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3.1. Come determinare il well-being delle persone: dall’utilitarismo al buen vivir

3.1.4. Il benessere nel capabilities approach e il buen vivir ecuadoriano

L’approccio delle capabilities, come già spiegato nel Capitolo 2, prende in considerazione ciò che le persone possono essere o fare, quali sono le alternative di vita a loro disposizione e quali possono, in virtù delle proprie attitudini personali, del contesto sociale, dell’ambiente circostante, realizzare. Pertanto è pertinente la sua applicazione anche allo studio specifico del

well being delle persone.

Questo approccio si differenzia dalle altre proposte teoriche relative al benessere perchè non giudica lo stato del mondo sulla misura delle utilità individuali o sulla somma della collettività, o, per la soddisfazione che il consumo di beni possa apportare agli individui, ma si basa sulla ricerca di ciò che “rende la vita apprezzabile”, su ciò a cui gli individui danno importanza. Sen ammette che da un lato, esistono dei casi in cui si può oggettivamente concordare sulla natura del benessere, ma in tutti gli altri casi si può ricorrere alla discussione e al dibattito pubblico (Sen, 1977, 1979).

L’identificazione degli oggetti di valore, cioè il c.d. spazio valutativo, in Sen, viene identificato in termini di funzionamenti e capabilities, ciò permette di non lasciare fuori dalla base informativa dati importanti come la distribuzione, il benessere della collettività (non solo

      

9 “Lo sviluppo umano è aumentare le libertà umane in un processo che permette di espandere le capacità personali mentre

la gente amplia al contempo le proprie alternative di vita disponibili, una vita piena e creativa. In questa concezione le persone sono beneficiarie e al contempo agenti del progresso che deve favorire tutti gli individui allo stesso modo e alimentarsi grazie alla partecipazione di ciascuno di questi” (UNDP, 2000).

come somma degli individui) o le diversità costitutive delle persone, come invece fa il welfarismo con la sua identificazione del benessere con l’efficienza paretiana e l’utilità. L’approccio di Sen, inoltre rifiuta il riconoscimento dell’opulenza, cioè il consumo dei beni, come mezzo per il raggiungimento del benessere. Il cuore del benessere si sposta quindi dai beni alle persone: anche per questo Sen considera la base informativa del welfarismo troppo limitata e sostiene che è più importante vivere una buona vita che accumulare risorse materiali. Vivere una buona vita dipende dalle capabilities (ancor prima che dai funzionamenti) che le persone hanno a loro disposizione.

Nell’analisi del benessere secondo il capabilities approach, bisogna partire dalle seguenti premesse:

1. gli individui sono diversi e pertanto possono ponderare il valore attribuito alle cose in forma diversa;

2. i funzionamenti che individui diversi considerano importanti non solo variano tra individui, ma possono variare anche nel tempo;

3. lo stesso individuo può incorporare nuovi funzionamenti nell’insieme di quelli desiderati e man mano che si procede nell’incremento delle capabilities a sua disposizione, questi possono essere addirittura sostituiti da funzionamenti di altro genere e che potrebbero essere considerati di livello inferiore (vedi capitolo 2 e grafico 2.1.).

Lo spazio valutativo del benessere è determinato tanto da ciò che vi rientra, dunque, per esempio nel nostro approccio, le alternative di vita possibili per l’individuo, la libertà di scelta della vita da vivere (variabile non è contemplata nella teoria del benessere), quanto da ciò che ne è escluso, per esempio l’opulenza o il consumo dei beni, variabili fondamentali per l’economia del benessere e che assumono solo un ruolo strumentale nel nostro approccio.

Tra ciò che rientra nello spazio valutativo del nostro concetto di benessere rientrano anche elementi che vanno oltre la definizione in senso stretto del benessere di una persona. In prima istanza possono coincidere con la valutazione delle mete generali delle persone, che non necessariamente concernono l’utilità o il beneficio individuale. Infatti oltre ad un concetto di benessere in senso stretto, l’individuo che ha una razionalità molto più complessa di quella del massimizzatore della propria utilità, è un cittadino interessato anche al bene della comunità, di altre persone, dell’ambiente etc. (si veda Capitolo 2).

In questa direzione Sen (1996) parla dei vantaggi umani, e nello specifico di quattro punti di interesse valutativo basati su due distinzioni:

a. la prima distinzione è tra la promozione del benessere della persona versus la

come proprie e che possono includere obiettivi differenti dalla promozione del proprio benessere.

b. la seconda distinzione è tra la realizzazione (il raggiungimento di alcun obiettivo) versus la libertà di raggiungere tale obiettivo, questa ultima distinzione può essere applicata tanto alla prospettiva del benessere della persona che a quella dell’agenzia. Le due distinzioni forniscono quattro concetti del “vantaggio umano” 1. il raggiungimento del benessere, 2. il raggiungimento dell’agenzia, 3. la libertà del benessere, 4. la libertà di agenzia.

Sono quattro concetti interdipendenti però non identici (Sen, 1985 e 1992). Inoltre non sono intercambiabili e non rispettano un ordine di priorità fisso. L’ordine di priorità è mutevole in funzione dell’ordine delle priorità dell’individuo inserito in un determinato contesto sociale. Precedentemente, Sen (1987b), distingueva tra 1) conseguimenti di agenzia, 2) benessere, 3) livello di vita. Questa triplice distinzione ci aiuta a capire come gli obiettivi comuni o l’interesse per le altre persone o per la comunità o per l’ambiente sia perseguibile in forma autonoma dal perseguimento del proprio benessere, come ne faccia parte, e come però non influenzi il livello di vita. Una persona, infatti, può avere degli obiettivi di vita distinti dal benessere personale, può avere degli obiettivi di agenzia (per esempio lottare per una causa che costi molto in termini di beneficio personale) diversi dal proprio benessere personale, il livello di vita ha a che vedere con la natura della vita che conduce una persona. Per esempio la sofferenza per il dolore altrui, riduce il benessere personale ceteris paribus, però non significa che riduca il livello di vita della persona che soffre nell’immedesimarsi nel dolore altrui.

Anche le “preoccupazioni per gli altri”, dunque, entrano nella natura del benessere sebbene le fonti siano esterne alla persona, e non incidono sullo standard di vita della medesima (Sen, 1996). Lo standard di vita è praticamente un sotto insieme del benessere. In definitiva, dunque, il raggiungimento del benessere di una persona si può considerare come una valutazione del benessere dello stato d’essere di questa. L’esercizio, quindi, è quello di valutare gli elementi costitutivi dell’essere di una persona visti dalla prospettiva del suo proprio benessere personale. I differenti funzionamenti della persona rappresentano questi elementi costitutivi.

Nel ricercare la misurazione empirica del benessere basata sulla misurazione dei funzionamenti si perderebbero di vista le capabilities secondo Anand, Hunter e Smith (2005), i quali avrebbero identificato una serie di indicatori statistici secondari che possono essere utili per realizzare analisi empiriche sulla base del capabilities approach. Effettivamente, come sostiene Anand et al., la distinzione tra funzionamenti e le capabilities è ostica soprattutto quando si ha a che fare con i dati reali. Tuttavia, è possibile, quando si svolge una ricerca

empirica basata sul capabilities approach, misurare direttamente i funzionamenti quindi i risultati, ma anche formulare le domande in modo tale che si possa percepire la possibilità di scelta tra le diverse alternative di vita. Nel nostro studio empirico si richiedono informazioni relative ad un funzionamento quando per esempio si chiede all’immigrato “quanti anni ha studiato nel paese di destinazione?” e si chiede loro a proposito delle capabilities domandando “quanto le pesa il seguente aspetto della migrazione?” oppure, “Pensa che se tornasse a vivere in Ecuador potrebbe essere più felice? Quanto?”

Appare dunque delineato il quadro teorico che ci permette di costruire il questionario volto a misurare la qualità di vita del migrante prima e dopo la migrazione e di compararla tra due città di storia e tradizione molto diversa rispetto all’accoglienza degli immigrati (Roma e New York), e, successivamente di studiare quali elementi influiscono maggiormente su una maggiore o minore qualità di vita nel paese di destinazione. Oltre a questo, riserviamo particolare interesse ad un antico, nonché tradizionale, concetto di benessere, che sta acquistando sempre maggiore rilevanza sia nell’ambito della società civile globale che nel mondo accademico, e che prende forma in carte costituzionali e programmi di pianificazione nazionale orientati allo sviluppo.

Come ben spiegato nel sito internet della Secretaria Nacional de Planificacion,10 ministero ecuadoriano incaricato della pianificazione per lo sviluppo orientato al Buen Vivir, il

Sumak Kausay o Buen Vivir è un concetto che si riferisce al buon vivere o al vivere bene,

proviente dalla cosmovisione dei popoli indigeni andini. Sumak Kausay significa vida plena o vita appagante. Secondo i popoli indigeni andini il futuro si trova dietro le spalle, infatti, non si vede, mentre il passato è di fronte a noi, lo possiamo vedere, lo conosciamo, è parte di noi e ci accompagna nel cammino. Gli antenati (che ci accompagnano nel cammino) insieme alla comunità e alla natura compongono una unicità con l’essere umano, per cui secondo questa visione si starebbe insieme con tutti gli esseri che hanno vita. Il mondo di sopra, di

sotto, di fuori e del qui, sono collegati e fanno parte dell’insieme, dentro una prospettiva a

spirale del tempo non lineare. La filosofia ancestrale è prevalentemente collettiva.

Nel Buen Vivir ricorre l’ idea del “noi” e non l’io occidentale, si contrappone cioè la “comunità” come unità di base della collettività, alla visione individualista ed egoista. L’essere umano è parte del tutto, che non è solo una somma delle parti: la totalità si esprime in ogni essere ed ogni essere si esprime nella totalità. In questa totalità la natura svolge un ruolo preponderante: provocare danni alla natura significa danneggiare l’uomo stesso. Ogni atto, ogni comportamento ha una conseguenza nel cosmo: “le montagne si inquietano, si rallegrano, ridono e si rattristano, sentono … esistono, sono.” Secondo la cosmovisione del Sumak

      

Kausay raggiungere la vita appagante è compito del saggio e consiste nel giungere ad una

completa armonia con la comunità e con il cosmo.

Nella nostra revisione delle principali proposte teoriche interpretative del well-being, ci interessa trattare il tema Buen Vivir per tre ragioni principali:

1. nell’ambito della critica globale al concetto di sviluppo occidentale, che comporta sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, opulenza versus povertà estrema, stili di vita alienanti etc., il concetto di Buen Vivir sta ottenendo un gran successo e mantiene un fascino importante a livello internazionale;

2. da filosofia indigena è entrata nella costituzione di due paesi (Bolivia e Ecuador) e si è innalzata a guida per la pianificazione ed il disegno di politiche economiche e sociali volte allo sviluppo (umano);

3. il concetto di Buen Vivir, tanto nella visione più pura, come nella sua versione applicata nel testo costituzionale ecuadoriano,11 si inserisce perfettamente nel nostro approccio teorico del benessere, ovvero dentro la concezione del benessere come concetto che include gli obiettivi di agenzia, dunque del benessere della collettività (comunità), dell’ambiente e del tutto che compone la vita.

In conformità alle ipotesi del capabilities appoach, secondo cui occorre considerare ciò a cui la gente da importanza, nel questionario, quindi nella comparazione del benessere prima e dopo la migrazione e nello studio degli elementi che implicano il benessere, verranno considerati di primaria importanza proprio gli elementi del Buen Vivir e il concetto di Buen

Vivir in sé.