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Verso nuove dimensioni fra storia, studi e improvvisazion

IL BALLO OGGI FRA TRADIZIONE E TRASFORMAZIONE

VIII.01 IL BALLO DELOCALIZZATO:

VIII.01.2. Verso nuove dimensioni fra storia, studi e improvvisazion

A chi si è affacciato solo di recente in questo poliedrico mondo, sarà forse necessario fornire cenni di una storia del movimento etnocoreofilo in Italia, in cui possiamo distinguere fasi diverse di sviluppo.

La prima fase, risalente ai decenni precedenti l'ultima guerra mondiale, è stata contrassegnata da un forte e diffuso radicamento nei luoghi di appartenenza dei balli tradizionali, da scarse e inadeguate esperienze di documentazione etnocoreologica sul campo, da sottovalutazione del fenomeno etnodanza da parte delle discipline etno- demo-antropologiche e dalla forte tendenza a spettacolarizzare i balli da parte di gruppi organizzati ad uso dei viaggiatori stranieri, per prestigio di regimi politici e per retorica etnocentrica.

Per giungere ad una seconda fase si è dovuto attendere gli anni '60 e '70 quando la danza etnica ha rischiato la definitiva scomparsa nel nostro Paese e contemporaneamente è nata una presa di coscienza elitaria, di pochi ricercatori che con l'entusiasmo dei neofiti e con il sottile piacere dell'esplorazione, hanno aperto la stagione dell'indagine sul campo (locale o a tutto campo, come nel caso del

culturale dell'etnocoreologia negli ambienti dell'intellighentia italiana; ma è questo anche il tempo dell'improvvisazione, delle mescolanze indebite, di accostamenti superficiali, di alterazioni di repertori e soprattutto della confusione di ruoli, tanto da creare spesso prodotti coreutici, linguaggi e ritualità sociali nuovi.

Dalla metà degli anni Ottanta è iniziata anche una terza fase, quella della costituzione sul piano teorico di una disciplina autonoma (l'etnocoreologia) e della riorganizzazione del fenomeno di riuso o riciclaggio di espressioni popolari; l'etnocoreutica come disciplina autonoma ancora non riesce ad avere lo spazio ufficiale che le compete, ma vive all'ombra del revival consumistico del folk. Nonostante la condizione di marginalità, siamo riusciti con l'Ass. Taranta a coordinare a organizzare dei convegni di studio a far nascere la presente rivista (Choreola) e una collana discografica (Ethnica) specializzate, creando così terreni di confronto fra i pochi ricercatori che l'Italia ha avuto in questi anni. In concomitanza sul piano del consumo folk-coreutico si è registrato una crescita del fervore praticante, del desiderio di vivere somaticamente le sensazioni del ballo tradizionale. Un attivismo che veniva dirottato secondo i gusti e le mode verso vari filoni coreuitici. Per stimolare o soddisfare questa domanda si organizzano dei corsi didattici di approfondimento o di contatto diretto col folklore di provenienza (Estadanza, inverni occitani, E bene venga maggio, stages calabresi e pavesi, Carpino Folk Festival, ecc.), circolano dei bollettini di informazione, si tengono numerosi corsi pratici, animazioni e spettacoli; di recente si abbinano colossali o minuscoli festival di musica folk con corredo di rapidi corsi prêt-à-porter e raduni ballerecci, partono le prime esperienze di “discoteche folk” accanto ai più consolidati “folk club”. Per non ripetere noiosamente gli stessi balli (processo che ha sempre contraddistinto proprio la tradizione), il mercato folk offre ampia scelta: si passa dalla moda “irlandese” a quella “occitana”, dalla “israeliana” alla “balcanica” o “basca”. Di recente - alla fine degli anni Novanta - sorprendendo anche gli addetti ai lavori l'utenza urbana ha riscoperto il nostro Sud e il fascino dei ritmi meridiani: il fascino della mitica tarantola porta masse di giovani nei luoghi stessi della tradizione come in una sorta di pellegrinaggio laico nel quale “bagnarsi” personalmente in emozioni tarantellare: dal sud stesso esplode un'ondata crescente di riappropriazione: il tragitto verso la purificazione di massa per i primi e verso il recupero dell'indentità per i secondi travolge la fragile tradizione autentica e ne restaura una nuova, spesso senza alcun rispetto per i portatori e per le forme autentiche della tradizione. Le

di immagine, così incoraggiano spesso tale consumo, unendo la musica e il ballo tradizionali al prodotto culinario tipico, al paesaggio e all'arte di un luogo; l'industria discografica delle majors da tempo annusano e sperimentano il nuovo mercato perché vedono che la voglia di “sballo” determinato dal ballo traina musica, concerti, vendite di cd, libri, spartiti, strumenti musicali, turismo, denaro.

In questo nuovo Far West, che inebria per le sue inalazioni di contaminazione creative, la tradizione, origine e spesso involontario epicentro di questo mondo, può rischiare un sorta di collasso per overdose o per esagerata somministrazione di elementi spuri, accattivanti e di forte impatto.

Io credo allora che sia venuto il tempo di completare la seconda fase per preparare l'avvento di una terza fase, quella istituzionale. Per fare questo occorre riaprire una profonda riflessione costruttiva, consuntiva e progettuale sull'intero fenomeno, parallelamente bisogna curare soprattutto tre settori: la ricerca, la didattica, l'emersione. Questo vuol dire iniziare a definire i ruoli professionali dei ricercatori, degli insegnanti e dei coreografi; enumerare, catalogare, confezionare e divulgare il materiale documentario fin qui acquisito; definire (quindi purtroppo squadrare un evento in parte magmatico), classificare e fissare repertori; distinguere forme di tradizione e artistiche, saper gestire una domanda con rigore e correttezza di offerta. Inoltre occorrerà che il tenue processo di studi raggiunga uno spessore ed una maturità tali da emergere attraverso i media e abbandonare la condizione di semiclandestinità. Molto lavoro, e molta strada aspettano questo settore. È errato attendere che la ristrutturazione avvenga dall'alto per via burocratica, poiché siamo per il momento pur sempre dinnanzi ad un fenomeno fluido e torrentizio.

In attesa che il lavoro dei pochi etnocoreologi oggi presenti in Italia venga riconosciuto anche dalle strutture universitarie e che il fenomeno di consumo prenda coscienza, si stabilizzi socialmente e si identifichi in una propria specifica fisionomia, abbiamo pensato che vadano definiti dei ruoli precisi fra i vari operatori del settore, iniziando soprattutto dalla formazione: formazione dei ricercatori e formazione degli insegnanti. La figura del ricercatore etnocoreologo deve spettare soprattutto a quei dipartimenti universitari che con lungimiranza faranno propria questa funzione di sopperire una lacuna culturale in campo demo-etno-antropologico. Quello del trasmettitore dei balli popolari in ambito non tradizionale è invece una funzione che è possibile sin da subito costituire.