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Capitale Sociale

Nel documento 1 Tesi di dottorato (pagine 59-64)

CAPITOLO III LA COOPERAZIONE, LA FIDUCIA ED IL CAPITALE SOCIALE

3.3 Capitale Sociale

Il capitale sociale, come già evidenziato, è un fattore fondamentale della cooperazione, la sua presenza come elemento personale, ma anche come caratteristica di una comunità, presuppone una maggiore propensione alla collaborazione rispetto a quelle realtà dove esso è poco presente.

Inizialmente elaborato in sociologia, poi diffusosi nelle scienze politiche, il capitale sociale ha assunto recentemente una crescente importanza nella letteratura economica, affiancandosi al capitale tecnico e al capitale umano.

Pendenza (2000:67) sostiene che il capitale sociale “rappresenta una risorsa collettiva utile per realizzare azioni comuni, cooperative, perché abbatte i costi di transazione e perché promuove azioni ad alto rischio di incertezza ed ambiguità”.

La definizione più comunemente utilizzata, tuttavia, enfatizza le reti sociali e le norme civili: il capitale sociale riguarda le reti sociali e il coinvolgimento in strutture di supporto, la partecipazione alla vita della comunità, il coinvolgimento civile e politico, la fiducia nelle persone e nelle istituzioni e le norme di reciprocità.

Tre sono gli approcci principali in ambito sociologico con cui tale concetto viene affrontato: l’approccio micro (es: Bordieau e Granovetter), l’approccio macro (es: Putnam e Fukujama) e, a metà strada tra le due concezioni, l’approccio misto (es:Coleman). L’approccio micro si basa sulla teoria della scelta razionale (rational choice theory) a cui anche Coleman fa riferimento, mentre l’approccio macro sulla teoria funzionalista.

Nel primo caso il capitale sociale è una risorsa individuale che l'attore è in grado di ottenere dalla sua rete di relazioni, nel secondo è un bene collettivo ed assume il significato di coesione sociale, di condivisione di norme, valori e fiducia generalizzata e trova, anche in questo caso, la sua origine nelle reti delle relazioni

60 individuali. L’approccio “misto”, di cui Coleman è lo studioso principale, definisce il capitale sociale sia come una serie di caratteristiche specifiche di una certa struttura sociale, sia come strategie tese al raggiungimento di fini specifici da parte dei singoli; l’azione del soggetto non è mai solo individualista ma si giustifica in base alle diverse appartenenze sociali in cui essa si manifesta.

Le reti formali ed informali costituiscono, quindi, uno degli elementi centrali del concetto di capitale sociale, esse sono definite come le relazioni personali, che si costituiscono quando le persone interagiscono tra di loro, in base alla loro tipologia il capitale sociale viene definito come “Bridging” - “Bonding” oltre che “Linking”,quest’ultimo però non è di interesse per questa ricerca e viene pertanto tralasciato.

Bordieu fu il primo a fare riferimento a questo principio sostenendo come le reti sociali non siano una derivazione naturale, ma come esse debbano essere costruite attraverso un investimento strategico, orientato all’istituzionalizzazione delle relazioni di gruppo, come fonte sicura di altri benefici. (Portes 1998) I due elementi su cui si basa il capitale sociale per Bordieu sono: le relazioni sociali, la loro quantità e qualità. Il capitale sociale è una ricchezza che richiede, perciò, investimenti culturali ed economici.

Anche gli studi di Glen Loury (1977,1981) sull’ineguaglianza sociale dei neri d’America, evidenziano come i programmi contro la discriminazione siano poco utili, dato che gli afroamericani partono con uno svantaggio sociale che si trasmette da padre in figlio, con scarse opportunità di studio e di inserimento nel mercato del lavoro, dimostrando così che non sono sufficienti le capacità individuali, ma che è influente il contesto sociale in cui gli individui maturano.

Coleman, nell’ambito della sociologia dell’educazione, definisce il capitale sociale come: “una varietà di entità con elementi in comune: ciascuno di essi è costituito da alcuni aspetti della struttura sociale e facilita certe azioni degli attori, sia individuali che associati all’interno della struttura” (Coleman 1988:89), tra gli elementi egli individua la reciprocità e le norme di gruppo.

In base alla concezione di Coleman, come definita da Pendenza (2000), il capitale sociale è presente in determinate strutture sociali: l’appartenenza, la conoscenza dell’altro e la condivisione di qualche elemento facilitano transazioni che altrimenti sarebbero molto più onerose.

Sia per Bourdieu, Loury che per Coleman, il capitale sociale è, quindi, una risorsa individuale e si esplica nelle relazioni tra gli individui, per possederlo una persona deve essere in relazione con altre; per questi autori il capitale sociale è l’elemento centrale di una teoria della microsociologia delle reti sociali e delle azioni umane.

Per altri autori, come Putnam e Fukuyama, esso appartiene esclusivamente alla struttura ed alla cultura di una società (nazione o regione) ed è artefice dell’azione collettiva che permette ai soggetti di agire più efficacemente nel perseguimento di obiettivi condivisi (Putnam 2000) per questi autori è elemento della teoria macrosociologica.

Putnam individua nelle reti sociali, nel rispetto delle norme, nella fiducia e nella “cittadinanza attiva”, ossia nella partecipazione ad associazioni prive di scopo di lucro, gli elementi fondanti del capitale sociale. Secondo l’autore la partecipazione ad organizzazioni ed associazioni forma un’abitudine alla cooperazione e

61 alla solidarietà. Questo significa che non esiste solo un livello oggettivo del capitale sociale, la dimensione strutturale, ma anche un livello soggettivo, la dimensione culturale. Il livello oggettivo del capitale sociale ha come componente essenziale relazioni sociali durevoli più o meno istituzionali, il livello soggettivo consiste in un set di valori e di attitudini degli individui a relazionarsi come la fiducia, la reciprocità e la volontà a cooperare. Anche questo approccio viene criticato da alcuni autori perche le variabili indicate da Putnam non costituiscono il capitale sociale, ma ne sono il risultato.

Frencis Fukujama definisce il capitale sociale come “una norma istantanea ed informale che promuove la cooperazione tra due o più individui” (Fukujama 2001:7), per questo autore la reciprocità, che caratterizza il capitale sociale, esiste in potenza verso tutti gli individui, ma si realizza principalmente nelle relazioni tra amici o persone che si conoscono.

Secondo i due ultimi autori le regioni ed i paesi caratterizzati da un alto livello di capitale sociale sono contemporaneamente contraddistinti da alti livelli di efficienza politica ed economica.

Altri autori, tra cui Paxtor (2000), ritengono che il capitale sociale possa essere analizzato ad un livello micro, ossia su scala individuale, ad un livello intermedio, caratterizzato dalle associazioni e dalle comunità, ed infine ad un livello macro costituito da regioni e stati nazionali. Nell’ambito macrosociologico le teorie individuano nel capitale sociale il cemento della società, l’elemento che rende possibile la cooperazione nell’interesse collettivo, la cooperazione necessita di una fiducia generalizzata, le reti sociali hanno la funzione di creare questa fiducia sulla base delle frequenti interazioni tra diverse tipologie di persone. Secondo Putnam e Fukujama il capitale sociale spesso si manifesta con elementi di negatività quali la segregazione, l’etnocentrismo e la corruzione: sia gli appartenenti al Ku Klux Klan che gli affiliati alla Mafia posseggono capitale sociale poiché al loro interno esistono rispetto delle regole, fiducia reciproca, reti sociali e l’appartenenza ad un gruppo, ma all’esterno sono associazioni estremamente negative per la società più ampia di cui fanno parte.

Secondo Fukujama (2001) un approccio a questa spinosa questione riguarda il concetto di “radiazione della fiducia”: tutti i gruppi che possiedono capitale sociale hanno un certo grado di radiazione della fiducia, che riguarda il circolo di persone tra le quali le norme cooperative sono attive. Se il capitale sociale di un gruppo si manifesta in modo positivo, la radiazione della fiducia può varcarne i confini. Ciò avviene soprattutto nelle società moderne in cui si sovrappongono più gruppi sociali che permettono agli individui di far parte di diversi di essi e di avere identità multiple

62 Figura n.1 Reti di fiducia, fonte Fukjuma 2001 pag. 9

Una delle maggiori distinzioni tra le forme del capitale sociale è quella tra capitale sociale inclusivo, aperto e dai legami deboli, caratteristico delle reti sociali tra gruppi eterogenei, detto “ponte” (Bridging) (Putnam 2000, Van Oorschot 2006), quello esclusivo, chiuso e dai legami forti, caratteristo delle reti sociali in gruppi omogenei, definito “legame-vincolo” (Bonding) (Putnam 2000, Portes 1998), quest’ultimo si limita alle relazioni familiari o primarie e ha la funzione di rafforzare le identità esclusive.

Il capitale sociale “ponte” genera ampie identità e una fiducia diffusa, che può essere accordata a persone quali: colleghi di lavoro, amici di amici, conoscenti ecc. Entrambi questi due tipi di capitale sociale hanno comunque effetti sociali positivi e sono interdipendenti: l’assenza o la diminuzione dell’uno significa l’indebolimento dell’altro.

Un’altra importante caratteristica del capitale sociale è la fiducia in gruppi sociali e l’appartenenza ad associazioni di volontariato, che hanno giocato un ruolo importante in sociologia, antropologia e nelle teorie politiche da Tocqueville, Durkheim, Simmel, Tönnies, J.S. Mill e Putnam. A livello individuale le associazioni di volontariato insegnano la fiducia, la moderazione e la tolleranza, perché raggruppano persone diverse, con storie diverse e con valori differenti, ma con l’obiettivo di lavorare assieme, perché insegnano l’arte del compromesso, della cooperazione e della reciprocità; contemporaneamente creano delle reti all’interno della società, gettando ponti tra differenti gruppi sociali. Esistono tuttavia alcune ricerche che mettono in dubbio che la fiducia sociale e politica nascano nelle associazioni volontarie e che i membri di un’associazione di questo tipo debbano conseguentemente possedere un’attitudine alla fiducia sociale e che, inoltre, c’è poca probabilità che esprimano una maggiore fiducia politica, rispetto ai non membri (Newton K. 2001), poiché molte persone passano molto più tempo a scuola, al lavoro o in famiglia rispetto a quanto ne passino nelle associazioni di volontariato. Inoltre è difficile dimostrare il rapporto causa effetto tra l’essere membro di un’associazione e la fiducia sociale, è da ritenersi più probabile, invece, che le persone già dotate di fiducia tendano ad appartenere a qualche forma di associazione: Puntam (1993) afferma, a sostegno di questa tesi, che è risaputo che le persone ritenute socialmente vincenti tendono ad essere maggiormente

63 fiduciose e che gli appartenenti alle associazioni di volontariato sono spesso vincitori sociali con un più alto grado di educazione.

Più di recente Anthony Giddens (1994) si è soffermato sul nesso che lega la fiducia alla modernità, che si manifesta attraverso il progressivo annullamento della distanza spazio temporale, per cui la vita sociale degli individui è sempre meno determinata dai vincoli spaziali e si affida a soluzioni tecnologiche che riducono drasticamente i vincoli temporali, pertanto la globalizzazione ed i nuovi mezzi informatici di comunicazione ampliano i confini in cui si può estrinsecare la fiducia.

3.3.1 Individuazione e valutazione

Il concetto di capitale sociale, pur essendosi ampiamente diffuso negli studi sociologici degli ultimi anni, non è privo di critiche, la maggiore delle quali riguarda l’insufficiente definizione di indicatori al fine di poterlo valutare attraverso metodi quantitativi. L’individuazione del capitale sociale in modo non ambiguo, infatti, è assai complessa, per tale ragione ogni tentativo di misurazione e di interpretazione dei dati deve essere fatto in modo molto cauto, in quanto non esiste a tutt’oggi un set di variabili definite universalmente valide per la sua misurazione. Tra gli strumenti per l’analisi, è possibile individuare due principali modalità che il più delle volte vengono utilizzate congiuntamente per la costruzione di indicatori:

a)indagini sulle opinioni e azioni, che consentono di rilevare elementi non ricavabili da statistiche fondate su dati numerici, come le opinioni e i comportamenti particolari;

b) utilizzo di indicatori puntuali, che permettono analisi più dettagliate a livello territoriale, i quali però più difficilmente arrivano a cogliere i fenomeni più informali e meno codificati, che sono, invece, i più appropriati per la costruzione del capitale sociale (Norris 2001)

Tuttavia alcuni tentativi sono stati fatti, come descritto da Micucci e Nuzzo (2005), per la misurazione del capitale sociale nelle regioni italiane: le variabili quantitative scelte (complessivamente ne sono state individuate 50) riguardano misure relative alla partecipazione degli individui a organizzazioni non profit, ad atteggiamenti/comportamenti verso il sociale, al grado di civismo e ad alcune caratteristiche del territorio, delle istituzioni e delle comunità di appartenenza, che possono influenzare la cooperazione tra soggetti. Nell’analisi qualitativa svolta da Rosalyn Harper e Maryanne Kelly nel 2003, relativa al capitale sociale in Inghilterra, sono state individuate 5 variabili:

1) partecipazione sociale = il coinvolgimento in associazioni prive di scopo di lucro,

2)partecipazione civica = il coinvolgimento/l’informazione relativamente nelle attività politica locale o nazionale,

3) reti sociali e supporto sociale = il numero ed il tipo di reti,

4) reciprocità e fiducia = la fiducia interpersonale e la fiducia verso le istituzioni, 5) visione dell’area locale = la percezione dei rispondenti relativamente all’area locale.

Le variabili considerate da Harper e Kelly, da Putnam e da Micucci e Nuzzo, riferite alla misurazione del capitale sociale “Briging”, che potremmo riassumere in 3 blocchi:

64 a. Partecipazione civica/sociale

b. Fiducia generalizzata e reciprocità

c. Collegamenti esterni al gurppo di appartenenza

sono state mutuate in questa ricerca per individuare la possibile esistenza di una forma di capitale sociale transfrontaliero, come verrà ampiamente descritto nel Capitolo V facendo riferimento a quanto indicato da Norris (2001) secondo cui gli indicatori del capitale sociale da utilizzare andrebbero considerati in base a ogni contesto e non potrebbero essere acriticamente impiegati in realtà differenti.

L’analisi del capitale sociale presente tra i partecipanti dei diversi forum servirà a capire, innanzitutto se esite una forma transfrontaliera di tale capitale, ossia se indipendentemente dal confine e dalle difficoltà linguistiche esiste una “potenziale comunità transfrontaliera” e quanto esso incida sul risultato dei forum in termini di collaborazione e cooperazione.

Nel documento 1 Tesi di dottorato (pagine 59-64)