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In questo paragrafo rivisitiamo il tema migratorio attraverso l’approccio libertario di Sen appena descritto. Per fare ciò inizieremo con una definizione del migrante, e, approfondiremo i fattori pull e push che caratterizzano la migrazione.

La maggior parte delle teorie dettagliate nel primo capitolo forniscono spiegazioni della migrazione che si focalizzano solo su alcuni aspetti, senza riuscire a carpire l’effettiva multidimensionalità del fenomeno migratorio. Applicando l’approccio multidimensionale

delle capabilities diamo all’eterogeneo fenomeno della migrazione (e dunque al migrante) la seguente definizione.

Abbiamo definito il migrante un cittadino che decide, come libera opzione o come scelta obbligata, di abbandonare temporaneamente o definitivamente il proprio paese di origine,

1. in funzione delle illibertà sostanziali e delle disuguaglianze di cui soffre, e, con l’obiettivo di soddisfare un numero più ampio e qualitativamente superiore di funzionamenti desiderati e contemporaneamente ampliare la gamma delle capabilities a sua disposizione e della propria famiglia; o

2. per ampliare la gamma delle capabilities a sua disposizione e della propria famiglia.

In questa definizione emergono: a. il riconoscimento dell’essere umano migrante come cittadino, indipendentemente da quale nazione egli provenga; b. il riconoscimento del ruolo della famiglia nella migrazione; c. la distinzione tra fattori push di espulsione (illibertà sostanziali e disuguaglianze) e fattori pull attrattivi (ampliare le proprie capabilities).

Riguardo al riconoscimento dell’essere umano migrante come cittadino, molte organizzazioni sociali in difesa dei diritti umani, associazioni di migranti, accademici, capi di governo dei paesi origine dell’emigrazione assieme al foro sociale mondiale della migrazione, si trovano in una costante situazione di denuncia e protesta riguardo alle violazioni dei diritti umani subite dagli immigrati. Il migrante è in primo luogo un essere umano, indipendentemente dalla sua condizione di legalità o illegalità amministrativa riguardo ai permessi di soggiorno o di lavoro nel paese dove si trova o dove si sta dirigendo, egli (non solo in base al buon senso, ma anche) in base alla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo” del 1948, deve vedersi riconosciuti il diritto alla dignità della persona e tutti i diritti, uguali ed inalienabili previsti dalla stessa dichiarazione in quanto “appartenete alla famiglia umana”. Inoltre per la medesima, ha diritto ad una cittadinanza la quale è inalienabile arbitrariamente (Art.15). E’ pertanto portatore di diritti umani, sociali e civili inalienabili, nonché di doveri. Non è superfluo sottolineare questo aspetto in quanto la realtà in cui vivono migliaia di migranti nei centri di detenzione temporale, nei luoghi di lavoro dove vengono schiavizzati, durante i “viaggi della speranza”, è una realtà di costante violazione dei diritti umani più elementari.

D’altro canto il tema del migrante cittadino ci riporta alla teoria di riferimento per cui l’individuo non è un essere razionale che esprime suddetta razionalità solo nella massimizzazione della sua utilità, è bensì un individuo cittadino, un agente che giudica le

alternative sotto una prospettiva sociale che include il suo benessere ma anche altre considerazioni (Sen, 2005).

Relativamente al riconoscimento del ruolo della famiglia nella migrazione, si denota quanto essa sia fondamentale, tanto nella scelta di emigrare come per le conseguenze della migrazione. Stark e Bloom (1985), tra gli altri, sostengono che la scelta migratoria di un individuo è una decisione cooperativa della famiglia per attuare strategie di diversificazione del rischio (si veda nel primo capitolo l’approfondimento di tale teoria). Effettivamente, anche nella nostra applicazione, possiamo approvare che di fronte all’insieme di illibertà e disuguaglianze, l’individuo è necessariamente portato a fare scelte collegiali all’interno del nucleo familiare, cercando di ampliare le opzioni e/o diversificare i rischi, per mezzo della migrazione. La migrazione è sì un atto individuale i cui costi e benefici ricadono direttamente sull’individuo che si sposta, però è anche frutto di una decisione condivisa i cui costi e benefici hanno portata maggiore rispetto al singolo individuo.

La distinzione tra fattori push di espulsione (illibertà sostanziali e disuguaglianze) e fattori

pull attrattivi (ampliare le proprie capabilities) è chiara nella nostra applicazione. Secondo la

nostra proposta il migrante è spinto a migrare o per una situazione di illibertà e dunque la volontà, e l’opportunità, di colmare tale illibertà incrementando il proprio insieme di

capabilities o, nel caso in cui la scelta non fosse maturata in seno ad una situazione di

privazione, può avvenire anche solo per un impulso pull, per cui l’individuo ha già raggiunto un livello sufficientemente elevato di funzionamenti che è spinto a migrare per ampliare ancor di più l’insieme delle capabilities a sua disposizione (pur non esistendo restrizioni di sorta alla propria libertà). All’interno di questa scelta in positivo, può rientrare anche la migrazione per “amore”o la scelta di vivere un altro tipo di vita, che spesso vanno formando quell’ 1,5% della popolazione mondiale che rientra nella migrazione Nord-Sud (UNDP, 2009).

Dai conquistatori fino agli immigrati-rifugiati, passando per i giovani cervelli in fuga, tutti cercano di aumentare le proprie capabilities, cioè i propri “poter essere” e “poter fare”. Ogni migrante desidera ampliare la propria libertà di scelta e la propria capacità di essere artefice del proprio destino (entrando nel circolo virtuoso rappresentato in Figura 2.1)

Quando ci riferiamo alle illibertà ci riferiamo effettivamente all’insieme di privazioni delle

capabilities quali “la miseria, la tirannia, l’angustia delle prospettive economiche, la

deprivazione sociale sistematica, la disattenzione verso i servizi pubblici, l’intolleranza, l’autoritarismo di uno stato repressivo…” (Sen, 2000), ma anche le innumerevoli disuguaglianze che le persone sono costrette a vivere. Questi fattori push sono dunque le cause della emigrazione; dall’unione di questi due grandi insiemi di concause della

migrazione, illibertà e disuguaglianze, si possono estrarre una o più motivazioni individuali o di contesto che portano alla migrazione.

Le illibertà lasciano gli uomini con poche possibilità di scelta e con poche opportunità di attuare secondo ragione. Le disuguaglianze, possono essere anch’esse, di vario tipo, raggruppabili in inter/intrafamiliari, inter/intraregionali o di accesso ai servizi.

a. Disuguaglianze tra famiglie e tra individui e tra individui all’interno della stessa famiglia. Persone che vivono in una stessa comunità, città o nazione, ai margini di un gruppo ristretto di elites che mantengo stili di vita e di consumo opulenti o quasi, possono essere spinti a desiderare di cambiare la vita, per avere accesso agli stessi diritti e alle medesime agevolazioni dei più benestanti. A volte emigrare è l’unica possibilità per giungere a tale obiettivo.

La stragrande maggioranza ai margini, invece, ignora addirittura l’esistenza di alternative di vita possibili, dunque, non è spinta alla ricerca di qualcosa di meglio. Sotto questo punto di vista la stessa migrazione è fonte di disuguaglianza e di migrazione ulteriore perché comporta un’ulteriore acuirsi delle disuguaglianze tra famiglie di migranti e di non migranti. In effetti, così come sostiene l’approccio strutturalista nel dibattito sui benefici della migrazione, si sostiene che essa “tenda ad acutizzare le contraddizioni sociali, a riprodurre la struttura di differenziazione sociale ed economica e a generare distorsioni strutturali che dislocano la vita sociale ed economica delle comunità” (CEPAL, 2003). Potrebbe considerarsi esemplificativo il caso di Cuba in cui è proprio la migrazione una delle principali cause che originano le disuguaglianze tra le famiglie: quelle famiglie che ricevono rimesse da un membro emigrato e quelle che non le ricevono. Citiamo, come esempio tratto dal lavoro antropologico etnografico realizzato in otto comunità messicane nel 2002-2003,8 il caso di Joaquin, suo padre, suo fratello e Larisa, che sono indotti a migrare dalle informazioni provenienti da coloro i quali ritornano in Messico dagli Stati Uniti e sostengono di avere avuto successo e dalla volontà di replicare quel successo e quel muovo stile di vita raggiunto.

Nel caso delle differenze dentro la famiglia, sono esplicativi altri due esempi, trattati dal CIESAS: la prima figlia del primo matrimonio di Maria, che decide di emigrare e spostarsi nel “Nord” perché, in Messico, dove vive con la nuova famiglia della madre, è costretta ad una continua situazione di denigrazione e mantiene uno stile di vita diverso da quello dei fratellastri, e il caso di Vincente e Jonas che scelgono la migrazione perché vogliono scappare da famiglie violente.

      

8 Questo caso come gli altri racconti di storie di migranti riportati in questo paragrafo, è stato trattato nel

quadro del progetto Pobreza y migracion internacional dell’istituto CIESAS – Occidente (Messico), una ricerca approfondita condotta su una comunità messicana estremamente colpita dall’emigrazione verso il nord.  

b. Disuguaglianze tra regioni di uno stesso paese, tra zone rurali e zone urbane, disuguaglianze tra nazioni. Secondo Villa e Martines (2003) le disuguaglianze nei livelli di sviluppo dei paesi sono la principale causa della migrazione internazionale in America Latina. Inoltre, la differenza tra i diversi gradi di sviluppo dei paesi è presente più o meno esplicitamente in quasi tutte le teorie della migrazione ed è inoltre dimostrato storicamente dalle direzioni dei maggiori flussi migratori.

c. Disuguaglianze nell’accesso ai servizi, quali la salute, l’istruzione, il credito. Per esempio nel caso di studio menzionato della migrazione messicana al Nord, Emmanuel emigra per trovare le risorse monetarie necessarie per pagare un’operazione medica alla figlia; egli non aveva lo stesso accesso alla salute che aveva l’amico che gli aveva proposto di registrare la figlia a suo nome, per poterle far godere dei benefici della propria assicurazione medica. Rufino e tutta la sua famiglia, invece, emigrano negli USA e continuano ad inviare denaro verso casa, per pagare i debiti che la famiglia è costretta a contrarre per mantenere l’attività agricola, per effettuare le spese di vita quotidiana e per rispettare gli obblighi della vita comunitaria (tequio e feste religiose).

Anche in situazioni di accesso formale garantito per tutti, le differenti condizioni di partenza delle persone possono implicare una concreta impossibilità di accesso: per esempio, nel caso in cui, pur con diritto di istruzione garantito gratuitamente dallo Stato, un giovane studente che risiede nel campo, non ha la stessa facilità di accesso alle lezioni di colui il quale vive a fianco alla scuola. La famiglia in campagna potrebbe scegliere di migrare o di far migrare uno dei suoi membri, per esempio il capofamiglia, per aumentare il reddito e pagare il costo aggiuntivo del trasporto per il figlio che desidera andare a scuola.

La “lista” delle disuguaglianze, ovviamente, non è completa, ma ci da un’idea di quanto possa incidere nelle scelte migratorie. È opportuno tenere presente inoltre, che le decisioni di migrare non dipendono solo da ragioni economiche, ma anche da questioni politiche: i “regimi” politici esistenti nei paesi di origine o nei paesi di arrivo influiscono, spesso pesantemente, in questa decisione. Generalmente i migranti scelgono paesi dove si rispettano le libertà civili, i diritti individuali e economici: ne sono esempio, l’Argentina tra il 1960 e 1970 con la emigrazione di massa di professionali e scientifici, il Brasile nella stessa decade e il Cile per quanto riguarda gli anni settanta e ottanta (CEPAL, 2003).

Nel presente capitolo è stato introdotto il tema della migrazione nell’ambito dello studio dello sviluppo e nella fattispecie è stata inserita la tematica migrazione nel capabilities

approach. Nel prossimo capitolo si tratterà del benessere del migrante: sarà in prima istanza

definito il concetto di benessere a cui facciamo riferimento e, successivamente, sarà presentata la modalità scelta per la misurazione del benessere del migrante.

CAPITOLO 3

WELL BEING, CAPABILITIES APPROACH E BENESSERE

DELL’IMMIGRATO

 

Abbiamo definito il migrante un cittadino che decide, come libera opzione o come scelta obbligata, di abbandonare temporaneamente o definitivamente il proprio paese di origine,

3. in funzione delle illibertà sostanziali e delle disuguaglianze di cui soffre, e, con l’obiettivo di soddisfare un numero più ampio e qualitativamente superiore di funzionamenti desiderati e contemporaneamente ampliare la gamma delle capabilities a sua disposizione e della propria famiglia, o

4. per ampliare la gamma delle capabilities a sua disposizione e della propria famiglia.

Tale definizione descrive le cause profonde della migrazione e le aspettative che si creano. E’ importante chiedersi qual è il livello di vita che gli immigrati hanno nel paese ospite e se effettivamente la loro qualità di vita è migliorata rispetto al paese d’origine. Per chiarire queste tematiche è opportuno comprendere il metodo per valutare ciò che chiamiamo qualità di vita o benessere. Non è coerente, infatti, dire che il migrante decide di spostarsi a causa di illibertà e disuguaglianze, e poi valutare i risultati conseguiti, post-spostamento, in termini di livello salariale raggiunto o di mera soddisfazione personale per aver permesso ai propri figli di studiare in patria, o, di semplice “rancore” per il paese d’origine per la mancanza di opportunità lavorative in patria. Valutare i risultati, e l’incremento di alternative di vita dell’individuo, dunque il grado di benessere raggiunto dal migrante, è l’obiettivo ultimo dello studio che vede come oggetto di una ricerca sul campo due comunità di migranti: la comunità di ecuadoriani a Roma e quella dei loro connazionali a New York. La descrizione del campione, le ragioni della scelta, saranno spiegate nel capitolo 4. Nel presente capitolo definiremo invece, la metodologia di valutazione del benessere e il questionario che ne scaturisce.

3.1. Come determinare il well-being delle persone: dall’utilitarismo al