• Non ci sono risultati.

Caratteri costituitivi dei virtual environments

CAPITOLO 3. ENVIRONMENTAL STORYTELLING: PRINCIPI E PRESUPPOSTI DELLA

3.4 Caratteri costituitivi dei virtual environments

Se, finora, si sono illustrati i presupposti secondo i quali l’environmental storytelling opera e i meccanismi di funzionamento di base che ne regolano l’applicazione nel videogioco, sarà utile ora fare un passo indietro e approfondire il tema degli ambienti virtuali e delle loro proprietà costitutive, in modo tale da applicare le nozioni e i principi che emergono da questa analisi delle narrazioni ambientali. In questo senso, per descrivere la natura dei digital environments sarà necessario primariamente problematizzarne la definizione tramite l’esame delle loro qualità specifiche e secondariamente verificare quali sono i fattori che orientano l’esperienza dell’utente che agisce al loro interno. In linea con questi propositi, sarà utile cominciare con l’approfondimento delle proprietà principali che caratterizzano gli ambienti virtuali, preso atto che questi possono essere intesi «as interactive, virtual image displays enhanced by special processing and by nonvisual display modalities, such as auditory and haptic, to convince users that they are immersed in a synthetic space»177. In questo senso, il testo di riferimento a riguardo è evidentemente Hamlet on the Holodeck di Janet Murray. Nella sua opera di ricerca e sistematizzazione, la studiosa statunitense individua quattro proprietà essenziali che contraddistinguono e identificano i digital environments. Essi sono infatti procedurali, partecipativi, spaziali ed enciclopedici178; mentre le prime due proprietà fanno riferimento indicativamente alle funzioni tipiche dell’interattività degli ambienti, le seconde contribuiscono a rendere questi ultimi immersivi, nel senso che ne amplificano estensione ed

177 Stephen R. Ellis, “What Are Virtual Environments?”, IEEE Computer Graphic and Applications, Vol. 14, N. 1, Gennaio 1994, p. 17

135

esplorabilità nel tentativo di minimizzare nell’utente la percezione dello scarto tra reale e virtuale. In questa circostanza, si rivelerà efficace ai fini della comprensione delle narrazioni spaziali prendere in esame singolarmente ognuna delle proprietà citate e verificarne i principi per i quali esse si possono applicare al concetto di ambiente digitale. Secondo Murray, i digital environments sono prima di tutto procedurali in quanto essi sono «designed not to carry static information but to embody complex, contingent behaviours»179. Detto in altro modo, gli ambienti digitali non si compongono di un semplice accostamento di elementi statici, ma incorporano al loro interno le rappresentazioni digitali sia delle componenti spaziali reali prese a riferimento sia i fenomeni e i processi che li determinano e li governano. Ne consegue, dunque, che i digital environments si configurano come sistemi complessi, all’interno dei quali l’attività dell’utente è strutturata intorno alle interazioni dinamiche con le unità spaziali di cui si compongono gli ambienti, in virtù della implementazione di un insieme articolato di regole. In questo senso, gli spazi virtuali possono rappresentare un mezzo efficace per raccontare delle storie nel momento in cui gli sviluppatori sono capaci di creare un sistema di regole riconoscibile in quanto risultato di una determinata interpretazione del mondo e delle dinamiche che lo caratterizzano. Appare evidente che, nel caso specifico dell’environmental storytelling, gli spazi utilizzati per veicolare la narrazione condividono questo carattere procedurale nelle circostanze in cui le regole su cui si fondano i comportamenti appartenenti ad essi corrispondano ad un’interpretazione del mondo finalizzata alla ricostruzione inferenziale degli eventi che hanno avuto luogo al suo interno. Proseguendo nella disamina delle proprietà degli ambienti digitali, Murray sostiene che un’altra delle sue proprietà costitutive consiste nel loro carattere partecipativo. Al loro interno, infatti, all’utente è garantita la possibilità di indurre reazioni, tendenzialmente predeterminate e prevedibili, nello spazio virtuale sulla base delle proprie interazioni con esso. Ciò è dovuto al fatto che:

procedural environments are appealing to us not just because they exhibit rule-generated behavior but because we can induce the behavior. They are responsive to our input. Just as the primary representational property of the movie camera and projector is the photographic rendering of action over time, the primary representational property of the computer is the codified rendering of responsive behaviors. This is what is most often meant when we say that computers are interactive. We mean we create an environment that is both procedural and participatory»180.

La natura stessa del medium digitale, dunque, orienta fortemente i caratteri tipici degli ambienti virtuali in esso riprodotti. Dalla possibilità di interagire con un ambiente strutturato intorno a un preciso sistema di regole che ne determina i comportamenti, i quali sono direttamente correlati agli

179 Ivi, p. 73

136

interventi dell’utente operante al suo interno, deriva un’organizzazione dello spazio digitale che si struttura proprio intorno al principio di partecipazione. Sulla scorta di questa riflessione, la natura partecipativa dei digital environments può contribuire alla realizzazione di narrazioni spaziali se nel processo di definizione dei comportamenti e delle interazioni utente-spazio viene contestualmente integrato il ruolo interagente del giocatore. Più precisamente, l’ambiente digitale deve contemplare al suo interno il repertorio dei comportamenti con cui, prevedibilmente, il giocatore dovrebbe avere familiarità. In questo senso, le convenzioni di genere (il mistery thriller, la detective stories) sono strumenti utili a integrare la partecipazione attiva dell’utente circoscrivendo il suo ruolo all’interno della narrazione videoludica, potendo così anticipare i comportamenti che terrà nelle ambientazioni virtuali e di rimando costruire quest’ultime in modo da rendere coerente l’insieme delle opportunità partecipative, il tutto a beneficio dell’interazione tra giocatore e spazio digitale. In altre parole, «the key to compelling storytelling in a participatory medium lies in scripting the interactor»181.

Una volta illustrate le proprietà degli ambienti digitali che contribuiscono a definire l’interattività di un determinato spazio virtuale, sarà necessario trattare quelle che invece vanno a costituire le fondamenta delle qualità immersive dello stesso. A proposito, Murray identifica innanzitutto nella spazialità dei digital environments la prima di queste proprietà. Sebbene la spazialità degli ambienti digitali possa sembrare a prima vista una proprietà auto-evidente, anche in virtù delle precedenti osservazioni sulla dinamicità della rappresentazione dello spazio e sul rapporto discorsivo che si instaura tra quest’ultimo e l’utente, in realtà essa presenta delle complessità intrinseche che richiedono un’analisi più approfondita. Innanzitutto, la spazialità dei digital environments è strettamente correlata a quel concetto di navigabilità dello spazio introdotto in questo studio facendo riferimento alle osservazioni di Lev Manovich a proposito delle caratteristiche costitutive dei nuovi media182. La lettura che ne offre Murray è però più concretamente riferita alla questione degli spazi digitali e delle potenzialità narrative che custodiscono al loro interno183. Secondo la studiosa statunitense, infatti,

Altough this spatial property has been widely exploited in graphical applications, it is in fact independent of the computer’s ability to display maps, pictures, or even three-dimensional models. It is also independent of its communicative function in linking geographically distant places. The computer’s spatial quality is created by the interactive process of navigation. We know that we are in a particular location because when we enter a keyboard or

181 Ivi p. 79

182 Cfr. Lev Manovich, The Language of New Media, cit.

183 Janet Murray parla di “dramatic power of navigation” per descrivere «a moment of experiential drama that is only possibile in a digital environment» offendo una serie di esempi tratti da videogioco ed interactive fiction e concludendo che «the interactor’s navigation of virtual space has been shaped into a dramatic enactment of the plot». Janet H. Murray,

137

mouse command the (text or graphic) screen display changes appropriately. We can verify the relation of one virtual space to another by retracing our steps. The text-based dungeons of Zork, the sequenced stills of the enchanter’s isle of Myst, the flat worlds of the multilevel maze games, […], the continuous three-dimensional world of the new videogame dreamscapes – all are realized for the interactor by the process of navigation, which in unique to the digital environment.184

La navigabilità degli ambienti digitali è dunque la condizione fondamentale che determina la proprietà spaziale di questi ultimi. Essa, peraltro, è anche il principio alla base della definizione dei percorsi attraversabili nelle ambientazioni virtuali videoludiche, i quali, nell’environmental

storytelling, assumono tanta importanza quanto quella attribuita alla costruzione degli spazi attraverso

la disposizione degli elementi che li compongono. Progettare questi percorsi e i modi con cui interagirvi corrisponde ad un utilizzo strumentale dei processi di navigazione propri dei digital

environments. Un utilizzo, questo, volto a realizzare le finalità narrative del videogioco che adotta

l’environmental storytelling concependo e predisponendo nello spazio le opportunità di navigazione dell’utente, e, di conseguenza, orientando la sua percezione e la sua interpretazione dell’ambiente virtuale. Quello che Murray definisce come il potere drammatico della navigazione è in effetti uno strumento narrativo che ha la funzione di assegnare ai percorsi navigabili dello spazio digitale un ruolo fondamentale nella costruzione di ambienti narrativamente fertili. Spostando lo sguardo più specificamente sul medium videoludico, riguardo la relazione tra proprietà spaziali e videogioco Espen Aarseth ritiene che «what distinguishes the cultural genre of computer games from others such as novels or movies, in addition to its rather obvious cybernetic differences, is its preoccupation with space. More than time (which in most games can be stopped), more than actions, events and goals (which are tediously similar from game to game), and unquestionably more than characterization (which is usually nonexistent) the games celebrate and explore spatial representation as their central motif and raison d’être»185. Tali esplorazioni della costruzione e della rappresentazione spaziale videoludica fanno sì che la spazialità non si dia in una forma univoca e immutabile, ma che, al contrario, possa contare su differenti declinazioni a seconda dei modi in cui la mente umana processa le dimensioni e i livelli di astrazione degli ambienti digitali. A questo proposito, Marie-Laure Ryan individua due sottocategorie della spazialità dei digital environments videoludici: lo spazio emozionale e lo spazio strategico. Nel caso della prima declinazione della spazialità, Ryan sostiene che

184 Ivi, pp. 79-80

185 Espen Aarseth, “Allegories of Space. The Question of Spatiality in Computer Games”, in Markku Eskelinen e Raine Koskimaa (a cura di), Cybertext Yearbook 2000, Publications of the Research Center for Contemporary Culture, University of Jyväskylä, Jyväskylä 2001, p. 161

138

it is an experience of space associated with affective reactions. These reactions can be either positive, such as a sense of belonging, of security, of being home, or negative, such as repulsion, fear, or a sense of being lost. […]. In emotional space we relate to space—or to certain places within space—not in a utilitarian way, not to get somewhere, but rather for the sake of what it evokes in the imagination. Emotional space has a special affinity with stories and with memories—it is because it is linked to stories that it matters to us, either positively or negatively.186

Nel caso della seconda declinazione, invece, la studiosa osserva che «while the emotional conception of space constructs the self as a relation to its environment (or as the failure to establish such a relation), the strategic conception constructs the self as possibilities of action»187. Detto in altro modo, lo spazio emozionale e lo spazio strategico differiscono per i modi con cui il giocatore si può relazionare con essi: se nel primo caso, infatti, il rapporto che si instaura con l’ambiente digitale è fondato sulla reazione emotiva e sull’evocazione di determinati sentimenti, nel secondo caso questo rapporto è più orientato verso un concetto utilitaristico di funzionalità per il quale lo spazio è semplicemente uno strumento ludico a disposizione del giocatore, dal quale quest’ultimo può attingere un set di possibilità di azione e superare così gli ostacoli posti dal videogioco e raggiungere gli obiettivi prefissati. Banalmente, questi due sottogeneri della spazialità dipendono dall’atteggiamento richiesto al giocatore in un determinato digital environment: da una parte è previsto un comportamento reattivo e ricettivo, dall’altra uno strumentale e proattivo. L’esistenza di queste due concezioni è dopotutto da ricercarsi nella natura intrinseca dello spazio videoludico, in quanto «as spatial practice, computer games are both representations of space (a formal system of relations) and representational spaces (symbolic imagery with a primarily aesthetic purpose). […] The spatial representation in computer games is ambivalent and doublesided: it is both conceptual and associative»188.

L’ultima proprietà specifica degli ambienti digitali, la quale contribuisce alla definizione delle loro qualità immersive, è la loro natura enciclopedica. Sebbene Murray sfati presto il falso mito per cui i

digital environments abbiano potenzialità di espansione infinita, e secondo cui le informazioni

archiviate e organizzate al loro interno siano interconnesse nella loro totalità e accessibili a tutti gli utenti, la studiosa non manca di evidenziare la carica creativa che la loro natura enciclopedica, seppur limitata e frammentata, è capace di apportare. Infatti,

186 Marie-Laure Ryan, “Emotional and Strategic Conceptions of Space in Digital Narratives”, in Hartmut Koenitz, Gabriele Ferri, Mads Haahr, Diğdem Sezen, Tonguç Ibrahim Sezen (a cura di), Interactive Digital Narrative. History,

Theory and Practice, cit., p. 106

187 Ibidem

188 Espen Aarseth, “Allegories of Space. The Question of Spatiality in Computer Games”, in Markku Eskelinen e Raine Koskimaa (a cura di), Cybertext Yearbook 2000, cit., p. 163

139

The encyclopedic capacity of the computer and the encyclopedic expectation it arouses make it a compelling medium for narrative art. The capacity to represent enormous quantities of information in digital form translates into an artist’s potential to offer a wealth of detail, to represent the world with both scope and particularity. […] The limitless expanse of gygabytes presents itself to the storyteller as a vast tabula rasa crying out to be filled with all the matter of life. It offers writers the opportunity to tell stories from multiple vantage points and to offer intersecting stories that form a dense and wide-spreading web.189

È evidente che l’adattabilità dei digital environments a sostenere narrazioni di grande portata ed estendibili, dovuta alla loro capacità enciclopedica, corrisponda, nel caso specifico dell’environmental storytelling, nella tendenza, accennata nell’introduzione al capitolo, a portare il racconto ad eccedere dai confini del medium di riferimento. La natura transmediale delle narrazioni ambientali fa affidamento, infatti, proprio sulla possibilità di costruire spazi densi di informazioni, suggestioni, personaggi e storie propria della dimensione enciclopedica degli spazi virtuali. In questo senso, la carica creativa di questa particolare proprietà degli ambienti digitali alimenta l’espansione dell’universo narrativo in cui si inseriscono le pratiche di environmental storytelling e moltiplica le istanze di ampliamento della backstory contribuendo in tal modo al costante sviluppo del

world-building sulla base di dinamiche fondamentalmente transmediali. D’altra parte, questa natura enciclopedica non corrisponde necessariamente a risultati produttivi ed efficaci dal punto di vista narrativo: essa, per l’appunto, potrebbe incoraggiare l’assenza di forma e un’estensione troppo prolissa dei contenuti, facendo in tal modo perdere i riferimenti al fruitore che rischia di non poter discernere i punti di chiusura del racconto e, contestualmente, non sapere se ha effettivamente avuto esperienza di tutto quello che è stato effettivamente raccontato. È per questa ragione, e per far fronte al pericolo di inconsistenze narrative che si possono riflettere su incoerenze di tipo ludo-narrativo, che l’environmental storytelling spesso ricorre all’apertura del senso: le narrazioni ambientali, infatti, possono non fornire volontariamente tutti gli strumenti utili a comprendere la totalità degli eventi raccontati attraverso gli spazi, con l’obiettivo di incoraggiare nei giocatori molteplici interpretazioni, nessuna delle quali è necessariamente errata – naturalmente nei limiti della congruenza con ciò che effettivamente si è tentato di comunicare –, e ovviando contemporaneamente alle criticità che sorgono con l’abuso della natura enciclopedica degli ambienti digitali.

140