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IL BALLO CANTATO IN ITALIA

B) Separazione e alternanza dei ruoli fra “cantatori” e “ballatori”.

V. 07. IL CANTO MIMATO O DIALOGICO

Un posto di rilievo fra i canti a ballo occupano quei repertori che sottintendono una drammatizzazione del ballo. Essi arricchiscono il carattere spettacolare della danza, poiché aggiungono alla trama coreografica un nucleo di sceneggiatura fra i ballerini-attori. Il testo cantato (o talvolta recitato) consiste difatti in un dialogo fra i danzatori, mentre la parte cinesica contempla spesso una pantomima, semplice o un tantino complessa, che procede parallelamente allo svolgimento del testo e che a questo si attiene. Due quindi gli aspetti prevalenti di questo sottogruppo di balli cantati: il testo dialogico e la sua rappresentazione drammatica.

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. Arti diverse come danza, musica, teatro, poesia si fondono in questo eclettico genere espressivo e riconducono ad una concezione antica della danza, un modo sincretico di pensare e di esprimere l’evento artistico. Il corpo “parla” nella sua completezza, racconta con la parola, con il gesto e con l’intera “macchina somatica”, servendosi - per specificare meglio il messaggio e per ampliare le potenzialità espressive - anche di oggetti: strumenti per fare musica e strumenti per concretizzare la narrazione mediante un’evocazione più realistica. Come si è gia notato nella trattazione storica, l’origine di questa forma polisemica di ballo è antica; essa ci riporta a quei legami un tempo più evidenti, che ci dovevano essere nel Medioevo tra danza e dramma a carattere sacro o profano. Nell’antica cultura ellenica e latina la danza pantomimica era stata nobilitata nelle rappresentazioni teatrali e in esse il canto mimato del coro occupava un posto di riguardo nel trasmettere la “fabula” narrata. Sia nel teatro greco che poi in quello romano, grande importanza hanno avuto due generi teatrali compositi, il mimo ed la pantomima. Queste due arti erano affidate ad attori di provata abilità e in una fase più evoluta a specialisti di tali tipi di rappresentazione. Il mino si inseriva spesso nella commedia, l'attore, dotato di grandi abilità fisiche, si affidava al canto ed alla danza per rappresentare al suono di un

tibicen mimando scene tratte dalla vita quotidiana o da storie mitologiche. La

pantomima, più frequente nella tragedia, esigeva un apparato spettacolare più complesso: spesso al suono di una esigua orchestrina e accompagnata dal coro, degli attori danzavano mimando storie complesse a carattere drammatico o mitologico17

. In alcune tradizioni orientali (Bali, India, Cina, Indonesia, Polinesia, ecc.) ancora oggi le coreopantomime costituiscono persino la forma prevalente fra i vari balli folklorici. Quasi assenti sono invece i balli pantomimici nel folklore italiano attuale, soprattutto in quei fenomeni festivi in cui più si addensano ritualmente forme di teatro popolare: le rappresentazioni itineranti del Sant’Antonio, le befanate, i carnevali, le questue ed i maggi epici. Di balli drammatizzati in Italia ne sono sopravvissuti ben pochi, alcuni di quelli eseguiti in genere da adulti vengono oggi considerati balli da sala (ballo della lavandaia o della lavanderina), mentre altri di origine remota si sono cristallizzati negli ultimi secoli in giochi per bambini (Mamma pollaiola,

Madama Dorè, Maria Giulia, Ho perso la cavallina, ecc.)18

. Questi si presentano come balli-gioco, ma sono a tutti gli effetti canti a ballo in forma dialogica e mimata. Come

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. più volte si è detto, il gioco è il rifugio dei balli perduti o di quelli rifiutati e rimossi dagli adulti: l’essere rimasto questo genere di ballo cantato appannaggio quasi esclusivamente dei piccoli, indica dunque un decadimento generalizzato di tutta una famiglia di balli ed una restrizione del concetto di spettacolo o di dramma. Il ballo drammatizzato obbligava allo sdoppiamento dei ruoli ed alla rappresentazione di se stessi in altra dimensione, imponeva una trama fissa, ordinata e conseguenziale: si ballava per l’insieme, l’individualità veniva in qualche modo repressa o subordinata. Il ballo “libero” e individuale garantiva una libertà ed una speculazione soggettiva maggiori. Come è andata via via scemando l’arte melodrammatica che racconta in musica e teatro insieme, sdoppiando il nesso in due distinti ed autonomi rami espressivi, così con l’arrivo negli strati popolari di numerosi balli di società nel XIX sec. di fruizione individualista, vengono detratte lentamente i sostegni rituali e funzionali alle danze narrative, mentre restano nella tradizione le ballate canore di origine tardo-medievale non più danzate.

Nel ballo mimato o narrato i ballerini devono conoscere sia il repertorio che le modalità di svolgimento - diremmo il canovaccio - della danza-teatro. I casi finora ritrovati non esigono una specializzazione di ruoli e di capacità esecutive peculiari, ma essendo balli di semplice ordito teatrale sono alla portata di tutti, e chiunque può entrare in ballo (o in gioco). Più professionale è il ruolo riconosciuto in altri tipi di danze - come si è già detto - che richiedono conoscenze e capacità idonee, quali il

trescone toscano, certe forme pantomimiche di furlana, manfrina o povera donna nelle

regioni del nord, le danze armate (moresche, ‘ndrezzata, tataratà, lachera, ballo degli

spadonari) e alcune danze figurate (balli del palo intrecciato, ballo dei gobbi, balli della morte o del morto), ecc.

Con la diminuzione dei balli pantomimici, la danza popolare italiana ha visto ridurre la tensione spettacolare e vanificare la molteplicità dei ruoli nella festa fra coloro (ballerini-attori) che si esibiscono nel ballo e fra coloro (uditori-spettatori) che assistono al ballo. In altre parole è venuta meno nella tradizione etnocoreutica e canora l’esigenza di esprimersi mediante “sceneggiatura cantata” e “danza narrante”.

Molti balli gioco esposti in questa sezione contemplano il tema dell’invito, rivolto però sempre a coloro che comunque sono già in ballo, per tale ragione e per il

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. preminente ruolo del dialogo e del mimo non sono stati collocati fra i balli a invito precedentemente trattati.

NOTE

17 Cfr. D’Amico Silvio, Storia del teatro drammatico, Milano, Garzanti, 1953, IV voll.; Guidobaldi Maria Paola, Vita e

costumi dei romani antichi. 13. Musica e danza, Roma, 1992, pp. 32-33.

18 Danza pantomimica e narrativa sono fenomeni in simbiosi, soprattutto quando sono danze d’azione e non di

carattere. Un tempo dovevano essere più frequenti le danze narrative col quale si raccontava una storia o si spettacolarizzava una vicenda, pur se semplice e tratta dall’esperienza quotidiana. Possiamo considerare balli narrativi - e quindi anche pantomimici, nei quali cioè la rappresentazione si affida, oltre che a movimenti ritmici strutturati, anche all’imitazione, ad un a gestualità più espressiva e narrante - il trescone toscano che imita l’amplesso, la furlana pantomimica, la povera donna, il ballo del barbiere, il ballo del gallo, il ballo del riccio o dell’orso, il ballo della morte o del morto (di barabano o di Mantova), il ballo della lavandaia e molti balli-gioco transitati ormai nel repertorio infantile. Come si può notare, molte danze drammatizzate per adulti sono soprattutto eseguite a Carnevale, importante periodo in cui la vita sociale intera diventa uno spettacolo continuo.

CAP. VI