CAPITOLO 1. SPAZIALITÀ VIDEOLUDICA: ASPETTI TECNICI DELLA
1.4 Tridimensionalità
1.4.1 Visuale in prima persona
Sarà utile approfondire caso per caso in modo da avere un quadro più chiaro sulle possibili configurazioni dello spazio tridimensionale. Innanzitutto, va affrontata la questione della visualizzazione di questi spazi in 3D, che, come si è detto, si distingue tra la visuale in prima persona e la visuale in terza persona. Si vedrà di seguito, in maniera dettagliata, in cosa consistono queste due strategie di visualizzazione. Cominciando proprio dalla prima persona. Citando ancora Sharp:
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First-person point of view is the vantage point through which the gameworld is seen through the character’s eyes. This is the transposition of first-person narrative perspective. This creates a direct connection between the interface—the mouse on PC and Mac games, the left stick in most console games—and the player’s ability to see the world. The traditional approach to first-person perspective in a game was first used in Wolfenstein 3D (id Software, 1992) and refined through id’s DOOM and Quake. The player looks out onto the gameworld as if the screen were the player’s field of vision. Seeing the gameworld through the player character’s eyes has become the primary way first-person shooters present the gameworld to the player. Often, the player can only see their weapon-equipped arm.33
Si tratta dunque di una visuale in soggettiva, che pone al centro dell’azione lo sguardo del giocatore. Questo fa sì che lo spazio costruito intorno ad esso si organizzi secondo le facoltà visive attribuite all’avatar dell’utente. In altre parole, gli elementi che vanno a comporre lo spazio, e in particolare la loro diffusione nelle tre dimensioni sarà direttamente proporzionale all’estensione del raggio visivo del giocatore. Infatti, anche all’interno dei videogiochi tridimensionali che adottano la visuale in prima persona si possono trovare casi in cui l’attraversamento del mondo di gioco può venire visualizzato in maniera discreta o in maniera continua sempre nei limiti che il caricamento dei dati di gioco permette). Anche in questa circostanza, dunque, lo spazio può essere delimitato da un quadro fisso, oppure svilupparsi in quello che, forzando un po’ la definizione, è uno scrolling a 360 gradi. Basti pensare a un’opera videoludica come Myst (Cyan, 1993), cioè un’avventura grafica in prima persona costituita da una serie di quadri, l’uno connesso all’altro secondo logiche di contiguità geografica, all’interno dei quali è costruito uno spazio 3D prerenderizzato.34 Naturalmente gli esempi di quadro fisso sono presenti in quantità minore nel panorama dei giochi in prima persona rispetto a quelli che fanno uso di un mondo di gioco che si estende tutto intorno al giocatore e che permette una navigazione a 360 gradi, pur con le dovute limitazioni. Ma rimane comunque doveroso citarli in quanto contribuiscono alla comprensione dell’importanza del punto di vista nella costruzione di ambienti in tre dimensioni visualizzabili tramite la visuale in soggettiva. La prima persona, per come è utilizzata dall’industria videoludica oggi, è una forma di visuale impiegata in larga parte negli
shooter – nonostante non manchino giochi di ruolo o puzzle game in prima persona, tra tutti si ricordano, rispettivamente, le serie di The Elder Scrolls (Bethesda, 1994-2019) e di Portal (Valve, 2007-2011) –, dove lo spazio ludico si configura come un’arena densa di bersagli da colpire con la propria arma da fuoco. In linea con questo modo di concepire la visuale e il genere, lo spazio di adatta contestualmente, componendosi di elementi che, a seconda del design di gioco, aiutano o ostacolano
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il giocatore nella missione di eliminare i propri nemici. Benché questo modo di organizzare gli spazi non si differenzi molto da quello della terza persona, di cui si parlerà successivamente, esistono delle specificità legate alla visuale soggettiva, strettamente legate alla sua funzione fondamentalmente immersiva. Infatti, quello che può differenziare una visuale dall’altra, oltre alle ovvie misure tecniche che ne sottendono la realizzazione, è la costruzione di uno spazio caratterizzato in senso patemico. A riguardo, è prima di tutto necessario premettere che questa tipologia di spazio si basa sulle peculiarità della prima persona: il giocatore vede sempre solo ed esclusivamente quello che vede il suo avatar, la cui visuale, di rimando, essendo in soggettiva è limitata alla visualizzazione di ciò che realisticamente può percepire in base alle sue facoltà visive. Pare una tautologia sottolineare una condizione simile, ma se si considerano i videogiochi che inquadrano l’avatar da una posizione privilegiata, o per meglio dire in terza persona, si può comprendere in cosa consiste tale specificità: si tratta infatti di un processo analogo a quella che in narratologia è definita focalizzazione interna. Il giocatore vede solo ciò che il suo avatar può vedere, niente di più. Dunque, si può comprendere come uno spazio percepito in questa maniera possa configurarsi come un terreno fertile per la creazione, ad esempio, di atmosfere di tensione o di limitazioni e alterazioni della percezione visiva progettate con lo scopo di caricare di una data sensazione l’ambiente circostante. In questo modo la collocazione di elementi spaziali in determinate posizioni è funzionale a veicolare una particolare emozione nel giocatore, la cui coerenza è garantita dal punto di vista in prima persona. Per fare un esempio concreto, il survival-horror Alien: Isolation (Creative Assembly, 2014) fonda la sua meccanica di gameplay principale sulla necessità della protagonista di trovare una via di fuga da una navetta spaziale al cui interno si è introdotto l’iconico alieno xenomorfo a caccia di prede – il rimando al film originale della serie Alien (Ridley Scott, 1979) è volutamente palese, la protagonista del gioco infatti non è altri che la figlia di Ellen Ripley, protagonista a sua volta del primo Alien, per l’appunto. L’ambientazione del gioco è costituita da claustrofobici corridoi e stanze in cui cercare rifugio dall’attacco dell’alieno, in una specie di percorso labirintico in cui la costante e incombente presenza del nemico è resa ancora più terrificante dall’impossibilità della visuale in prima persona di riuscire a visualizzare tutto l’ambiente circostante, ma esclusivamente la porzione di spazio visibile agli occhi del personaggio. In questa maniera la specificità della soggettiva, messa in relazione con una precisa caratterizzazione dello spazio, contribuisce a dare vita ad un gameplay, e contestualmente ad una narrazione, fortemente connessa alla configurazione degli ambienti di gioco.
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