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LA BREVE STORIA DELL'INDAGINE ETNOCOREUTICA IN ITALIA

LA RICERCA ETNOCOREUTICA IN ITALIA

II.2 LA BREVE STORIA DELL'INDAGINE ETNOCOREUTICA IN ITALIA

Investigazioni sistematiche o metodiche sul terreno, con finalità schiettamente etnografiche in senso moderno, sulle danze popolari in Italia non ve ne sono state fino alla seconda metà del XIX sec., almeno stando alle conoscenze attuali. Vi sono però tra i secc. XVI e il XIX sec. esperienze sporadiche ed occasionali che emergono da opere letterarie, diari di viaggi, epistolari privati, lettere pastorali o indagini statistiche. Queste isolate indagini possono suddividersi in intenzionali e preterintenzionali: nelle prime vi è la volontà di registrare le modalità del ballo con le tecniche verbali in possesso degli estensori, nelle quali si percepisce lo sforzo a rendere comprensibili, mediante la parola, le strutture coreografiche e la trama della danza osservata; nelle seconde si descrive una qualche danza di popolo per finalità artistiche, liriche e comunque non a carattere informativo in senso stretto. Alcune di queste descrizioni sono di una precisione descrittiva tale, che non solo permetterebbero quasi di poter rieseguire oggi la danza riportata, ma che superano nel dettaglio e nella tecnica descrittiva molte pubblicazioni degli ultimi decenni d'aspirazione scientifica. Tra le spiegazioni documentarie intenzionali riportiamo alcuni esempi.

Un primo riscontro proviene da commentatori cinquecenteschi del Decameron di Boccaccio, i quali con chiare intenzioni filologiche, hanno voluto verificare la veridicità di alcuni elementi di costume citati nell'opera. Nella seconda novella dell'ottava giornata la protagonista indiscussa è monna Belcolore di Varlungo, borgo agricolo nel '300 nelle vicinanze di Firenze, oggi quartiere di periferia della città. Nel descrivere con poche pennellate il personaggio, Boccaccio precisa fra le sue

caratteristiche "… era quella che meglio sapeva sonare il cembalo, e cantare L'acqua corre alla borrana, e menare la ridda e il ballonchio".

Da una raccolta manoscritta della Biblioteca di Lucca del XVI sec. si legge una nota di commento alla suddetta canzone:

«Canzone della quale fa menzione Giovanni Boccaccio nella novella della Belcolore; la quale si canta ballando e scambiandosi del ballo tondo da un luogo all'altro, secondo il desio, andando appresso a chi più gli piace

L'acqua corre alla borrana, e l'uva è già vermiglia;

e 'l mio amore mi vuol gran bene, e datemi quella figlia.

Questo ballo none sta bene, e potrebbe star meglio. E tu, ... compagno mio, vanne a lato al tuo desio, e quivi ti sta fermo."2

Ma più preziosi ragguagli ci fornisce un altro commentatore anonimo del XVI sec., il quale si preoccupa di precisare con sorprendente cura le modalità di esecuzione del ballo; riproponiamo l'intera citazione, rinvenuta e pubblicata da Mussafia3:

«Io udi' cantare a Rovezano l'anno 1552 quella canzone di che fa mentione il Boccaccio, che comincia: "L'acqua corre alla Borrana", la quale è questa appresso et cantasi nel modo ch'io dirò. Cantasi in ballo tondo, dove sia ugual numero di huomini et di donne, disposti un'huomo et una donna, et colui che la impone comincia così, nel tuono di quella canzone che voi potete aver sentita: Quanti polli è in sul pollaio.

L'acqua corre alla Borrana

Et l'uva è nella vigna - alias Et fa tremar la foglia

ché così diversamente da due diverse persone la senti' cantare.

Ripetonsi per le persone del ballo questi due versi nel medesimo tuono, et così detto, colui che impone si parte dal lato suo et va a quella donna che gli è da man ritta, et presala con la man manca la leva del lato suo dicendo nel medesimo tuono:

Et datemi questa figlia

Et ritornasi con essa nel lato suo mettendosela da man manca, et el ballo ripete L'acqua corre alla Borrana etc. Et tante volte fa così che egli leva tutte le donne del lato loro et mettele da man manca, in modo che l'ultima è quella che gli resta da man manca come prima, et così si trovano tutte le donne da una banda et gli huomini dall'altra; et all'hora muta parole dicendo pur nel medesimo tuono:

Questo ballo non sta bene Ed io ben lo veggio.

Le quali parole si ripetono per il ballo nel suono detto, et di poi colui che impone seguita nel tuono: E tu N. ... compagno mio

Vanne allato al tuo desio Et quivi ti sta fermo.

Et facendo dare una volta a colui che egli tiene con la mano destra lo lascia andare, et colui se ne va et trameza due donne dove gli pare e il ballo intanto replica:

Questo ballo non istà bene etc.

Et così fa tante volte che gli uomini tramezono tutte le donne, et tornono un'huomo et una donna come erano prima et finisce la Canzone".

Questa nota di commento ad una breve citazione del Boccaccio ha un’importanza estrema per lo studio della canzone a ballo. Essa è difatti in nuge un piccolo saggio etnocoreologico svolto con sorprendente metodo scientifico d’indagine e di documentazione. La diligenza con cui è stata curata questa pagina denota infatti una sensibilità etnografica ante litteram e offre all'etnocoreologia italiana il più antico esempio di analisi coreografica dettagliata. Lo studioso inizia assicurando il lettore di aver compiuto egli stesso una esplorazione sul campo e di essere stato testimone diretto del fenomeno, espone cioè i pre-requisiti di attendibilità dei propri rilevamenti “sul campo”. Asserisce con determinazione di aver udito egli stesso il canto nella stessa zona citata da Boccaccio (Varlungo e Rovezzano sono località attigue, oggi periferia di Firenze) e di aver raccolto informazioni circa l'esecuzione coreutica del ballo in questione, procedendo di pari passo con l'esposizione testuale. Le varianti testuali del canto, registrate con cura dall'osservatore sono un'ulteriore conferma della tradizionalità del canto in questione. Poi dall'esposizione meticolosa delle modalità di esecuzione del canto e della danza, ci permette di trarre numerose altre informazioni: innanzitutto ci assicura delle capacità di conservazione e di trasmissione delle proprie forme espressive da parte della tradizione orale, che, a distanza di due secoli dalla menzione del Boccaccio, lascia quasi intatte le dinamiche

fanno capire che non esisteva un unico modello di ballo cantato dominante e che i modelli etnocoreutici della ballata dovevavo essere diversi e variati a seconda del repertorio del ballo e dell'area di appartenenza. ‘L'acqua corre alla borrana’ faceva parte di quelle canzoni a ballo a invito, con testo breve e funzionale a guidare e modificare l'evoluzione del ballo.»

Il documentarismo etnografico del ballo di tradizione rappresenta, insieme allo studio della letteratura esistente sul tema, le fondamenta per un settore disciplinare che si sta edificando. L'etnografia, infatti, si basa sulla descrizione dello stato di vita di una danza e dei suoi contesti e del sistema culturale che sostiene tale prassi: una descrizione che è basata su prove documentate, con raccolta di "reperti" orali in caso di dismissione del repertorio e di tutta una serie di informazioni, oggetti, documenti di vario tipo aventi funzione testimoniale.

Al momento attuale la ricerca sul campo e l'analisi dei repertori etnocoreutici sono i due pilastri su cui poggia tutta la disciplina, esse si muovono su una doppia direttrice: da una parte la necessità di censire audiovisivamente con urgenza le danze ancora praticate o ricostruibili per evitare che molti balli si estinguano prima che possano essere raccolti come testimonianza documentaria, e dall'altra la tendenza all'analisi monografica di alcuni repertori "privilegiati" e alla soluzione dei problemi di trasmissione e notazione del patrimonio cinetico.

Nel primo caso si tende a ottenere un quadro generale delle forme coreutiche ancora reperibili sul territorio nazionale (non si sa ancora quante e quali danze sono recuperabili in Italia e come esse si distribuiscono e si rapportano tra loro sul territorio) e ad avviare un'analisi comparata delle stesse al fine di poter sistematizzare i dati raccolti, ricomporre il mosaico della pratica coreutica e indurre a ipotesi di tassonomie generali circa la diffusione, le strutture formali, le posture dominanti, gli stili, gli ambienti sociali di provenienza, le contestualizzazioni rituali e le funzioni intrinseche dei repertori coreutici. La grande quantità di materiale visivo raccolto indirizza verso una trasmissione delle informazioni per via videografica e computerizzata. L'urgenza della ricerca e della documentazione visiva sul campo è motivata anche dal rapido rarefarsi negli ultimi decenni di patrimoni culturali secolari, ma anche dalla necessità di fare finalmente chuiarezza sui repertori veramente tradizionali per sgombrare iol campo da false informazioni ed aberranti semplificazioni che da tempo circolano su questo argomento, soprattutto finalizzate ad uso scolastico e ludico. Il contatto diretto con gli eventi coreutici permetterà

finalmente di poter censire la maggior parte del variegato patrimonio etnocoreutico della penisola, di cui si conoscono oggigiorno solo semplici e superficiali frammenti. Nel secondo caso, avendo focalizzato lo studio sulle danze di aree ristrette, viene a mancare l'analisi comparata su larga scala e una più precisa collocazione tipologica, mentre si insiste su un approfondimento strutturale e per la soluzione dei problemi di trasmissione tramite la notazione grafica dell'esecuzione coreutica.

Frequenti punti di contatto si verificano comunque tra i due percorsi e diffusa è la consapevolezza fra i pochi ricercatori oggi esistenti in Italia che il cammino per la costituzione di una vera disciplina etnocoreologica è ancora lungo e irto di difficoltà di tipo metodologico, finanziario e culturale.

Lungo comunque è il cammino che questa disciplina deve ancora percorrere per strutturarsi pienamente come tale, con propri ambiti e propri rapporti interdisciplinari; i due cardini portanti attuali, la ricerca e l'analisi strutturale, stanno colmando immani lacune di conoscenza, devono però essere sviluppate anche l'analisi storica ed antropologica dei fenomeni coreutici e le correlazioni con altre discipline.