• Non ci sono risultati.

Tipologie di presenza nei virtual environments

CAPITOLO 3. ENVIRONMENTAL STORYTELLING: PRINCIPI E PRESUPPOSTI DELLA

3.5 Tipologie di presenza nei virtual environments

Le proprietà degli ambienti digitali finora descritte non possono però essere considerate come elementi avulsi dal contesto della fruizione dello spazio da parte dell’utente. In relazione a questo, vanno infatti evidenziate alcune dinamiche che emergono nel momento in cui viene presa in considerazione la condizione di presenza dell’utente nel digital environment. Come si è osservato, all’interno di questa tipologia di spazio l’utente può essere coinvolto in maniera variabile e può instaurare con gli agenti in esso presenti rapporti altrettanto diversificati. In tal senso, l’utente è presente nel mondo virtuale. Ma cosa si intende con presenza in questo caso specifico? Innanzitutto, si può pensare la presenza come uno stato mentale nel quale l’utente si sente soggettivamente presente all’interno di un mondo virtuale a seguito di un processo di immersione nel mondo finzionale di riferimento190. In altre parole, il concetto di presenza non fa riferimento alla realtà fisica dello spazio in cui è immerso l’utente, ma piuttosto riguarda i processi mentali che regolano e mediano la percezione dell’ambiente, siano essi automatici o controllati, in quello che è uno stato psicologico in cui oggetti virtuali «are experienced as actual objects in either sensory or nonsensory ways»191. Più specificatamente,

Presence is both a subjective and objective description of a person's state with respect to an environment. The subjective relates to their evaluation of their degree of “being there”, the extent to which they think of the virtual environment as “place like” (subject to suspension of disbelief). The objective is an observable behavioural phenomenon, the extent to which individuals behave in a VE [Virtual Environment] similar to the way they would behave in similar circumstances in everyday reality.192

Sulla base di queste esplorazioni della natura della presenza negli spazi digitali, tale concetto può essere declinato più nello specifico anche al caso del medium videoludico. In questo senso, la presenza intesa come fenomeno mentale fondato su una illusione percettiva può darsi in diverse forme e dimensioni. Ricordando sempre che «not every game immerses the player in a virtual 3D space. Some games reduce their spatiality and players get immersed not in the game world but in the playing of the game itself»193, sarà utile prendere a riferimento il modello proposto da Carrie Heeter per analizzare tali dimensioni. La studiosa ne individua tre fondamentali nell’esperienza soggettiva della 190 Cfr. Mel Slater, “Measuring Presence: A Response to the Witmer and Singer Presence Questionnaire”, in Presence:

Teleoperators and Virtual Environments, Vol. 8, N. 5, Ottobre 1999, pp. 560-565

191 Kwan Min Lee, “Presence, Explicated”, Comunication Theory, Vol. 14, N. 1, febbraio 2004, p. 27

192 Mel Slater, Sylvia Wilbur, “A Framework for Immersive Virtual Environments (FIVE): Speculations on the Role of Presence in Virtual Environments”, Presence: Teleoperators and Virtual Environments, Vol. 6, N. 6, Dicembre 1997, p. 606.

141

presenza in un ambiente virtuale: la presenza personale, la presenza sociale e la presenza ambientale194. Nel caso della presenza personale, si intende la misura di quel genere di esperienza della presenza «the extent to which and reasons why you feel like you are in a virtual world»195. Nel videogioco la presenza personale è evidentemente amplificata dalla progressiva sofisticazione delle tecnologie per la resa grafica, che restituiscono rappresentazioni dettagliate e fedeli che simulano l’insieme degli stimoli e delle interpretazioni che un utente può avere in un ambiente naturale. Parallelamente, la complessità crescente dei sistemi di gioco si riflette in un maggiore spettro di interazioni possibili con l’ambiente – si pensi solo alle azioni contestuali degli action game più recenti, in cui un determinato input restituisce azioni differenti a seconda del contesto spaziale in cui l’avatar del giocatore si trova e degli elementi di cui si compone – che a sua volta garantisce un maggior livello di interoperatività tra sistemi e ambiente. Questi due fattori (unitamente ad altri di minore evidenza ed intensità) evidentemente concorrono a rinforzare il senso di presenza personale del giocatore nello spazio videoludico, andando ad attivare processi di sospensione dell’incredulità e consolidando la sensazione di esistere in un mondo virtuale196. In breve, funzionalità e presentazione contribuiscono in modo determinante a creare altri livelli di presenza personale negli ambienti videoludici andando di fatto a potenziare il senso di immersione nel mondo virtuale.

Proseguendo nella disamina delle dimensioni della presenza, quando Heeter scrive di presenza sociale intende si riferisce «to the extent to which other beings (living or synthetic) also exist in the world and appear to react to you»197. Si tratta di un tipo di presenza che può emergere nel momento in cui l’utente dialoga con altri utenti oppure interagisce con soggetti animati (si pensi agli NPC precedentemente citati). Tutto ciò che nella finzione dell’ambiente digitale crede (o fa intendere di credere) che l’utente esista in quella dimensione virtuale non fa altro che alimentare la sensazione dell’utente stesso di essere effettivamente presente al suo interno. Detto in altro modo, l’esistenza di altri agenti nel mondo virtuale può essere percepita dall’utente come una prova che quel mondo esista realmente, e che quindi anche la propria esistenza sia legittimata in quel contesto. La presenza sociale prevede dunque che il riconoscimento dell’esistenza dell’utente da parte degli altri agenti del mondo

194 Carrie Heeter, “Being There: The Subjective Experience of Presence”, Presence: Teleoperators and Virtual

Environments, Vol. 1, N. 2, Primavera 1992, p. 262

195 Ibidem

196 In queste circostanze, può intervenire anche una dimensione della presenza più specifica definita telepresenza, per la quale la sensazione di esistere in un mondo virtuale è data da una percezione illusoria di presenza nonostante la coscienza che il controllo del proprio sé virtuale avviene da remoto. Nella telepresenza, l’utente è immerso in un ambiente rappresentato attraverso un medium anche se il suo corpo fisico esiste in un altro luogo. Per un approfondimento a riguardo, si veda Thomas B. Sheridan, “Musings on Telepresence and Virtual Presence”, Presence: Teleoperators and

Virtual Environments, Vol. 1, N. 1, Inverno 1992, pp. 120-126.

197 Carrie Heeter, “Being There: The Subjective Experience of Presence”, Presence: Teleoperators and Virtual

142

virtuale, e la loro conseguente interazione con lui, si configuri come una testimonianza della presenza dello stesso utente in quel mondo, secondo quello che è a tutti gli effetti un processo di costruzione sociale della realtà (virtuale)198. Nel caso specifico del videogioco, tale tipologia di presenza si riscontra banalmente in quegli esempi di multiuser worlds in cui l’attività sociale è incoraggiata dal fatto che gli ambienti virtuali sono abitati da altri giocatori, con cui si condividono non solo gli spazi digitali ma anche le esperienze di gioco in senso più stretto199. In questi mondi «the power of embodied presence is also quite often directly tied to a practice of presence as a social activity. In this formulation, the inscription of self on the space becomes a socially-mediated experience. Thorugh action, communication, and being in relation to others, users come to find themselves “there”. It is through placing one’s avatar in the social setting, having a self mirrored, as well as mirroring back, that one’s presence becomes grounded»200. Ma la presenza sociale non si limita solo a questi casi più immediatamente riconoscibili, al contrario si può estendere anche agli esempi di videogiochi single

player, i quali non necessariamente si traducono in esperienze prive di attività sociali. Infatti,

In single-player environments non-player characters can feed this projection by addressing the player directly as the fictional character, as seen in Half-Life 2. The player enters a role in relation to other beings in the game space and is immersed further through the development of this role and his or her embracing of these developments. Evocative narrative elements to support the characters also strengthen a form of social presence in single-player titles. These means can include forms of interaction (such as co-op play, or player vs. player play, or methods of player communication) as well as spatial design (such as public vs. private spaces) to support the social plane and to increase social presence in game titles.201

In questo specifico tipo di videogioco, la presenza sociale non è limitata dalla struttura a giocatore singolo, ma viene invece veicolata con mezzi dedicati: la percezione di presenza nel mondo virtuale non prende forma solo attraverso strumenti di interazione e comunicazione con altri utenti, ma anche tramite la progettazione degli spazi e la loro conseguente connotazione sociale, di fatto sfruttando quella natura evocativa dello spazio che il design degli ambienti digitali può valorizzare agli occhi del giocatore proprio grazie alle strategie tipiche dell’environmental storytelling. Per fare un esempio, 198 In riferimento a ciò, può rivelarsi utile anche il concetto più strettamente sociologico di co-presenza, per il quale «The full conditions of copresence […] are found in less variable circumstances: persons must sense that they are close enough to be perceived in whatever they are doing, including their experiencing of others, and close enough to be perceived in this sensing of being perceived». Erving Goffman, Behavior in Public Places. Notes on the Social Organization of

Gatherings, The Free Press, New York 1966, p. 17

199 Si pensi alla struttura di MMORPG come Final Fantasy XIV: A Realm Reborn, la quale è incentrata sul gioco collaborativo e sulla suddivisione di ruoli ludici e mansioni specifiche

200 T.L. Taylor, “Living Digitally: Embodiement in Virtual Worlds”, in Ralph Schroeder (a cura di), The Social Life of

Avatars: Presence and Interaction in Shared Virtual Environments, Springer-Verlag, Londra 2002, p. 44

143

si pensi alla serie Yakuza (Ryu Ga Gotoku Studio, 2005-2018) – anche conosciuta come Ryu Ga

Gotoku202 nel territorio nipponico. Nei titoli di questa serie il giocatore impersona Kazuma Kiryu, un ex-yakuza ormai convertitosi alla vita civile ma, contro la sua volontà, ancora coinvolto nelle vicende che vedono protagonisti i membri della sua famiglia di appartenenza e delle sue dirette rivali203. Tali vicende sono ambientate e circoscritte ad uno specifico distretto di Tokyo, cioè Kamurocho. Si tratta della versione finzionale videoludica del noto distretto a luci rosse di Kabukicho, nel quartiere di

Shinjuku. Il giocatore, dunque, si trova immerso in uno spazio di cui può avere esperienza anche nella

realtà (la riproduzione è infatti piuttosto fedele, e seppur limitata dalle costrizioni tecnologiche restituisce una mappatura della zona verosimile). La presenza sociale viene dunque già veicolata dalla scelta di ambientazione ispirata ad un luogo reale: il giocatore che conosce le particolarità del distretto sa che lo aspetteranno strade dense di giovani alla ricerca di divertimento notturno, di hostess bar, di nightclub, di love hotel e di bische per il gioco d’azzardo. Il fatto che poi il giocatore possa contare su una base operativa dedicata per il suo avatar non fa altro che rinforzare il principio per cui la socialità che fa da sfondo alla serie di videoludica sia veicolata non solo attraverso le interazioni con gli altri esistenti di Kamurocho – il giocatore può, infatti, coltivare anche rapporti di amicizia o amore con alcuni NPC predefiniti – ma anche, e soprattutto, per mezzo della connotazione sociale che possiedono le ambientazioni di cui si compone il distretto. La percezione di presenza, dunque, nel caso specifico di Yakuza si realizza secondo dinamiche sociali proprio grazie all’ambientazione realistica e alle opportunità di visitare e avere esperienza di luoghi pubblici e privati, e concomitantemente interagendo con gli agenti del mondo di gioco a seconda del contesto sociale di riferimento, così da fare leva su questa doppia condizione per potenziare nel giocatore l’idea di esistere in quel determinato spazio digitale.

L’ultimo tipo di presenza che Heeter individua nella sua analisi è la presenza ambientale. Secondo le parole della studiosa, «environmental presence refers to the extent to which the environment itself appears to know that you are there and to react to you»204. In questo senso ritorna il concetto di interoperatività di cui si è accennato precedentemente, anche se in questo caso piuttosto che agire tra sistemi e ambiente si instaura tra avatar e ambiente. La possibilità dello spazio digitale di essere responsivo all’esistenza e all’azione del giocatore al suo interno si riflette in una percezione da parte 202 Dal giapponese 龍が如く, cioè “come un drago”

203 Nel quarto e nel quinto capitolo della serie principale (cioè quella che non contempla gli spin-off), in realtà si possono controllare personaggi diversi dall’altrettanto differente background sociale e personale, e contestualmente visitare diverse città del Giappone. In questa sede, per motivi di carattere esemplificativo, si preferirà fare riferimento esclusivamente al protagonista Kazuma Kiryu, ricorrente in tutte le iterazioni della saga, e all’ambiente che catalizza le vicende di tutti i videogiochi, ovvero Kamurocho.

204 Carrie Heeter, “Being There: The Subjective Experience of Presence”, Presence: Teleoperators and Virtual

144

di quest’ultimo della sua presenza sulla base della “consapevolezza” – in modo simile a quanto succede con la presenza sociale – che l’ambiente dimostra riguardo la sua esistenza. Il principio di

responsiveness, che consiste nella capacità dell’ambiente di reagire dinamicamente agli stimoli del giocatore, è il fondamento su cui si basa la percezione di presenza ambientale. Forzando la definizione, la stessa Heeter osserva che i mondi virtuali «can also be designed to be more responsive than real worlds. When you walk into a room in the real world, it does not verbally or musically greet you or start raining. Virtual rooms might. It is quite possible that a virtual world that is more responsive than the real world could evoke a greater sense of presence than a virtual world where the environment responds exactly like the real world»205. Banalmente, le reazioni che hanno elementi dell’architettura dello spazio videoludico come finestre e porte che si aprono al passaggio dell’avatar del giocatore sono la testimonianza di un senso di presenza nel mondo di gioco articolato intorno al concetto di presenza ambientale e alla dinamica interazione-risposta che si viene a creare tra giocatore e ambiente. Se si riprende l’esempio di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (Konami, 2001), si può notare come anche le impronte di cui si è scritto, nel momento in cui vengono intese come traccia della propria presenza in un determinato luogo, in quanto inscrizioni nello spazio virtuale sono elementi che fanno parte del campionario degli elementi tipici della presenza ambientale. Esse, infatti, sono la prova del rapporto interattivo che può esistere tra giocatore e mondo virtuale, il quale alimenta l’illusione percettiva di esistere in uno spazio digitale sulla base del fatto che «inscribing one’s action into the game space visually emphasizes the connection between the game world and the inhabitants»206. Al di là di questi piccoli elementi che contribuiscono alla causa della presenza ambientale, esistono casi in cui tale tipologia di presenza è sfruttata in maniera programmatica, secondo strategie di implementazione organica e sistematica delle relazioni interattive tra spazio e avatar. Basti pensare a quei videogiochi che fondano l’interazione con l’ambientazione digitale e, più in generale, la propria proposta ludica su meccaniche basate su leggi fisiche variabilmente realistiche. Anche in questo caso, ritorna utile un esempio già citato in precedenza, ovvero quello di Portal (Valve, 2007). La semplice possibilità di creare portali attraversabili sulle superfici piane delle stanze di gioco permette una serie di approcci alla interazione tra giocatore e spazio digitale che si può risolvere in sperimentazioni inutili al fine della progressione ma, piuttosto, motivate dal piacere di verificare le possibilità interattive con l’ambiente digitale. Le leggi fisiche e la loro sperimentazione attraverso le meccaniche di gameplay sono degli strumenti funzionali al rinforzo della presenza ambientale del giocatore nel mondo virtuale. Un altro caso esemplificativo a riguardo è certamente

205 Ivi, p. 265

145

quello di The Legend of Zelda: Breath of the Wild (Nintendo, 2017). Il giocatore, durante l’esplorazione del vasto e variegato mondo di gioco, può interagire con l’ambiente in modo tale da produrre reazioni in quest’ultimo che, nonostante la ridotta aderenza a processi fisici e chimici reali, restituiscono comunque un forte senso di presenza, in virtù delle precedenti affermazioni di Heeter sulle qualità evocative specifiche dei mondi virtuali. Bruciando dell’erba, ad esempio, il fuoco crea delle correnti ascensionali che il giocatore può sfruttare per planare con il proprio parapendio; saltando sullo scudo lungo un pendio innevato, il giocatore può scivolare a gran velocità come se fosse su una tavola da snowboard; usando armi dalle proprietà elementali del ghiaccio su specchi d’acqua, si possono creare piattaforme ghiacciate su cui saltare per arrivare in punti altrimenti inaccessibili; utilizzando un particolare strumento a ventaglio si può convogliare una massa d’aria in modo da sfruttarla per far muovere imbarcazioni a vela o per sbilanciare i nemici. Queste ed altre interazioni giocatore-ambiente, basandosi su un altro grado di responsiveness di quest’ultimo, sono elementi costituitivi di quei videogiochi in cui la presenza ambientale non è veicolata solo attraverso singoli elementi e soluzioni estemporanee, ma è parte integrante di un sistema ludico in cui l’interazione con lo spazio digitale è implementata organicamente nel gameplay.