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La “Rivista” del De Gubernatis

Sul finire dell’anno 1893, al dodicesimo anno di vita dell’”Archivio” del Pitrè, Angelo De Gubernatis intraprende la coraggiosa iniziativa di dare vita ad una seconda e parallela esperienza editoriale periodica, addirittura a cadenza mensile, pur con fascicolatura più scarna. Verso la nuova e concorrente rivista l’”Archivio” evidenzia probabilmente un fastidio perché la ignora del tutto nelle sue recensioni. Il De Gubernatis, studioso di sanscrito e di culture orientali, si apre a nuovi interessi etnologici, nei cui ambiti vuole portare a realizzazione personali aspirazioni, così si pone come altro punto di riferimento degli studi demologici in Italia, e lo fa

espressione di una neonata Società scientifica e con il patrocinio della regina Margherita in persona. Il disconoscersi a vicenda è una esplicita dichiarazione di competizione e avversione condivise; d’altra parte l’esiguo mercato di possibili lettori di cose folkloriche rischiava di rendere dura la vita editoriale per entrambe. Ma fu la neonata “Rivista” del De Gubernatis a soccombere ben presto.

Nella sua lunga premessa del primo numero (dicembre 1893) egli giustifica la sua nascente impresa con varie motivazioni, non scevre di ridondanza retorica, visione classicista e sincero entusiasmo demologico:

- porre in evidenza l’urgenza di un basilare diritto di cittadinanza delle culture dei popoli italici;

- esporre l’abbondanza dei loro saperi e delle loro pratiche peculiari: «I tumuli della tradizione italiana sono numerosi e diversi; conviene dunque evocare, in ogni parte, questa grande sepolta viva»

- il quasi obbligo di una appena formatasi Società Nazionale per le Tradizioni popolari italiane di avere un proprio organo di stampa per attuare una sua missione destinata a incidere anche sul piano legislativo del giovane Stato unitario: proprio sul piano politico le intenzioni però si fanno vaghe e confuse, quasi inesistenti i percorsi strategici per giungere ad una valorizzazione anche giuridica delle consuetudini locali. La “Rivista” vorrebbe far riconoscere presso la classe intellettuale nazionale un ruolo pubblico e specifico dei folkloristi, al fine di far assegnare loro nuove spettanze negli studi accademici e nella vita culturale della giovane Nazione unitaria. Nel contempo il De Gubernatis si sofferma a individuare i vasti ambiti di studio della nuova disciplina. Ma nell’elencazione con abbondanza di particolari, si percepisce l’intenzione di giustificare l’entrata in campo del nuovo periodico e di renderlo complementare al già esistente e affermato “Archivio” pitreiano. Molti degli argomenti che vengono consigliati come terreni di indagine in realtà erano sfuggiti fino ad allora al Pitrè, come la musica e il ruolo dei suonatori, l’abbigliamento, le varie attività ergonomiche, i cantastorie, gli spettacoli di strada, il teatro popolare, le danze, ecc. La “Rivista”, però, non fu quella ventata di novità che si prefiggeva di essere; certo alcuni aspetti trascurati dall’”Archivio”, prendono campo, ma predomina anche qui la narrativa popolare: leggende, novelle e racconti rappresentano pur sempre la parte più consistente della rivista. Inoltre la maggior parte dei contributi si riducono - anche a causa dell’esigenza di raccogliere frettolosamente gli scritti per le ravvicinate

nel dettaglio, né tanto meno analizzati e studiati. Si cerca di raggruppare gli interventi per rubriche tematiche (leggende, novelline, canti, usanze, credenze e superstizioni, psicologia, ecc.) e talvolta si forniscono questionari tracciati per la trattazione ai corrispondenti. Vi sono “questioni” più sentite che tornano ad affacciarsi in numerosi fascicoli, come quella sull’origine e il significato della canzoncina di Maramao. Alla fine del primo anno di vita, il direttore nel suo editoriale fa un bilancio entusiastico dell’opera, si promette di fornire in dieci anni di vita futura della “Rivista” circa diecimila pagine di etnografia agli appassionati della disciplina. Di lì a sei mesi il mensile cesserà le pubblicazioni, senza che la direzione fornisca ai lettori alcuna spiegazione.

Nonostante le volenterose premesse, i risultati dal punto di vista delle dirette rilevazioni sul campo delle pratiche coreutiche popolari sono deludenti, poiché l’attenzione per gli aspetti etnocoreutici risulterà alquanto scarsa. Non vi sono veri articoli tematici di ragguardevole consistenza, ma la danza rientra episodicamente in descrizioni di usanze varie, feste e carnevali. Il raffronto con l’Archivio è inopportuno, a causa della breve durata della “Rivista”, che forse avrebbe potuto fornire materiali di maggior spessore sulle tematiche qui dibattute. Il “Folklore” e “Il Folklore Italiano” di Raffaele Corso ne prenderanno più avanti l’eredità, e, così come la rivista “Ricreazione”, dedicheranno alla danza maggiori attenzioni.

Fra i pochi accenni ai balli, troviamo: Il contentino dell’ahi in Emilia, il saltarello nelle Marche e a Roma e alcuni balli-gioco nel Cremonese.

NOTE

1 Segnaliamo i seguenti trattati: Domenico da Piacenza, De Arte saltandi et choreas ducendi, Paris,

Bibliotèque Nationale, 1455; Guglielmo Ebreo da Pesaro, Della virtute et arte del danzare, (f. ital. 973), Paris, Bibliotèque Nationale, 1463; Cornazano Antonio, Libro dell'Arte del danzare, (Cod. Capponiano 203, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana), 1465; Zuccolo Simone, La Pazzia del Ballo, Padova, Fabriano, 1549; Corso R., Dialogo del ballo, Giacarello, Bologna 1557; Compasso Luti, Ballo della gagliarda, 1560; Caroso Marco Fabritio, Il Ballarino, Venezia, Ziletti, 1581; Luzi P., Opera bellissima nella quale si contengono

molte partite et passaggi di Gagliarda, Perugia, Orlando, 1589; Caroso Marco Fabritio, Nobiltà di Dame,

Venezia, Ziletti, 1600; Lupi L., Mutanze di Gagliarda, Tordiglione, Passo e mezzo, Canari e Passeggi, Palermo, Carrara, 1600; Negri Cesare, Le Gratie d'Amore, Milano, Pontio e Piccaglia, 1602; Negri Cesare, Nuove

2 Toschi Paolo, presentazione del testo di Penna Renato, La tarantella napoletana, Napoli, Rivista di

etnografia, 1963, p. 3.

3 Torniai Renato, La danza sacra, Roma, Edizioni Paoline, 1950. Cfr. anche Maraffi Dario, Spiritualità della

musica e della danza, Milano, F.lli Bocca Editori, 1944.

4 Pressacco Gilberto, Sermone, cantu, choreis et ... Marculis. Cenni di storia della danza in Friuli, Udine,

Società filologica Friulana, 1991; dello stesso autore Il canto/ballo dell’arboscello in G. Mainerio e G. Croce, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1990.

5 Andreella Fabrizio, Il corpo sospeso. La danza tra codici e simboli all’inizio della modernità, Venezia, Il

Cardo, 1994; cfr. anche Arcangeli Alessandro, Davide o Salomè? Il dibattito europeo sulla danza nella prima

età moderna, Viella,

6 Per i documenti sinodali inerenti il rapporto fra Chiesa e le tradizioni popolari in Italia cfr. Corrain

Cleto, Zampini Pierluigi, Documenti etnografici e folkloristici nei sinodi diocesani italiani, Bologna, Forni editore, 1970.

7 L’esclusione del mondo contadino dalla produzione letteraria medievale è stata talmente radicale che persino la

manualistica di tecniche agrarie e zootecniche, così rilevante in una certa letteratura latina, quasi svanisce nel Medioevo perché il tasso di analfabetismo nelle campagne è talmente elevato che scoraggia qualsiasi investimento in pubblicazioni di codici manoscritti, oppure i pochi esemplari sono scritti in latino per un’utenza religiosa conventuale.

8 Si segnalano, ad esempio, Alessandra Macinghi Strozzi, Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Veronica Gambara,

Isabella di Morra, Laura Terracina e Tullia d’Aragona: si tratta in genere di poetesse di origini aristocratiche e di scuola petrarchesca, che non hanno dedicato molta attenzione alla musica e alla danza, a conferma del prevalere di un’etica cristiana soprattutto sul ruolo femminile nella società.

9 Cfr. Toschi Paolo, Le origini del teatro popolare italiano, Torino, Boringhieri, 1956; D’Ancona Alessandro,

Origini del teatro italiano, voll. 3, Torino, Loescher, 1891.

10 Tra i primi menzioniamo Severino Ferrari, Francesco Novati, Giosuè Carducci, Giuseppe Zannoni, Vittorio

CAP. II