto.»137

I semi di Stavrogin fruttificano manifestando la loro natura malvagia e Šatov inizia a prenderne coscienza. Šatov ha scoperto che Nikolaj Stavrogin mente, ma è ancora succube del fascino seducente delle sue idee, di cui continua a farsi promotore. Il suo maestro in realtà vuole soltanto sperimentare sino a che punto può arrivare una persona nel portare avanti le proprie convinzioni. Stavrogin afferma una tesi che poi smentisce con altri personaggi. Tutto può essere mutato e stravolto. Le più grandi menzogne possono essere spacciate per verità e questa infangata e resa irriconoscibile. La verità non tollera alcuna doppiezza né di vita, né di linguaggio. Il male al contrario divide e svuota di consistenza, nonostante la sua maschera di «conciliatore universale»138, espressione con cui Stavrogin definisce

137Ibidem, pp. 260-261. 138Ibidem, p. 204.

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Pëtr. Cristo avverte che nel mondo «la zizzania sono i figli del maligno»139 e che il

diavolo

è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna140.

Dostoevskij, che ha una profonda conoscenza della Bibbia, inserisce consapevolmente questi riferimenti impliciti nel suo romanzo. Lo scrittore porta alle estreme conseguenze la menzogna disgregatrice del male, nel momento in cui si incarna in volti e atti. Šatov e Kirillov giungono ad affermare astrattamente quanto poi col cuore negano. Il cuore infatti non può mentire. Esso ci rivela in maniera discreta ma infallibile ciò per cui è fatto. Il cuore aspira essenzialmente al vero141.

Šatov è affascinato da visioni nazionalistiche e le ripropone a Stavrogin.

«Io abbasso Dio a un attributo della nazionalità?» gridò Šatov. «Al contrario, innalzo il popolo a Dio. Ed è forse mai stato in altro modo? Il popolo è il corpo di Dio. Ogni popolo è popolo solo finché ha un suo Dio particolare, ed esclude tutti gli altri dèi del mondo senza alcuna conciliazione, finché crede che con il suo Dio vincerà e scaccerà dal mondo tutti gli altri dèi»142

139 Mt 13, 38. 140 Gv 8, 44.

141 «Il cuore è il centro che irradia e penetra nella totalità dell’uomo, pur rimanendogli nascosto

nella sua misteriosa profondità». «Questo termine non coincide assolutamente con il centro emozionale di cui parlano i manuali di psicologia; per gli Ebrei si pensa con il cuore perché esso integra tutte le facoltà dello spirito umano; e gli psicologi sanno bene che la ragione e l’intuizione