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Le fasi della fruizione dell’environmental storytelling

CAPITOLO 3. ENVIRONMENTAL STORYTELLING: PRINCIPI E PRESUPPOSTI DELLA

3.6 Le fasi della fruizione dell’environmental storytelling

Prima di avviare lo studio della grammatica dell’environmental storytelling inteso come pratica formalizzata (di cui, per l’appunto, si approfondiranno nello specifico i singoli elementi costitutivi e le regole combinatorie che ne organizzano l’impiego), si renderà necessario operare una breve digressione riguardo l’esperienza fruitiva delle narrazioni ambientali e i processi chiamati in causa durante tale atto, che come si è detto non è solo “ricettivo” ma è anche (e soprattutto) creativo. Questa operazione si inserisce nell’ottica della comprensione dei presupposti che permettono la realizzazione di narrazioni transmediali che estendono l’universo finzionale videoludico di riferimento, a partire dallo spazio digitale narrativamente caratterizzato del videogioco. Sulla base di questo intendimento, è dunque importante evidenziare come questi processi su cui si struttura l’esperienza delle narrazioni ambientali, e di rimando le interazioni che sono progettate all’interno dei mondi virtuali, si contraddistinguano per specifiche proprietà. In questo senso, si farà riferimento alla tassonomia proposta da Wright, Wallace e McCarthy, i quali individuano sei processi dell’esperienza che un utente può avere di un mondo virtuale, premesso il fatto che questa esperienza «is constituted by

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continuous engagement with the world through the act of sense-making at many levels»207. Tale atto di produzione del senso si articola, secondo gli studiosi, in sei distinte fasi dell’esperienza: la fase dell’anticipazione, quella della connessione, quella dell’interpretazione, quella della riflessione, quella del recounting, e infine quella dell’appropriazione. Sarà utile analizzare caso per caso tali fasi in modo da comprendere come i processi su cui si fondano possano essere declinati alla dimensione specifica dell’environmental storytelling, cominciando proprio dalla fase dell’anticipazione. Questo primo momento dell’esperienza di un mondo e delle narrazioni da esso prodotte in realtà ha inizio ancora prima di interagire con il mondo stesso. Infatti, sono le esperienze passate dell’utente in situazioni analoghe a portare quest’ultimo a costruire una serie di aspettative e a dotarsi di strumenti e criteri interpretativi formati in precedenza per poi essere applicati alla nuova esperienza. La fase dell’anticipazione, però, non rimane relegata ai momenti che preludono alla fruizione vera e propria, ma è costantemente presente durante tutta l’esperienza e viene continuamente rivista e rinegoziata a seconda dell’aderenza o della dissonanza dei significati che emergono dalle narrazioni in relazione alle suddette aspettative dell’utente. Nell’environmental storytelling l’anticipazione è una fase determinante, in quanto il giocatore che affronta i racconti ambientali senza condividere la predisposizione ad indagare gli spazi del non detto e a ricucire i rapporti di causa-effetto che legano le vicende del gioco non fruirà mai pienamente delle potenzialità di questo tipo di racconto, di fatto ignorando gli elementi cardine su cui si struttura. Per offrire un riferimento più preciso, basti pensare al caso dei cosiddetti soulsborne208, termine utilizzato per indicare la serie di giochi della software house From Software inaugurata nel 2009 con Demon’s Souls e ancora in corso con il recente action Sekiro: Shadows Die Twice (From Software, 2019). In questi videogiochi, l’utilizzo estensivo dell’environmental storytelling è legato a doppio filo con il tema ricorrente della corruzione e della perversione dell’animo umano causata dall’irriducibile desiderio di esistere, il quale risulta in realtà in decadimento e degenerazione. Il giocatore che si approccia a questo specifico sottogenere nella fase di anticipazione inevitabilmente costruisce una serie di riferimenti interpretativi basati sulle esperienze precedenti con i soulsborne, cercando e individuando in prima battuta al loro interno proprio gli elementi della narrazione che si possono associare al suddetto tema della rovina, per poi ridefinire le anticipazioni stesse a seconda del senso che emerge nelle interazioni con gli ambienti e con gli oggetti di cui si compongono, riequilibrando le proprie aspettative in funzione delle sfumature del senso della specifica narrazione ambientale. La fase successiva, quella della connessione

207 Peter Wright, Jayne Wallace, John McCarthy, “Aesthetics and Experience-Centered Design”, ACM Transactions on

Computer-Human Interaction, Vol. 15, N. 4, Novembre 2008, p. 18:6

208 Il termine è una crasi tra la parola Souls attinta dalla serie Dark Souls (From Software, 2011-2016) e la desinenza

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dell’utente con l’esperienza, consiste nell’immediato momento di interazione con il mondo virtuale. In altre parole, è necessario operare «a distinction between the immediate, prelinguistic sens of a situation and our linguistically mediated reflection upon it. Connecting is our term for this immediate sense of a situation»209. La connessione, pertanto, è quel processo per il quale sono le emozioni e le sensazioni che colpiscono l’utente la prima volta in cui incontra una determinata situazione nel mondo virtuale a orientare l’esperienza che egli ha del mondo stesso. Per fare un esempio utilizzando ancora il caso dei soulsborne, il clima di tensione e pericolo che aleggia nella maggior parte delle ambientazioni attiva meccanismi di connessione che sono preriflessivi e prelinguistici, in quanto sono dovuti a un rapporto immediato che si crea tra giocatore e spazio che è in qualche modo più viscerale e sensoriale che riflessivo e quindi mediato. Strettamente legato alle fasi di anticipazione e connessione, il processo di interpretazione è quella parte dell’esperienza in cui l’utente rintraccia la narrazione del mondo virtuale, riconosce gli agenti che lo abitano e le possibilità di intervento al suo interno, ricostruendo quello che è successo e prevedendo, nei limiti degli strumenti conoscitivi a sua disposizione, cosa potrebbe succedere. Tutto ciò avviene in un costante dialogo con le aspettative proprie dell’anticipazione e le sensazioni immediate proprie della connessione, interpretando l’insieme degli elementi sulla base di corrispondenze o discordanze tra le fasi dell’esperienza fin qui illustrate. Nell’environmental storytelling questa è una fase di primaria importanza perché è in questo momento che il giocatore costruisce il quadro epistemico di riferimento per quanto riguarda il mondo di gioco e la narrazione in esso incorporata, dando una struttura ai significati emersi nelle precedenti fasi. Naturalmente, dove il racconto prevede un’apertura del senso e dove non ci sono interpretazioni necessariamente corrette o errate, questa fase può generare successivamente – più precisamente tramite i processi di appropriazione – un uso più libero del sistema di valori e delle esperienze personali del giocatore, trasformando l’esperienza delle narrazioni ambientali in un atto soggettivo e creativo. Alla fase dell’interpretazione segue quella della riflessione, per la quale l’utente può giudicare l’esperienza del mondo virtuale e assegnarvi dei valori. Questa fase si articola in due momenti distinti: la riflessione, infatti, avviene sia durante l’arco di tutta l’esperienza – in altre parole, mentre l’utente vi è immerso – sia successivamente alla sua conclusione, in una forma di racconto interiore in cui i suoi contenuti vengono messi in relazione con il contesto di altre esperienze. La fase della riflessione consiste dunque nell’articolazione di un pensiero critico che sia capace di attribuire una forma (perlomeno mentale) al senso emerso dall’esperienza. Nel caso dell’environmental

storytelling, questo processo si riflette nei meccanismi di collegamento logico tra gli eventi della

209 Peter Wright, Jayne Wallace, John McCarthy, “Aesthetics and Experience-Centered Design”, ACM Transactions on

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storia di gioco e le tracce che ne recano la memoria, e nella conseguente ricostruzione della storia stessa sulla base di conoscenze pregresse e sapere acquisito durante l’esperienza.

Un discorso più approfondito merita la fase del recounting, in quanto i processi di riproposizione del racconto originale che le sono caratteristici costituiscono il fondamento delle espansioni transmediali proprie dell’environmental storytelling. Il recounting si riallaccia alla fase che lo precede in quanto, come questa, supera l’esperienza nella sua forma immediata e preriflessiva, ricontestualizzandola sulla base delle esperienze altrui. Si tratta, più precisamente, di un modo per rimettere in circolazione l’esperienza, caricandola di significati non solo personali, ma anche sociali e culturali, con l’obiettivo di far emergere nuove possibilità e nuovi significati dell’esperienza stessa. Infatti, «experience urges toward expression, or communication with others. We are social beings, and we want to tell what we have learned from experience. […] The hard-won meanings should be said, painted, danced, dramatized, put into circulation»210. L’urgenza di raccontare ciò di cui si è avuto esperienza è ancora più forte nel caso dei mondi virtuali che incorporano narrazioni ambientali, in quanto la loro natura anti-espositiva e l’impegno interpretativo richiesto all’utente danno vita a forme espressive che sono mosse dall’intento di ricostruire il racconto a partire dai singoli elementi di cui si compongono tali narrazioni. Il recounting, in questi casi, riadatta le narrazioni ambientali a strutture più famigliari e immediatamente riconoscibili e fruibili (come quella classica in tre atti), trovando accoglienza fuori dal medium videoludico – principalmente nel web, con i wiki monografici, video essay e machinima. Questo atto di riproposizione degli archi narrativi a partire dai frammenti di racconto disposti nello spazio può essere pensato come una forma di re-telling, che si carica di significati personali e sociali e che altera nella struttura il materiale narrativo da cui trae ispirazione con l’obiettivo di rimetterlo in circolazione all’interno di altre forme espressive che non siano il videogioco. In questo senso, se i sistemi narrativi interattivi tipici del medium videoludico si possono articolare in più livelli – a partire da quello architetturale del codice, passando per quello del design narrativo e quindi della storia di gioco, arrivando fino a quello più propriamente discorsivo riguardante l’interazione videoludica211le pratiche di recounting e re-telling devono essere considerate come un livello aggiuntivo, ma soprattutto costitutivo, della narrazione videoludica, e in particolare dell’environmental storytelling. Appare evidente che questa fase dell’esperienza, per come è stata descritta, si configuri come il catalizzatore per l’espansione transmediale delle storie contenute nelle narrazioni ambientali, dato che le piattaforme che raccolgono le forme espressive del recounting sono intrinsecamente spazi

210 Victor V. Turner, “Dewey, Dilthed and Drama: An Essay in the Anthropology of Experience”, in Victor V. Turner e Edward M. Bruner (a cura di), The Anthropology of Experience, University of Illinois Press, Urbana 1986, p. 37

211Cfr. Mirjam Palosaari Eladhari, “Re-Tellings: The Fourth Layer of Narrative as an Instrument for Critique”, in Rebecca Rouse, Hartmut Koenitz, Mads Haahr (a cura di) Interactive Storytelling. Proceedings of the 11th International

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personali (si pensi ad un canale YouTube) connotato però della dimensione sociale della condivisione del re-telling (si pensi, in questo caso, alle community di un wiki e alla socialità della costruzione dell’informazione che promuovono).

L’ultimo processo in cui consiste l’esperienza del soggetto di un mondo virtuale e delle narrazioni in esso incluse è quello dell’appropriazione. In questa fase, il riconoscimento e la costruzione del senso dell’esperienza si realizza nell’atto di mettere quest’ultima in relazione con esperienze passate e future, di fatto facendola propria. L’esperienza, in altre parole, non è qualcosa di estraneo alla percezione del sé dell’utente nell’insieme delle sue sensazioni e riflessioni, ma diventa qualcosa di personale. Non è raro, infatti, che, nella fruizione di una determinata istanza dell’environmental storytelling, il giocatore proietti dei significati intimamente collegati ai suoi valori, alle sue

competenze e alla sua personalità, con il risultato di ricostruire (perlomeno mentalmente) una storia dai messaggi, dai temi e dai contenuti misurati intorno alla percezione della propria esistenza. Interpretare, ad esempio, un determinato evento come un’allegoria di un’esperienza personale ma condivisa, oppure individuare allusione a temi di proprio interesse rappresentano appropriazioni che rifuggono dalla dicotomia giusto/sbagliato in quanto l’elevato grado di interpretabilità delle narrazioni ambientali garantisce una (pur sempre variabile) apertura del senso.

A conclusione di questo discorso sui processi che regolano l’esperienza che un soggetto può avere di un mondo, va comunque notato che la natura variabile e personale di un’esperienza non corrisponde ad una varietà indeterminata dei significati. Sebbene la percezione e la comprensione di qualsiasi esperienza siano sempre contraddistinte da un carattere dialogico212, per il quale il significato è sottoposto a costanti rinegoziazioni da parte dei soggetti che vi interagiscono, la sua natura contingente non si riduce ad una molteplicità indefinita di possibili interpretazioni. Nel caso dell’environmental storytelling, infatti, esistono sempre degli elementi costituitivi che, presi come riferimento, orientano la ricostruzione della storia e impediscono possibili equivoci nella fruizione della narrazione, spesso facendo affidamento su un design spaziale che indirizza e costringe le logiche interpretative del giocatore e su topoi di genere che inquadrano univocamente i temi narrativi ricorrenti.

212 Cfr. Peter Wright, Jayne Wallace, John McCarthy, “Aesthetics and Experience-Centered Design”, ACM Transactions

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