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CAPITOLO 4. PER UNA GRAMMATICA DELL’ENVIRONMENTAL STORYTELLING:

4.3 Elementi della rappresentazione dell’environmental storytelling

4.3.1 Messa in scena: disposizione

Quando si parla di messa in scena funzionale alla realizzazione di un racconto incorporato negli ambienti virtuali non ci si riferisce unicamente alle strategie di selezione e design degli oggetti che contribuiscono a definire una determinata ambientazione. Sebbene tali operazioni rimangano

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comunque fondamentali nell’ottica della integrazione di una narrazione ambientale che funzioni su diversi livelli (quello formale, quello rappresentativo e quello funzionale), la qualità per la quale la messa in scena può essere considerata un elemento specifico dell’environmental storytelling consiste nell’insieme delle soluzioni di disposizione degli oggetti nello spazio virtuale. Come si è scritto precedentemente, l’environmental storytelling si distingue dalle narrazioni che il videogioco ha tradizionalmente mutuato da altri media per un cambiamento di paradigma: da narrazioni tipicamente espositive si è operato uno spostamento nella direzione di narrazioni fondate su pratiche di disposizione spaziale. Detto in altro modo, piuttosto che mostrare attraverso momenti non-interattivi porzioni della storia ad un giocatore passivo, con le narrazioni ambientali si preferisce rendere partecipe il giocatore nella ricostruzione della storia stessa disseminando il mondo di gioco di suoi frammenti, di fatto creando un racconto basato sulla disposizione degli elementi che recano le tracce degli eventi e degli esistenti di quel mondo e lasciando al giocatore il compito di far emergere i significati incorporati nello spazio. Appare evidente, dunque, che non è tanto importante cosa viene mostrato e cosa viene nascosto, ma piuttosto è di fondamentale importanza il modo in cui ciò che si decide di connotare di significati legati alla storia viene disposto nello spazio e quindi messo a disposizione dell’indagine del giocatore. In questo senso, la messa in scena intesa come un complesso di strategie di disposizione degli elementi nello spazio costituisce la prima qualità della rappresentazione digitale utile ai fini della narrazione ambientale. Se, infatti, l’environmental

storytelling è innanzitutto narrazione visuale, le strategie di disposizione proprie della messa in scena

virtuale sono lo strumento principale per comunicare al giocatore in maniera immediata – e quindi in senso prelinguistico, prima di ogni interpretazione legata a logiche e valori personali o condivisi – le relazioni che si instaurano tra gli elementi collocati nello spazio, gettando le basi per la successiva attività di ricostruzione degli eventi raccontati attraverso di esso. Per mezzo della messa in scena, dunque, si possono definire le relazioni tra i differenti elementi che compongono le ambientazioni virtuali, innanzitutto sulla base di rapporti di tipo fisico-spaziale – di contiguità, di dimensione, o ancora in riferimento al contesto o a gerarchie predeterminate – che gli sviluppatori definiscono tra di essi tramite le operazioni di disposizione. Dal momento che gli elementi soggetti a questa disposizione incorporano al loro interno i rimandi agli eventi di cui si compone la storia di gioco, la naturale conseguenza dell’esperienza che il giocatore ha di essi consiste in un atto di contestualizzazione narrativa delle relazioni che intercorrono tra tutti questi elementi. Attraverso associazioni e corrispondenze logiche, spesso fondate su un semplice principio di causa ed effetto, il giocatore mette in connessione i rapporti fisico-spaziali con la dimensione della narrazione, riconoscendo motivi e richiami ad eventi o a personaggi che partecipano alla costruzione di un

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determinato mondo virtuale. Per fare un esempio, basti pensare al caso precedentemente accennato di Portal (Valve, 2007) e dei messaggi sui muri lasciati da un precedente soggetto all’interno del laboratorio. Già di per sé, il fatto che tali scritte vengano riprodotte su un muro comunica l’impossibilità di accedere, in quell’ambiente, ad altre forme di comunicazione, rinforzando il tema della prigionia. In aggiunta a questo, il racconto per mezzo di tali graffiti si serve anche della contiguità per comunicare, attraverso un principio di progressione, il senso di paranoia e schizofrenia che caratterizza l’autore dei messaggi, e, al tempo stesso, insinuando nel giocatore dubbi sull’attendibilità della realtà del mondo di gioco, orientandone di conseguenza i processi interpretativi. Esempi di messa in scena basata sulla disposizione degli elementi spaziali si possono rintracciare anche in casi afferenti al sottogenere dei walking simulators: tra i tanti, si ricorda il già citato Gone Home (The Fullbright Company, 2013). Nel videogioco, il giocatore veste i panni di una ragazza che, ritornata nella casa natia dopo una lunga assenza, si trova da sola ad esplorare ogni area dell’abitazione rivelando progressivamente le storie dei quattro membri di cui si compone la sua famiglia (protagonista compresa). Non tutte le stanze della casa sono accessibili fin dal principio, e la loro disposizione è progettata per permettere al giocatore di interagire con gli oggetti che custodiscono al loro interno una parte della storia – siano essi audio diari, messaggi di segreteria, lettere, cartoline, ecc. – in maniera graduale e guidata. Sfruttando l’artificio dell’area abbandonata, gli sviluppatori possono concentrare l’attenzione del giocatore sull’esplorazione e sul rinvenimento di informazioni utili a ricostruire un quadro chiaro delle storie incorporate nello spazio e nei suoi elementi, e guidare la sua interpretazione attraverso una messa in scena misurata intorno alla disposizione di questi ultimi. Non è un caso, infatti, che in Gone Home le rivelazioni più importanti sulla storia del mondo di gioco vengano collocate nella soffitta della casa, in quello che è un movimento ascendente della narrazione ambientale. Se, infatti, l’esplorazione della casa comincia dal piano terra, la progressione insista nella disposizione spaziale porta inevitabilmente a concludere il racconto nell’area più lontana da quella di partenza, secondo una messa in scena che porta l’integrazione dell’environmental storytelling a basarsi su di un principio gerarchico – nonostante sia presente un’area segreta nell’atrio al piano terra della casa, la cui rivelazione è però subordinata all’esplorazione dei piani superiori in cui sono presenti le prove della sua esistenza. Concentrare le strategie di messa in scena prima di tutto sul concetto di disposizione degli elementi spaziali, inoltre, previene l’emergenza di possibili inconsistenze nell’interpretazione degli eventi che il giocatore costruisce mentalmente. Infatti, durante l’esplorazione di un’ambientazione caratterizzata dall’implementazione dell’environmental storytelling al suo interno, qualsiasi tipo di potenziale incongruenza può essere bloccata sul nascere nel momento in cui i designer «try to make sure

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everything about the “what happened here” story jibes not only with what’s found in the environment, but also with where these items are discovered»237. Naturalmente, questo discorso sulla disposizione riguarda anche gli agenti che abitano il mondo di gioco: siano essi nemici o Non-Playble Characters, la loro collocazione nello spazio videoludico può rivelare molto riguardo la loro backstory e contribuire ad una più generale pratica di world-building. A tal riguardo, la serie Dark Souls (From

Software, 2011-2016) rappresenta un sostanzioso bacino di casi esemplari. La dimensione dark fantasy che lo contraddistingue, la struttura narrativa dichiaratamente non-espositiva, e l’adozione di narrazioni ambientali organiche e interconnesse, hanno permesso agli sviluppatori di costruire un mondo denso di storie personali che sono solo limitatamente collegate alla storia del giocatore; queste, infatti, prima di tutto contribuiscono ad un world-building complesso, sfaccettato, e talvolta, impegnativo da decifrare. Uno degli artifici più utilizzati per veicolare i racconti ambientali che partecipano alla definizione di queste storie del mondo e dei soggetti che lo abitano è, per l’appunto, la disposizione dei personaggi e dei nemici nello spazio virtuale. In questo senso, una delle storie più esemplificative in riferimento alla relazione tra messa in scena e personaggi è certamente quella del

boss238 di gioco Great Grey Wolf Sif. Il personaggio è un lupo innaturalmente gigante che combatte brandendo un immenso spadone la cui impugnatura è stretta nelle sue fauci. Il giocatore lo può trovare in un’ampia area apparentemente isolata, al confine di un bosco oscuro. Ad una più attenta ispezione, l’arena per il combattimento si rivela essere nient’altro che un cimitero, e il posizionamento di Sif è pensato in funzione di ciò: il lupo gigante, infatti, sta facendo la guardia a quella che, presumibilmente, è la tomba del suo padrone. Una volta sconfitto, uno degli oggetti che il giocatore riceve per la vittoria, l’anima di Sif, conferma l’interpretazione del comportamento del lupo: la tomba che proteggeva era effettivamente quella del suo padrone Artorias The Abysswalker. La semplice disposizione di due elementi (il lupo e la tomba) in uno spazio connotato (il cimitero), rivelano, senza bisogno di un’esplicita esposizione dei fatti, la natura di un personaggio e una parte della sua storia personale. Se si considera che poi questa storia, come molte altre, è interconnessa con la storia personale di altri personaggi – si può scoprire, infatti, che l’aggressione di Sif non era un atto ostile, ma un tentativo di protezione nei confronti del giocatore, mirato ad ostruire la prosecuzione del suo viaggio e, dunque, impedirgli di andare in contro allo stesso destino infausto del padrone – appare evidente che anche la disposizione dei personaggi può essere uno strumento della rappresentazione virtuale utile a realizzare racconti ambientali a partire da una messa in scena programmatica e

237 Evan Skolnick, Video Game Storytelling. What Every Developer Needs to Know about Narrative Techniques, cit., edizione kindle

238 Con Boss, nel gergo videoludico, si intende «a large and/or challenging enemy that blocks a player’s progression and acts as the climaxing/ending to the game’s environment, level, or world». Scott Rogers, Level Up! The Guide to Great

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organica. In questo senso, la messa in scena conserva anche la funzione di rendere credibile il mondo di gioco attraverso operazioni di disposizione degli NPC che si fondano non solo sulle necessità del

gameplay, ma soprattutto sulla coerenza spaziale e sulla valorizzazione delle narrazioni in esso

contenute. Infatti,

Believability can also be sorely tested when it comes to the final placement in a level of NPCs—especially antagonists. Enemy placement is a design task that can take a huge amount of effort and tuning in order to optimize the player experience, throttle the difficulty level, and regulate gameplay pacing. On the narrative side, the challenge is different but can sometimes be no less obstinate. Narrative is constantly required to justify the seemingly endless waves of enemies a player encounters in a typical action title or shooter. Although an effort will probably have been made to narratively explain the enemies in general, there sometimes also arises the question regarding each individual enemy or small group. In a visual medium like a video game, players might be apt to notice enemies just standing around, waiting for the player to get within their detection range before they charge in for the attack. The oddness of their placement might become more obvious when the player is given the opportunity to visually take it in and evaluate it. “What is that guy doing over there? Apart from just standing around waiting for me to get within his detection range? Beyond just odd, sometimes placements seem downright impossible. If an enemy is positioned in a tower with no discernible way he could have gotten up there (i.e. no stairs, ladder, etc.), the level designer may be thinking too much about gameplay and not quite enough about believability. […] So, when it comes to the placement of enemies in a level, [developers] must balance gameplay needs and narrative believability, from the macro (the main Boss) down to the micro (the weakest thug in the game).239

La messa in scena che si basa prima di tutto su strategie di disposizione spaziale degli elementi dell’ambientazione virtuale, siano essi oggetti di scena, architetture o non-playable characters, si configura così come uno degli elementi della rappresentazione fondamentali per l’implementazione di un’environmental storytelling che non si limita a realizzarsi in occorrenze estemporanee, ma che, al contrario, basa la sua coerenza e la sua efficacia sull’organicità delle soluzioni adottate e sull’integrazione sistematica di ogni elemento di cui si compone.