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Dall’autorappresentazione all’arte coreografica: turismo e mercato coreo-musicale

IL BALLO OGGI FRA TRADIZIONE E TRASFORMAZIONE

VIII.02 DAL FOLKLORE AL FOLKLORISMO SPETTECOLARE: IL CASO SARDO

VIII.02.1 Dall’autorappresentazione all’arte coreografica: turismo e mercato coreo-musicale

varie feste religiose, ricorrenze civili periodiche o fiere e mercati sono tempi di confronto e di rispecchiamento reciproco. L’incontro fisico dei membri della comunità e la moltiplicazione di iniziative comuni innescano ogni volta varie reazioni; una di queste è la crescita del bisogno di ostentazione: ci si mostra nelle forme migliori, si producono dinamiche competitive, emulative e presenzialiste. La consapevolezza dell’essere del contare passa attraverso il “mira ed è mirata” di leopardiana memoria: riprendendo i contatti collettivi si rinsaldano i legami, si da forza all’identità di ciascuno, si dichiara o si convalida agli altri la propria presenza. Nel mostrarsi e nell’osservarsi l’intero gruppo si autorappresenta, lo spectare reciproco diventa quindi sinonimo dell’essere e del vivere.

Il ballo collettivo tipico della Sardegna è la miglior vetrina per tale autorappresentazione, nulla è più efficacie e idoneo di su ballu tundu, strutturato apposta per rappresentare la comunità al proprio interno, nelle sue sembianze somatiche, nei gusti dell’abbigliamento, nel linguaggio pur se limitato dei gesti, nel portamento e nelle sfumature stilistiche. Il ballo come atto ludico dona un piacere condiviso, diventa divertimento contraccambiato; il ballo come via alla realizzazione del proprio eros è il luogo delle provocazioni erotiche controllate, dell’attrazioni fisiche, dell’elaborazione di giudizi e congetture incrociate. La piazza adibita solitamente al ballo o il grande spiazzo della cumbessia sono di per sé palchi , scene teatrali, anfiteatri culturali in cui ciascuno interpreta il doppio ruolo di attore e spettatore, così da poter scegliere di volta in volta se aspirare ad essere protagonista (per esempio entrando nel circolo in coppia o in gruppetto) comparsa di riguardo o spettatore esterno.

Ma il passaggio da questa dimensione radicata alla rappresentazione di frammenti di vita artistica della propria comunità evidentemente comporta aggiustamenti concettuali. Le ragioni che spingono un gruppo di persone a mostrare i propri balli agli altri sono diverse e possono variare nel tempo. Il nomadismo coreutico e musicale sono fenomeni antichi. Ballerini e soprattutto ballerine girovaganti erano fatto usuale in età repubblicana romana; puellae gaditane, siriache e danzatori egizi affollavano i banchetti e i saturnalia romani, legando spesso la danza ad una più generale disponibilità a prestazioni erotiche. Dalla classicità al medievo circulatrices e

circulatores hanno trasferito la specializzazione coreutica all’interno di un più ampio

attrarre l’attenzione del pubblico col recitare drammi, suonare, ballare, eseguire giuochi di abilità fisica e improvvisare carmi.

Ma l’organizzazione moderna dei gruppi di spettacolo di ballo popolare é fenomeno abbastanza recente e non anteriore alla fine del XVIII sec. È stato il continuo flusso di viaggiatori eminenti (scrittori, artisti, funzionari di Stato, alti prelati, uomini di legge, ecc.), a far lievitare la domanda di “rustico” e di “selvaggio”, e la danza era prodotto sempre gradito e soprattutto connotativo e differenziato. Per i sardi partecipare ad una esibizione diventava occasione di profitto e di compartecipazione all’aurea di gloria e prestigio del visitatore; entrambe le situazioni elevavano in qualche modo l’infimo a co-protagonista e favorivano l’emersione di suonatore e danzatore all’interno della propria comunità o di un paese rispetto ai limitrofi.

Nell’ultimo secolo un energico slancio all’intensificazione della spettacolarizzazione folkloristica lo ha dato la politica culturale fascista, che faceva del folklore un’occasione di lustro per il regime, di demagogia e di inculturazione ideologica. Nel contempo però nell’esaltare le numerose qualità dell’italianità il

Minculpop ha fomentato l’orgoglio dell’identità culturale locale, traducendo le

emarginate realtà periferiche in preziosi oggetti da mostrare. Nella recente storia repubblicana non sono state le istituzioni a sollecitare l’esternazione del folklore, ma il fenomeno ha continuato in parte per inerzia l’attivismo del ventennio, nel frattempo dagli anni sessanta in poi sono aumentate la domanda di piazza di folklore e la consapevolezza che i tratti distintivi di ogni identità culturale locale stessero per estinguersi. Gli spettacoli ed i concerti rientrano in quell’ampio senso del rimorso collettivo che ha portato prima alcuni intellettuali di base più sensibili, poi le comunità e le esperienze scolastiche più coscienti e solo per ultimo i media (non senza retorica) e alcune istituzioni a salvaguardare le radici mediante campagne di documentazione sul campo e di valorizzazione di tutto ciò che rappresenta il localismo culturale (gastronomia, artigianato, lingua, canto, musica, ballo e storia). Questo movimento ideologico di revival, che vive tuttora a ondate, ha avuto forti implicazioni sulla spettacolarizzazione folk.

La consuetudine ad esporre il proprio ballo (o la ricostruzione della memoria coreutica) in luoghi diversi sottintende una sorta di delega da parte della comunità d’origine verso il gruppo che la rappresenta. Nei paesi dove la pratica del ballo sardo stava estinguendosi, l’aver demandato ad un gruppo la funzione del ballo ha in alcuni

eroso lo spazio della danza viva, i ballerini e i suonatori tradizionali sembravano destinati ad una inesorabile estinzione; più di recente invece il gruppo folk ha contribuito a ripristinare spesso l’uso del ballo tra i giovani garantendogli ancora un futuro, fungendo oggi da vera scuola di ballo popolare per i giovani e spazio di esperienze piacevoli e aggreganti.

La storia del folklorismo sardo è ancora tutta da scrivere, così com’è da analizzare meglio il rapporto fra il folklore da palco e la vera cultura del paese. La Sardegna anche in questo ha peculiarità tutte sue. È in Italia la regione di gran lunga col maggior numero di gruppi folkloristici (quasi 300) in rapporto al numero degli abitanti e dei centri abitati. Ma è anche la regione i cui gruppi, nonostante la mania di elaborazioni coreografiche, mantengono gli impianti modulari cinetici più fedeli alla tradizione. L’attaccamento al ballo e ad altre espressioni dell’identità sarda risponde al bisogno di appartenenza culturale tipico delle popolazioni che si ritengono minoranze etniche. Il sardismo ha contribuito a suo modo a recuperare dignità e fierezza culturale.

Tra i sardi chi può beneficiare di entrambe le dimensioni, quella di una danza ancora viva nel proprio paese e quella spettacolare, è consapevole delle differenze. Chi proviene da luoghi dove la pratica tradizionale si è estinta, può convincersi che la danza popolare del suo paese è essenzialmente quella appresa nella sede del gruppo ed esportata sui palchi.

Anche il dinamico mondo del turismo, importante settore dell’economia sarda, si è accorto dei vantaggi che può trarre - in immagine dell’isola - dall’impiego di delegazioni del folklore. Gli operatori turistici, le scuole di formazione per animatori, i centri estivi e i villaggi residenziali balneari hanno fiutato una pressante domanda di folklore e offrono ai clienti nei luoghi stessi di villeggiatura emozioni etniche chiamando gruppi di spettacolo dall’interno, oppure organizzano escursioni dirette nei luoghi d’origine dei “buoni selvaggi” per provocare impatti emotivi più forti e fornire occasioni per foto-souvenir. Il rapporto tra folklore e turismo è un tema complesso e molto dibattuto da alcuni anni; la Sardegna, terra esuberante di bellezze naturali e di tradizioni insieme, è in prima linea di fronte alla crescente domanda di etnico che proviene dal mondo occidentale. Ogni nuova occasione credo sia neutra e possa divenire danno od opportunità a seconda delle scelte intreprese. I prossimi anni saranno cruciali per le sorti delle tradizioni autentiche nell’impatto con una nuova forma di penetrazione-invasione dell’isola. Già in questi anni è successo che nei giorni

paesi d’origine perché richiamate per proficue presenze di rappresentanza in Costa Smeralda o a Cagliari, privando la propria gente di un antico rito.

Il turismo, se gestito male e nella sola ottica commerciale, può divenire un compressore di identità e di alterità. Di fronte al bisogno di “purezza” e di “autenticità” dei villeggianti, il gruppo organizzato di spettacolo folk può assumere la funzione di “muro a specchio”, mostrando evocazioni e fungendo da intercapedine per salvaguardare la realtà endogena. Nel futuro si prevede che il mercato del folk andrà intensificandosi, la globalizzazione di economie e di culture travolge anche le realtà periferiche; sarà necessario rispondere con criteri più tutelanti alla progressiva richiesta di “ethno” e di “world music”. Sarebbe importante riscoprire una nuova mansione di operatori culturali per demologi ed antropologi, in modo da avviare per tempo un’adeguata opera di informazione-formazione sia verso il possibile utente che verso i “distributori commerciali di folk”.