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MIGRAZIONE E DIFFUSIONE DEL BALLO TRADIZIONALE

LA VITA DEL BALLO POPOLARE

III.2 MIGRAZIONE E DIFFUSIONE DEL BALLO TRADIZIONALE

Ogni individuo porta sempre con sé il suo bagaglio di conoscenze, un fardello in cui pone "oggetti" nuovi, recuperati e da cui elimina altri ritenuti inutili, consunti, inopportuni, incomprensibili, estranei o persino dannosi. Pareri, gusti e affezioni a riguardo sono condizioni mobili, che mutano nel tempo o a seconda le generazioni, che di solito filtrano ciò che proviene dal passato e decidono su ciò conservano o che abbandonano.

Oltre agli individui, anche i popoli spostandosi occasionalmente o migrando in maniera definitiva trasferiscono saperi, pratiche, concetti e visioni. Dunque, la danza di matrice popolare è sottoposta, al pari di altri saperi, a trasmigrazioni, imitazioni, appropriazioni e plagi. Non è mai stato definito un diritto di proprietà di una danza tradizionale, anche per l'inafferrabilità, mutabilità e inconsistenza materiale dell'oggetto in questione. La danza scorre fluida, impalpabile, comprovabile e confrontabile a vista, mai soggetta a blocchi o divieti, ma imitabile e quindi pur sempre riproducibile. Bastano dei contatti umani, delle esecuzioni pubbliche e della volontà ad imitare, che un modello "passa di corpo in corpo", si riproduce a volontà e a piacere.

Nella decisione di apprendere una danza e praticarla regolarmente non sempre vige un giudizio di merito o di estetica. Spesso scatta quella forza di attrazione che un nuovo - ma talvolta anche un vecchio - ballo esercita su territori limitrofi fino a propagarsi come fatto di costume in una dimensione internazionale. Le ragioni del successo di certe danze sono state varie e dipendono da coincidenze, spesso imprevedibili, di molti fattori. La maggior parte delle grandi famiglie etnocoreutiche hanno assunto rinomanza e si sono diffuse su aree molto vaste, ma, come si è già osservato, non sempre a medesima denominazione coreutica corrisponde medesima forma. Se oggi noi abbiamo tutto il sud d’Italia che è praticamente coperto dal genere dominante chiamato tarantella, così come la maggior parte dell’Italia centrale si identifica nel saltarello, o la manfrina copre varie regioni del centro-nord, tutto ciò è l’effetto di mode coreutiche che si sono ramificate spesso anche in ambienti sociali differenti, poiché le mode procedono sul piano sociale non solo orizzontalmente, ma anche su una linea verticale, facendo transitare da un ceto all’altro espressioni che riescono ad emanare un loro fascino.

In realtà il potere ammaliante e condizionante non sta nel modello espressivo, ma nell’interpretazione soggettiva e temporale che ogni gruppo sociale dà delle proprie e altrui espressioni.

I meccanismi di transito dei linguaggi espressivi sono molteplici:

- acquisto: una comunità può copiare da un’altra un ballo per imitazione, per contatti frequenti, per imparenta menti dei propri membri, per soggiorni periodici, oggi attraverso mode mediatiche e scuole di danza;

- prestito: come si acquista si cede qualcosa del proprio bagaglio performativo, attraverso gli stessi meccanismi sopracitati in direzione inversa;

- scambio: quando due gruppi sociali o dei loro membri vengono a contatto, soprattutto se la relazione è cadenzata o ritualizzata nel tempo, è facile contaminarsi reciprocamente e ognuno acquista o cede qualcosa, sia modelli interi che parti o piccoli elementi stilistici; la frequentazione tende ad assimilare modelli concettuali e comunicativi;

- sostituzione: l’importazione del nuovo può procurare un ripensamento su elementi già in dotazione del patrimonio locale e far scattare uno scambio interno fra l’altrui che giunge e il proprio che viene rimosso.

Ogni comunità è potenzialmente generatrice di pratiche etnocoreutiche, fucina di rielaborazione di modelli allogeni assunti e centro di irradiazione di propri repertori; persino ogni persona è portatore di una cultura coreutica pronta a mettersi in gioco nel contatto con una diversa.

Ma quali sono i principali canali di diffusione e di scambio della danza tradizionale?

a) Migrazioni massive o esodi biblici

Comunità intere che trasmigrano compatte o a scaglioni, hanno spesso portato con sé le proprie abitudini, che tendono a conservare come segno di vincolo ad una appartenenza culturale. La comunità che migrano compatte tendono a conservare gli aspetti che reputano più significativi della propria identità di popolo. Esemplari sono rimaste nella storia le resistenze culturali del popolo ebraico o delle popolazioni nomadi, che dalle Indie si diramarono nei due corni afro-balcanici: nell’Egitto e nell’Africa settentrionale i gitani sino alla penisola iberica, mentre gli tzigani dalla penisola ellenica penetrarono nei Balcani, nel mondo ottomano e

germanico. Ancora oggi, nel ricostruire la storia di alcune danze resta sotto traccia il sospetto che certe espressioni coreutiche siano anche effetto dell’influenza di comunità nomadi, famose per dedicarsi ad un itinerante semiprofessionismo circense e ludico. Nella ricostruzione storica delle pratiche coreutiche si devono considerare quelle presenze di popoli che si sono mescolati ai residenti e con i quali si sono integrati ibrindando saperi ed espressioni. Ecco perché talvolta il ricorso dei primi folkloristi al solito retaggio del mondo antico greco-romano per ipotizzare ascendenze di sorta sono impostazioni infondate, che non tengono conto dell’avvicendarsi sulla scena italiana di numerose popolazioni di etnie slave e germaniche che nell’alto medioevo si stanziarono nella penisola, come i Longobardi, ad esempio, i quali probabilmente hanno lasciato più tracce nel vissuto e nelle manifestazioni artistiche che non nei documenti scritti.

È condizione preclusiva affinché si possano innescare processi sincretici che le società immigrate non perdano i loro tratti identitari, ma che nello stesso tempo gli autoctoni siano aperti all’interrelazione con gli ospiti. In Italia si sono verificati effetti diversi nei tanti casi di innesti etnici sul territorio. Le tante comunità albanesi che sono giunte nell’Italia meridionale a più riprese dal XVI sec. in poi hanno generalmente abbandonato le proprie consuetudini coreutiche d’origine per inseguire una più facile integrazione con i limitrofi paesi a etnica meridionale. Accettare le danze già presenti nel territorio ricevente rappresentava simbolicamente un tentativo di favorire la propria accoglienza e la normalizzazione dei rapporti fra vicini: oggi queste comunità sono tra le più tenaci praticanti di

tarantelle fra Basilicata e Calabria. Solo in un’area ben precisa, alle falde meridionali

del Pollino si conserva un ballo cantato a catena detto valja*, grazie al fatto che si sono insediate più comunità albanesi vicine, creando una sorta di porto franco dell’albanesità. Infatti ai balli si accompagnano la lingua, il rito ortodosso, il costume e altre impronte della cultura d’origine. Un caso inverso è quello dei tabarkini di Carloforte, i cui antenati pescatori partendo nel XVIII sec. da pegni, sul litorale genovese, si stanziarono sulle coste tunisine e fondarono Tabark, da dove furono cacciati ed ebbero ospitalità a ricostruire un nuovo paese. Nell’isola di S. Pietro costituiscono un presidio di vecchie tradizioni della terra madre in parte rivisitate, ma senza integrarsi né loro nella cultura campidanese-iglesiente, né influenzare i paesi vicini; rappresentano un’isola nell’isola, tutt’al più hanno al

proprio interno un'ulteriore nicchia comunitaria rappresentata da decine di famiglie di origine campana, che nel XIX sec. da Procida e dintorni si sono trasferiti nell'isola come abili pescatori di corallo.

b) Colonizzazioni e dominazioni

La storia lascia sempre delle tracce, nulla di duraturo passa invano, anche sotto il profilo etnocoreutico. Quando un popolo ne assoggetta un altro, impone propri valori e modelli culturali, ma soprattutto la propria visione del mondo. Spesso il controllo del territorio si garantiva con l’esercito, ed è stato importante talvolta in questi casi proprio la presenza maschile degli eserciti a trasferire altrove usi coreutici, soprattutto quando le truppe provenivano da una società unica e compatta. Oggi permangono in Istria, Dalmazia e persino fino nella lontana isola di Rodi balli innestati dalla presenza delle truppe e degli agenti commerciali della Repubblica veneta, tant’è che certe danze, come la furlana si è conservata meglio in periferia che nel cuore della vecchia Serenissima. I sette passi, all’inverso, di cui troviamo tracce nelle regioni nord-orientali sono lascito di una presenza asburgica sette-ottocentesca.

c) Migrazioni stagionali e transumanze

Le transumanze o i trasferimenti stagionali sono presenti storicamente da secoli in molte regioni italiane, dove l'orografia imponeva la discesa dalle montagne verso le valli e i litorali più caldi ed erbosi a settembre e il ritorno a maggio. Si tratta in questi casi di migrazioni temporanee maschili: operai, contadini (seguono i tempi delle colture), pastori (esempio: Abruzzo-Puglia) montanari-valligiani (es. Maremma), marinai e pescatori (anche di corallo in Sardegna), facchini e trasportatori (dalle campagne friulane nelle citta venete, dalle regioni meridionali verso la capitale Napoli, ecc.).

Ma vi erano migrazioni femminili, numericamente più esigue e circoscritte: le mondine nelle risaie, le tratte per la prostituzione già testimoniate dall'antichità (vd.

puellae gaditanae) o altri lavori di tipo domestico, come le donne friulane nella

d) Passaggio di mercanti (di metalli, sale, stoffe, spezie, ecc.) e di varie altre categorie ergonomiche (carrettieri o trainieri, carovanieri, ecc.).

e) Trasloco di singoli gruppi familiari.

Ruolo di prestigio lo assumono soprattutto i suonatori, che ovunque andavano erano ben graditi se si inserivano nella pratica repertoriale del luogo di nuovo domicilio.

f) Servizio di leva

Gli eserciti hanno da sempre trasferito (e spesso imposto) la cultura dei dominanti. La storia imperiale romana ne è un lungo ed intenso esempio di imposizione culturale attraverso il controllo militare del territorio.

g) Trasferimenti burocratici (centralizzazione del potere)

I funzionari amministrativi hanno circolato all’interno di uno Stato, portandosi dietro spesso le loro famiglie. Era la capitale di una nazione ad attrarre maggiormente impiegati da ogni parte del territorio, ed era quindi la sua popolazione a beneficiare di arrivi e lasciti culturali, ivi compresi musiche e balli dell’intero paese.

h) Pellegrinaggi e feste lunghe religiose

- a lunga tratta: anno santo (le vie romee, Santiago di Compostela, santuari di Madonne nere)

- a breve tratta: costituzione di compagnie, comitati e paranze. Viaggio in gruppo, fasi preparatorie, accompagnamento o stazionamento (da 3 a 9 giorni, dal triduo alla novena

i) Fiere e mercati

Occasioni frequentatissime che, se pur si svolgevano in pochi giorni, hanno permesso scambi continui di saperi e forme espressive.

CAP. IV