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Polisemia e polimorfia: una forma espressiva multidisciplinare

IL BALLO CANTATO IN ITALIA

A) Polisemia e polimorfia: una forma espressiva multidisciplinare

Lo studio della canzone a ballo apre e sviluppa un interessante settore sia nella letteratura che nella coreologia e nell'etnocoreologia ed affronta il complesso problema della interdisciplinarietà del fenomeno coreutico; esso privilegia in particolar modo il rapporto che intercorre fra il canto e il ballo, cioè fra la comunicazione melo-linguistica e la realizzazione cineto-coreografica. Ognuna delle componenti di questo trinomio indissolubile poesia-musica-danza aveva una propria natura e vita, ciascuna esprimeva autonomamente dei significati propri ed era rivestita con una specifica forma; da ciascun tipo d’arte di cui si compone il canto a ballo, l’ascoltatore-spettatore trae messaggi e ne osserva l’aspetto esteriore. Sia il testo che la melodia e l’insieme dei movimenti del corpo possono infatti esprimere sensazioni (gioia, tristezza, paura, amore, ecc.) che idee (riflessioni, sogni, ricordi, progetti, ecc.), ciascuno con il proprio linguaggio. Tre lingue in una sola, dunque, tre campi espressivi in un’unica sintesi d’arte.

Se oggi può sembrare alquanto singolare la convergenza in un'unica entità di generi espressivi che consideriamo diversi, così non era nell'antichità classica la concomitanza tra poesia, musica e danza. Il canto a ballo ci riporta al significato originario di poesia e alle sue arcaiche modalità di realizzazione. La poesia, detta appunto ‘carme’ (da canere = cantare), era difatti un canto, cioè parole in versi modulati, questo valeva anticamente sia per la poesia popolare che per quella colta e letteraria. Nel mondo classico sino al Rinascimento esistevano vari schemi metrici precostituiti: ogni modello poetico forniva all'autore strutture ritmiche e melodiche cui attenersi. Spesso alle sollecitazioni melo-ritmiche del ‘carme’ si rispondeva con la danza. La poesia poteva dunque divenire un crogiuolo di espressioni artistiche, era un trittico espressivo che l’esigenza di spettacolarizzazione rendeva inscindibile.

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. L'esempio più pertinente era dato dall'azione del coro nel teatro greco, le cui rappresentazioni consistevano nel cantare e danzare (talvolta mimando) un testo narrativo o lirico, con o senza accompagnamento di strumenti musicali. Ancora oggi il lessico derivato ("coro" e "coreo") indica, dietro un'apparente ambiguità, una matrice comune di forme espressive oggi considerate indipendenti. Anche gran parte della terminologia poetica di base, usata in retorica, ci svela l'origine coreutica della poesia: strofe (voltata del coro), piede (modulo cinetico eseguito dai piedi), verso (piede voltato, frase cinetica), ritornello (movimento coreografico in tondo, controgiro, ritorno al punto di partenza), ecc.

Questo modo di intendere e di interpretare la poesia, che possiamo definire melo- coreutica, è una concezione antica, che è andata lentamente perdendosi in ambito culto dall'evo moderno in poi, ma è rimasta ben radicata nella cultura orale tradizionale con i suoi numerosi esempi di balli cantati, o nell’uso della canzone della musica leggera contemporanea, che prevede una possibile trasposizione in ballo del brano. Più saldo è rimasto nel tempo il vincolo fra poesia e musica, soprattutto nell’uso folklorico, dove ancora oggi non si intende la poesia se non attraverso l'adeguamento a modelli canori precostituiti. L'ottava rima e le terzine o le quartine della poesia a braccio dell'Italia centrale e le poesie cantilenate del sud, così come gli stornelli, gli strambotti, i rispetti e le villotte rappresentano la persistenza di una cultura melo-poetica antica. La prima forma artistica a dissociarsi dall'originaria combinazione ternaria espressiva sembra essere stata la danza, in seguito anche la musica è stata messa da parte in letteratura: già dal tardo medioevo la poesia d’autore poteva essere secondo i casi recitata o modulata. Ma sull’altro versante noi troviamo che fino a tutto il rinascimento alcuni generi poetici come la ballata o canzone a ballo, la cantilena, la frottola, la villotta e la villanella hanno perpetuato le antiche condensazioni d'arte, in quanto nate strutturalmente per essere cantate e ballate così come i balli cantati popolari odierni. Nella tradizione popolare, oltre al persistere di un ampio campo di canti ballati, restano degli spiragli che fanno intravedere in origine un uso coreutico di canti oggi non più accompagnati dalla danza: gli stornelli, ad esempio, hanno spesso forti attinenze ritmico-melodiche con alcuni canti a ballo che accompagnano i tresconi, le veneziane, le furlane, i saltarelli e le

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. tarantelle; oppure basta osservare nell’Italia meridionale l’uso degli stessi testi cantati

sia per eseguire la serenata che per accompagnare la tarantella. B) Coralità, identità collettiva e formazione dell’homo civicus

Per molti secoli il ballo cantato è stato eseguito con forme coreografiche collettive; tra queste regnava il ballo tondo. Tutto ciò non era né casuale, né insignificante. Il ballo cantato era un’occasione privilegiata di comunicazione comunitaria, un evento d’incontro e di relazione sociale. Essendo una forma d’arte condensata, come si è detto, la sua capacità espressiva e comunicativa era triplicata, nonostante fosse realizzata secondo modalità rituali e reiterate. La presenza del testo permetteva uno scambio linguistico (in genere stereotipato ma con possibilità di scelta fra temi vari, in rari casi era possibile l’improvvisazione estemporanea), induceva ad un’esibizione delle possibilità canore dei singoli o del gruppo; infine il ballo esprimeva il composito linguaggio del corpo con le sue manifestazioni più ricorrenti come l’intesa amorosa, la gagliardia e la competizione fisica, e portava all’omologazione dei modi comportamentali e posturali. Il canto a ballo dunque più di altre espressioni della comunità ha espresso nel passato, ed ancora oggi esprime, una identità di gruppo ed è al tempo stesso un’occasione tra le più efficaci di educazione alla socialità.

Il ballo cantato in forma corale e circolare possiede una marcata significazione magico-simbolica e rappresenta un rito che afferisce alla sfera religiosa (da religere, legare, unire); creando e manifestando tale atto creatorio in fieri, gli uomini si ricongiungono col sacro e si sacralizzano essi stessi attraverso figure geometriche (il circolo) di alto contenuto magico e religioso. Le danze cantate sono spesso corali, manifestazioni massime dell’essere comunità, la gente si lega ed esprime tale legame collettivo in maniera forte e pregnante, con una grande intensità sensoriale: il tatto (i danzatori si toccano), l’udito (ascoltano il canto e il battito di piedi e mani), la vista (si osservano, vedono le coreografie e l’evolversi dei corpi nel tempo e nello spazio, comunicano con mimica e gesto), e l’olfatto (si trasmettono odori) partecipano e rinsaldano i vincoli dell’esistere e del sopravvivere insieme, sottolineando il bisogno degli uomini d’essere animali socievoli per meglio affrontare la loro precaria

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. esistenza. Ancora oggi davanti all’esecuzione rituale di alcuni balli tondi sardi, ad esempio, si percepisce tutta l’importanza e la ieraticità del rito collettivo.

Sul piano più propriamente formativo, il ballo cantato è difatti una scuola polivalente, una lezione di educazione civica ogni volta che lo si esegue: educa il cittadino sin da giovane età alla convivenza con i suoi simili e forma al concetto di gruppo; diventa un momento importante di educazione al movimento e al canto, esaltando le capacità motorie, ritmiche e vocali di ciascuno; se il canto è alternato induce al senso dell’alterità, dell’esistenza dei ruoli e della loro alternanza, nella danza circolare infonde un profondo senso di uguaglianza e di giustizia attraverso l’insistenza su alcuni simboli geometrici e l’equidistanza dal centro; permette attraverso la rotazione di poter osservare la realtà da tutti i punti di vista posti attorno al fulcro centrale, inculcando tacitamente i concetti di obiettività e soggettività nell’osservazione del mondo e della vita.

Le forme coreografiche della danza si evolvono di pari passo con la società che le produce o le adotta; come il cerchio chiuso allude ad una pariteticità di diritti e di ruoli sociali, così il cerchio aperto inevitabilmente mette in risalto il corifeo che dal capo della fila conduce la danza e possiede, rispetto agli altri ballerini, un potere decisionale ed espressivo maggiore. L’introduzione di variazioni di figure rompe l’iteratività del rito e la riconferma di una identità essenziale della collettività, introducendo un’ottica di consumo e un’ansia di innovazione, cosìcché anche la danza diventa instabile e pare porsi alla ricerca continua di un compimento sotto la guida di un leader che conduce le evoluzioni coreografiche. Negli ultimi secoli il ballo cantato si è articolato in numerose soluzioni coreutiche, procedendo di pari passo con la complessità dei sistemi di vita delle società di appartenenza: il canto a sua volta ha assunto funzioni varie: di organizzazione narrativa del ballo, di invito al ballo, di dialogo fra protagonisti, di rappresentazione dei fatti quotidiani o straordinari con l’ausilio della pantomima, ecc.

Il ballo cantato educa anche al senso e alla fruizione dello spettacolo, in quanto esso stesso amplia la spettacolarità dell’evento coreutico: tutti i partecipanti rappresentano e si rappresentano; il guardare ed essere guardati, l’ascoltare ed essere ascoltati stanno alla base di una concezione di spettacolo attivo, nel quale ciascuno

Giuseppe Michele Gala, Etnocoreologia italiana. Ricerca e analisi sui balli tradizionali in Italia. alternatamente vive ed inverte il ruolo di spettatore e di attore, producendo spettacolo e assistendovi contemporaneamente.