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LA VITA DEL BALLO POPOLARE

III.1 LA NASCITA DI UN BALLO

Come e quando nasce un ballo di tradizione? È una domanda non solo legittima e forse la più frequente da parte di chi si interessa di folklore coreutico, ma che denota anche una questione dirimente. Ciascuna danza di uso locale prima o poi deve aver avuto origine in qualche luogo, ma l'aspetto più interessante è riuscire a constatare come nasce una danza in ambito non culto, quali sono i motori di creazione e le procedure di "confezionamento" e di adozione di un nuovo modello. Di quasi tutti i balli tradizionali oggi attivi o rimossi di recente si ignora il momento fondante, per vasta scarsità di notizie storiche. Ogni comunità riceve e riusa dalle precedenti generazioni delle consuetudini coreutiche senza chiedersi ragioni o acquisire conoscenze sulle origini di un ballo, ma sa che può adattare ciò che gli è stato consegnato ai contesti ed ai linguaggi corporei. Anche quando parte una nuova forma di danza, non si sa mai l'esito che può sortirne, se cioè avrà riscontro nel tempo o se sarà solo fenomeno transitorio. Negli ultimi due decenni in Italia si è assistito ad una reivenzione di nuove danze, che, se pur chiamate con nomi della tradizione, sono a tutti gli effetti modelli nuovi, sia sul piano strutturale, che stilistico: la nuova pizzica, la nuova tammurriata urbana, o la nuova versione di

tarantella alla carpinese, il nuovo saltarello marchigiano e altre circolanti negli

ambienti giovanili folk, se metteranno radici nelle future generazioni e localmente, si può dire che si è potuto constatare la fase costituente e quei fattori che li hanno ingenerato. Ma della danze del passato è già tanto se abbiamo accenni della loro esistenza in qualche periodo del passato o, al massimo, alcuni riferimenti esecutivi; tuttavia è possibile ricomporre motivi generatori e dinamiche della costruzione dei processi di appropriazione e appartenenza.

a) Casualità e intenzionalità.

Innanzitutto c'è da distinguere fra casualità e intenzionalità nell'invenzione coreutica: alcuni balli sono sgorgati spontaneamente o per scherzo in qualche festa o lieto ritrovo fra amici, e ciò che ai primi tempi poteva sembrare un'improvvisazione effimera o un passatempo, può risultare gradito al resto del paese ed essere appreso, codificato ed entrare nell'uso. La nascita locale di un ballo spesso è affidata alla casualità, all'improvvisazione, alla parodia del preesistente.

Rara è l'intenzione di costruire un ballo, ma nella storia non mancano casi di invenzioni dettate dalle occasioni sociali particolari: ad esempio, una grande officina di costruzione di balli nuovi è stato il carnevale e la presentazione di carri (quadriglie o trionfi) a tema o per categoria sociale, nella quale dal XV al XVII sec. era prevista la creazione di nuove canzoni a ballo che andavano eseguite su schemi coreutici già noti o su nuovi impianti coreografici costruiti per l'occasione.

b) Creazione individuale e assunzione collettiva.

Era tipico degli ambienti aristocratici avere coreografi a pagamento per l'invenzione di nuove danze. Ma talvolta anche in ambienti cittadini di varia appartenenza sociale poteva esserci un coreografo o qualcuno che si prendeva la briga di organizzare performances coreiche. Ma l'etnicità di un repertorio si ottiene in una seconda fase, quando la comunità sceglie di adottare una creazione privata e trasformarla in tratto distintivo di quel territorio. In effetti quasi mai si tratta di una decisione esplicita e consensuale, ma è un'acquisizione implicita, un procedere per imitazione senza ragionata e dichiarata deliberazione.

c) Creazione collettiva

Per creazione collettiva s'intende innanzitutto una fabbricazione di un impianto di ballo con l'apporto di più persone. Questo accade quando certi balli sono affidati per delega ad un solo individuo, una sola coppia, un'unica famiglia, o è in appannaggio di uno specifico gruppo sociale. Nella storia del ballo popolare vi sono vari casi che ricadono in questa ipotesi di creazione sociale. Le varianti delle

moresche antiche, i balli pantomimici dei mattaccini, le soluzioni geometriche e le

architetture corporee delle forze d'Ercole, le rappresentazioni danzate delle compagnie carnevalesche sono testimonianza efficaci. Anche nella tradizione dell'ultimo secolo vi sono esempi di delega sociale alla funzione coreutica. Nelle aree interne della Campania, fra Sannio beneventano e Matese, ad esempio, aveva una certa notorietà una cosiddetta "tarantella dei carbonai", un ballo di mestiere erratico, i cui membri (spesso tale attività era, per ovvie ragioni di formazione professionale, ereditaria) risiedevano diversi mesi all'anno nei boschi spostandosi in continuazione a seconda delle caratteristiche dei luoghi, del legame, delle licenze territoriali e della domanda. Le evoluzioni dei battitori del taratatà siciliano, la

composizione delle torri umane del pizzicantò meridionale o dei corrispondenti

castellers catalani sono il risultato di adattamenti o parziali invenzioni decise in

comune.

Se a gestire le ideazioni danzate sono gruppi appositi, spesso il loro livello tecnico è elevato, perché poggia su esperienza e competenza di pochi. In caso, invece, di vera costruzione pubblica di un canovaccio orchestico, spesso questo ha un carattere semplice e compartecipativo.

d) Strutturazione graduale per accumulazione

Alcune danze attive che noi possiamo constatare nella tradizione italiana spesso sono il risultato di una elaborazione susseguente di un modello originario giunto dall'esterno e arricchito dalla società che se ne è impossessata. I modelli originari vengono così stravolti sino a snaturarne i caratteri precedenti, ed oggi la struttura complessiva di certe danze sono il risultato di una sedimentazione di figurazioni aggiuntesi in tempi diversi. Non è solo il caso della quadriglia che ben si presta ad essere manomessa dalle scelte e dai comandi di un maestro di sala, ma anche le

tarantelle comandate che troviamo dall'Abruzzo meridionale fino alla Basilicata

settentrionale. Queste ultime sono partite da strutture coreografiche semplici bipartite o al massimo tripartite, ma poi con l'uso locale e la perizia di certi corifei, hanno infoltito di parti aggiuntive la composizione complessiva del ballo.

e) Alterazione radicale di un modello precedente

Una comunità può legittimamente decidere del destino di ogni repertorio che le proviene dal passato e dai propri ascendenti; se in esso si riconosce lo perpetua in maniera possibilmente fedele, ma non è raro che proceda ad una riplasmazione morfologica, magari per apporto graduale, col produrre poi un'alterazione così profonda da rendere i tratti fisici del ballo modificato così differenti da poter considerare la risultante finale una sorta di nuova entità. Il problema sta nel fatto che tali cambiamenti possono avvenire lungo un ampio arco di tempo, da far perdere la coscienza ai discendenti ultimi di quale fosse l'archetipo per prendere coscienza dell'evoluzione subita della danza.