IL PROCEDIMENTO DENOMINATIVO
VI.01 NOMINARE UN BALLO
Le società tradizionali si affidano nella comunicazione prevalentemente all'oralità. Per identificare concetti, cose ed azioni, si ricorre al linguaggio verbale. Il processo di identificazione passa innanzitutto attraverso l'imposizione di un nome, senza un suono individuativo sembra che qualcuno o qualcosa non esisti, non abbia pienezza d'esistenza o adeguata rilevanza ontologica.
In tutte le tradizioni delle nostre regioni ciascun ballo viene indicato con un apposito nome; anzi il nome giunge quando la percezione di una forma compiuta è acquisita. La denominazione usata e diffusamente accettata dalla comunità detentrice indica sia un particolare modello di ballo, sia il corrispettivo repertorio musicale. I nomi propri dei balli etnici sono in genere univoci, stabili e duraturi nel paese di appartenenza. Nominare serve a fissare convenzionalmente un’idea di ballo e la sua forma corrispondente, per poterlo poi individuare o per potervisi riferire senza disturbi, ambiguità o confusioni di identità nella comunicazione interna al gruppo sociale.
Innanzitutto quando in una stessa comunità linguistica si praticano balli diversi, si denomina per distinguere un modello da un altro. Se in un paese c’è un solo ballo, o se un gruppo sociale è intento a praticare regolarmente un solo tipo coreutico, questi può anche non avere un nome proprio1 poiché non c'è rischio di equivoci. L’assegnazione di un nome o una sua rinominazione successiva risponde sempre ad un criterio 1 Un esempio di univocità estrema di repertorio coreutico è quello poco distante da Napoli. Infatti in ambienti
contadini dell'entroterra vesuviano (Terzino, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, ecc.) si usava fino a qualche decennio fa svolgere le feste da ballo con un solo ballo, che era chiamato semplicemente o ballë, cioè "il ballo" per
funzionale. Si può giustificatamene supporre che l'imposizione di un nome specifico ad un ballo può derivare dal sopraggiungere sul territorio di altri modelli, che obbligano a porre una specifica voce al patrimonio in dotazione, così da poter far convivere anche nella chiarezza di identificazione modelli diversi. Se in Sardegna hanno sentito bisogno di appellare un repertorio di balli autoctoni con il nome di ballos
sardos, significa che ai modelli già esistenti se ne sono affiancati dei nuovi e le comunità hanno avvertito il bisogno di una ulteriore precisione semiologica.
Va però precisato che nella tradizione popolare italiana il nome di una danza ha un'efficacia connotativa solo per la comunità che ne fa uso; sul piano etnocoreologico generale, invece, è luogo di ambiguità storica e di errori tassonomici madornali. Infatti una denominazione di ballo è un significante geograficamente circoscritto, funzionante solo per la comunità che ha attivato quella specifica denominazione. Ad esempio, se gli abitanti di un paese delle Marche chiamano "saltarello" un ben individuato ballo regolarmente in uso, tale nome solo per essi ha un campo semantico specifico e connotativo di una forma, di un apparato simbolico e di dettagli contestuali propri di un modello coreutico. Gli abitanti di un altro paese della vicina Romagna individuano nel termine "saltarello" un altro modello di ballo, strutturalmente differente e con altri richiami semantici e ambientali. Se uno studioso si affidasse solo al nome coreutico per definire o classificare una danza e la sua area di diffusione supporrebbe in questo caso che dietro i due nomi identici vi siano anche due balli strutturalmente analoghi, e cadrebbe in errore. Insomma per le danze etniche il nome non è sostanza, non è identità univoca.
Però se il nome non è eccessivamente utile per individuare in assoluto una forma coreutica, esso è pur sempre un contenitore di informazioni relative non solo al ballo, ma anche alla cultura locale e ai suoi procedimenti di fabbricazione, di identità e di riadattamento. Infatti da un’analisi comparata delle denominazioni etnocoreutiche si possono ricavare diverse ragguagli sulla storia dei balli, sui loro flussi migratori, sul modo di pensare al ballo da parte della comunità che ha imposto la denominazione corrente, alle relazioni culturali nel tempo di un territorio, ecc. Per questo si parla di un procedimento denominativo, o persino di un vero e articolato “sistema di
denominazione”.
Il mondo etnocoreutico italiano presenta una varietà rilevante di nomi di ballo, tra quelle voci attinte dalle fonti scritte letterarie e musicali, e quelle recuperate dalla ricerca etnografiche nelle varie regioni oggi possediamo un bagaglio terminologico per ballo di tradizione di oltre un migliaio di voci. Tale dovizia terminologica è un chiaro segno della grande considerazione che da secoli il ballo ha avuto presso le popolazioni italiane. Non affronteremo qui l’annosa questione di binomia diffusa nei paesi neolatini per indicare la stessa espressione umana: ballo e danza22, una sovrabbondanza terminologica che ha talvolta creato confusione. Ma riteniamo più importante comprendere i meccanismi di denominazione. Il nome dato ad un specifico modo di ballare serve a descriverlo in una sinteticità estrema, in modo che lo si possa contrassegnare senza generare confusione, altrimenti si interviene in seconda battuta per affinare e ritagliare ulteriormente il campo semantico. Se certi nomi risultano per una comunità forieri di ambiguità individuativa, allora si aggiungono altre caratteristiche sotto forma di attributo, di genitivo, di voce aggiuntiva, magari che ne dichiari una ipotetica provenienza locale o dei tratti coreografici salienti. Se il termine "tarantella" risulta estremamente generico, allora si aggiunge il nome di un oggetto (ad esempio "fazzoletto") che, offerto per invito, può distinguere quella variante da modelli più comuni. Un identico modo di danzare in Maremma viene chiamato ballo
del riccio, in Abruzzo e all'Elba ballo dell'orso. Cercare spiegazioni sui perché dell'imposizione di certi nomi, o sulla loro distribuzione geografica che oggi può sembrare illogica o inspiegabile, ci porterebbe fuori pista, col rischio, già più volte verificatosi, di inventarsi supposizioni o ipotesi etimologiche del tutto soggettive o arbitrarie. Se confrontiamo i diversi modelli documentati, che nelle varie tradizioni locali recano il nome di manfrina, noteremmo una disomogeneità di forme, di impianti geometrici, di composizioni strutturali, di caratteristiche stilistiche e posturali. Ciò dimostra che l'attribuzione di un nome risponde a logiche e criteri differenti, che mutano nel tempo, da una generazione all'altra e da un territorio ad un altro. Ma vi è sempre una ragione che sottende a un nome, ivi compresa anche quella della casualità. Uno stesso modello di ballo, ad esempio, con sole microvarianti di caratterizzazione
locale, in una valle viene detto saltarello, in un'altra ballinsei, e in un'altra ancora
russiano. Come spiegare tali differenze? Quali ragioni addurre se non calandosi in ogni situazione locale, risalire, se è possibile, nella memoria dei più anziani e informarsi da quanto tempo vige quel nome? Ma spesso non si arriva a nulla o a spiegazioni strampalate che creano ancor più confusione. Per capire come mai il suddetto modello a Premilcuore di dicesse "russiano", sono stati interrogati alcuni anziani, questi hanno improvvisato spiegazioni storicamente fasulle: probabilmente durante l'ultima guerra nel passaggio degli alleati, dei russi ad essi aggregati devono aver lasciato un loro ballo… Alla domanda se i loro nonni già lo ballassero, v'è stata una risposta affermativa, e questo riportava la presenza del ballo almeno agli ultimi decenni del XIX sec. per ricostruzione a memoria d'uomo. In realtà il nome "russiano" è di tipo toponimico, proviene dal paese di Russi in provincia di Ravenna. Come sia successo che qualche abitante di russi, ossia "russiano" sia giunto a Premilcuore ed abbia diffuso il modello a contraddanza con sei ballerini forse non lo sapremo mai, così come non sapremo se, invece sia stato qualche abitante di Premilcuore a trasferirsi o a recarsi a Russi ed avere la possibilità di apprendere il ballo in uso nella cittadina del Ravennate. Congetture vaghe che riportano la questione al punto di partenza: le dinamiche socio-economiche dei secoli scorsi sono state tante e variegate che si sono create numerose condizioni di contatto o spostamento di persone, singoli o gruppi che siano, ma che comunque hanno messo in moto intense dinamiche di scambi, prestiti, imitazioni, sostituzioni e rimozioni.