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“Oggi non sono me stesso, penso. Il cuore batte irregolarmente. La vita danneggia i vivi. Nessuno di noi è se stesso. Nessuno di noi è così”.

Salman Rushdie

Nella realtà siamo continuamente costretti ad usare la rete di senso che la nostra cultura ci ha donato, ma nello stesso tempo a trascenderla, reinterpretarla, adattarla a ciò che ci sta davanti. Nella peggiore delle ipotesi si conserva la tradizione come una cosa morta.

La cultura ci orienta sulle cose da fare e ci fornisce indicazioni su come farle. Il padre trasmette al figlio una cornice simbolica che userà come punto di riferimento e che modificherà con le sue esperienze di vita. La cultura come apprendimento ci salva dall’indifferenza e dall’oblio di esperienze passate, donandoci una memoria storica.

La cultura è emersa in modo graduale nel corso dell’evoluzione della specie umana e si sviluppa in modo progressivo nella storia individuale di un soggetto, per cui spesso appare come una realtà naturale e scontata. Essa è un ambiente invisibile in cui ciascuno di noi è totalmente immerso, senza rendersene conto.

In passato la cultura era considerata come una cornice esterna all’individuo, dentro la quale collocare le azioni e le interazioni umane. Attualmente rappresenta anche una dimensione interna ai soggetti, parte integrante del loro sé e della loro condotta. “La cultura –afferma Shore– è dentro e fuori le menti nello stesso tempo: essa è ovunque non solo in termini geografici ma soprattutto in termini psicologici”181. Nella sua doppia natura la troviamo all’interno del soggetto, attraverso pensieri, credenze, emozioni, e all’esterno nelle diverse espressioni istituzionali e sociali.

181 Bradd Shore, Culture in mind: Cognition, culture and the problem of meaning, citato da Luigi Anolli, Psicologia della cultura, op. cit., p. 28.

Questa prospettiva trova un valido riscontro nella comunicazione del soggetto verso altre persone. Pertanto, non esiste una concezione assoluta della natura umana come neanche della cultura. I soggetti comprendono ed interpretano la realtà con la quale entrano in contatto, facendo riferimento alle categorie mentali fornitegli da una certa cultura.

Per conciliare le varie culture bisogna guardare alla singolarità di ciascuna di esse cogliendone la regolarità. Lo studio, ad esempio, dei rituali religiosi può rimandare al confronto con le regolarità di altre culture. Inoltre, possiamo comprendere il particolare e l’universale entro le espressioni di una certa cultura rispetto a se stessa e alle altre. Questa prospettiva implica la capacità di stabilire ponti semantici fra culture attraverso il confronto e la negoziazione, al fine di favorire la comprensione dei vari fenomeni culturali.

La cultura non è un patrimonio fisso di pratiche e di conoscenze da tramandare di generazione in generazione. Benhabib sostiene che dal di dentro la cultura non appare come un tutto compatto, ma è piuttosto un orizzonte che si allontana ogni qualvolta ci si avvicina ad esso. La studiosa intravede una relazione tra universalismo interattivo, costituzione narrativa del Sé e dialogo culturale complesso.

La cultura si configura così come un processo continuo che prosegue nel tempo il suo cammino, in parte mescolandosi con le altre culture attraverso un’azione continua di influenza reciproca, in parte seguendo un itinerario preciso. In tale evoluzione la cultura mantiene una certa stabilità e prevedibilità. Si ha così una situazione paradossale in cui la cultura continua ad essere se stessa, anche se va incontro a forme incessanti di modificazione e di innovazione. “Un uomo onesto è un uomo mescolato” affermava Montaigne182. Il tempo di Montaigne è quello di Shakespeare, di Cervantes e di Calderòn. Essi con i loro scritti ci hanno mostrato che questa umanità mescolata è un dato culturale di quell’Occidente del XVI secolo, che si espose agli altri per conoscersi meglio.

Secondo Laplantine e Nouss l’ibridazione culturale non è un fenomeno nuovo, anche se nella società contemporanea il suo impatto è stato crescente e accelerato. Il pensiero meticcio che questi due autori propongono non è solo un modo per descrivere e interpretare la realtà, ma anche per comprendere le crisi e le

difficoltà del mondo contemporaneo, un mondo in cui è necessaria l’apertura allo scambio, all’interazione positiva, alla tensione dialogante fra diversi. Come scrivono i due autori: “Il meticciato […] si presenta come una terza via tra la fusione totalizzante dell’omogeneo e la frammentazione differenziata dell’eterogeneo. […]. Il meticciato non è la fusione, la coesione, l’osmosi, bensì il confronto e il dialogo”183.

Di solito il cambiamento dei modelli culturali non segue un andamento costante e regolare. Le fasi di stabilità sono caratterizzate da ripetizioni e da rigidità stereotipate. Inoltre, il cambiamento avviene sia dall’esterno che dall’interno. Nel primo caso le pressioni vengono da fuori, solitamente da altre culture, nell’altro caso il cambiamento è prodotto da minoranze culturali che vanno a modificare in profondità i modelli culturali esistenti. Per cui, se da una parte la cultura è una base sicura e un percorso definito che ci offre identità, certezze per orientarci nel mondo, dall’altra può essere motivo di smarrimento quando espressioni culturali diverse entrano in conflitto tra di loro184, o in vista di cambiamenti molto rapidi. Un esempio è quando, catapultati in un’altra realtà, subiamo uno ‘shock culturale’; in questo caso un diverso ‘senso comune’ della comunità di approdo ci può fa sentire stranieri o reduci185.

Le funzioni della cultura, secondo Mantovani186, sono tre: 1. la funzione di mediazione;

2. la cultura come produzione di senso; 3. la cultura e i valori.

Si considera la mediazione dell’attività cognitiva la prima funzione della cultura187. La mente di ciascun individuo opera all’interno di un contesto storico-

183 Ivi, pp. 8-9.

184 Secondo Marco Aime: “Quella dello scontro culturale è una maschera che nasconde le radici della questione presentandoci invece, con l’esasperazione talvolta caricaturale delle maschere, i tratti più estremi di quanto vuole rappresentare. Nasconde l’universalità di molti elementi culturali, patrimonio di popoli e di fedi diverse, per dar voce solo alle possibili risposte, che sono umane e pertanto non “naturali”, non assolute” (Marco Aime, Eccessi di culture, op. cit., p. 23).

185 Cfr. Alfred Schütz (1944), Lo straniero: saggio di psicologia sociale; ID. Il reduce (1945), in

Saggi sociologici, UTET, Torino, 1979 pp. 376-403. A proposito del migrare Sonia Floriani ha scritto: “L’evento migratorio è, nell’esperienza e nella rielaborazione di ognuno, un evento dirompente che mette in discussione le certezze della vita quotidiana ordinaria” (Sonia Floriani,

Identità di frontiera. Migrazione, biografie, vita quotidiana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 137).

186 Cfr. Giuseppe Mantovani, L’elefante invisibile, op. cit.

187 A questo proposito confronta Giuseppe Mantovani, Mediazione: prima funzione della cultura in Fulvio Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare, op. cit., p. 383.

culturale determinato dal quale è influenzato. Se un bambino è vissuto in un certo tipo di scuola, di famiglia, di ambiente svilupperà un certo modo di classificare, ricordare e ragionare. Non c’è un terreno culturalmente neutro, non ci sono processi immuni da influenze culturali. Inoltre, la mente modifica il suo meccanismo in relazione allo specifico medium con cui si trova ad interagire. Inserita nella rete di oggetti, relazioni e istituzioni sociali, la mente ne modifica la struttura e il funzionamento assumendo un ruolo attivo.

Dalla scuola storico-culturale tedesca, guidata da Vygotskij, giunge fino a noi la visione della cultura come dispositivo di mediazione tramite artefatti che possono essere sia materiali che concettuali. Da un lato l’attività umana si serve degli artefatti come mezzi per realizzare i propri scopi, dall’altro, però, essa è vincolata agli stessi come strumenti per raggiungere questi obiettivi.

L’esempio del bastone del cieco di Bateson nel suo Verso un’ecologia

della mente188 ci mostra come questo strumento funziona da canale lungo il quale corrono le informazioni di cui egli ha bisogno per camminare in strada. Il cieco usa il bastone per conoscere la strada. Il ‘bastone’ è lo strumento che media la relazione tra il cieco e la strada. “‘Mediare’ - secondo Mantovani - significa ‘rendere accessibile’ all’esperienza, e nello stesso tempo ‘vincolare’ l’esperienza in un certo modo: grazie al bastone il cieco sa qualcosa dell’ambiente che altrimenti non saprebbe, ma lo sa solo nei limiti e secondo le modalità che il bastone gli rende disponibili”189. Tutti noi siamo ciechi, in un certo senso, ed esploriamo la realtà con l’aiuto di strumenti, artefatti, attraverso cui conosciamo le cose ed agiamo nel mondo190.

L’incorporazione degli artefatti nell’attività umana crea una nuova relazione fra l’organismo e l’ambiente, nella quale il culturale e il naturale operano in modo sinergico. Gli artefatti che guidano l’attività cognitiva nel suo adattamento all’ambiente sono molteplici. Il più importante è il linguaggio inteso come conversazione, discorso, narrazione.

Successivamente, un altro strumento che interviene come mediatore dell’attività cognitiva è la categorizzazione. Questa attribuisce gli oggetti e le esperienze a particolari categorie che hanno un significato non solo linguistico,

188 Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976. 189 Giuseppe Mantovani, Intercultura, op. cit., p. 74.

ma anche sociale. La categorizzazione ordina dunque la realtà organizzando gli spazi, i tempi, le persone e le loro azioni; gli agenti percorrono questi sistemi di categorie a volte usandoli altre volte modificandoli.

Un terzo strumento che media l’attività cognitiva umana è la metafora. Essa serve a inquadrare le situazioni problematiche che incontriamo e a prendere le decisioni utili ai nostri interessi. La metafora riflette un ordine culturale: come la partecipazione ad una data cultura professionale può rendere ovvia l’adozione di una data metafora, così la partecipazione ad una data cultura religiosa o politica può fare preferire in modo automatico un certo modo di inquadrare i problemi rispetto ad un altro.

La seconda funzione della cultura è la produzione di senso. Come avviene la produzione di senso? Attraverso le analogie, veri e propri atti creativi, le persone stabiliscono delle somiglianze tra luoghi diversi della realtà. In passato si prediligevano alcune dimensioni come strutture portanti della società. Un esempio è dato dal determinismo economico, di cui parlava Karl Marx, che influenzava lo sviluppo e la circolazione delle idee e che controllava le altre sfere della società. Oggi, invece, l’attenzione per i processi culturali, sostituendo il grigio determinismo economico di ieri, ci restituisce un’interpretazione della realtà più articolata. Molti processi importanti dipendono dal contesto sociale in cui si verificano: le persone cambiano atteggiamento a seconda della circostanza e degli ambienti. La realtà sociale diventa luogo di produzione di senso. Come nota Mantovani: “la vita delle persone è strutturata non soltanto dalle relazioni di potere ma anche dal bisogno di dare un senso alle azioni e alle situazioni” 191. Secondo Geertz l’attenzione verso i fatti duri della vita, mezzi di produzione, dossier, giornali, non diminuisce quella verso i fatti morbidi, il senso della vita, come pensano e come dovrebbero vivere le persone, che cosa sostiene la loro speranza. È importante che ciascuno di noi tenga in mente che in ogni tempo e in ogni luogo si vive in un mondo permeato di senso.

Credenze e modi di sentire condivisi rappresentano la rete della cultura che unisce le persone in gruppi sociali. Per cui, la cultura è fatta di nessi analogici. Questi legami formano le connessioni attraverso cui i membri di una società comunicano fra loro. Il mito, la magia, i riti, le cerimonie, la poesia e la

conversazione sono parte di questa rete. “Le reti di senso –scrive Mantovani– che le culture costruiscono sono mappe che privilegiano certi aspetti della realtà a danno degli altri. Omissioni e imprecisioni sono tollerate, purché consentano a chi le usa di orientarsi in modo sicuro rispetto ai suoi obiettivi prioritari”192.

Un altro aspetto essenziale nella produzione di senso è la conoscenza del proprio posto nell’ordine delle cose. Ad esempio, per gli aztechi la chiave di questo ordine era costituita dal tempo: il tempo mitico esercitava un’influenza determinante su quello umano. Inoltre, il linguaggio e i concetti definiscono lo spazio della realtà a cui esse sono in grado di conferire senso, mentre condannano le realtà e le esperienze per le quali non si riesce a trovare posto nella griglia interpretativa. Un esempio dato da Mantovani sono gli equivoci e le incomprensioni che si creano nell’incontro di pratiche religiose fra occidentali europei, gli spagnoli, e gli indios colonizzati. O anche la pratica terrificante, ai nostri occhi, dei cacciatori di teste fra gli Ilingot, contrapposta, ai ‘loro’ occhi, alla chiamata alle armi in caso di guerra.

La terza funzione della cultura è quella di motivare le persone, indicando gli obiettivi a cui tendere: si tratta di criteri e modelli morali, e non di prescrizioni, che le persone usano per comprendere le situazioni e decidere il futuro. La cultura, perciò, fornisce alle persone dei modelli morali, dei criteri, ma essi non necessariamente sono inseriti in un insieme ordinato e coerente. Anche i modelli morali più vincolanti sono messi in discussione al loro interno da problemi di interpretazione, da conflitti fra norme e soprattutto dal fatto che nell’affrontare i problemi quotidiani non possiamo far riferimento al passato. I modelli di condotta vengono continuamente rivisitati, riformulati e discussi.

Su questioni controverse troveremo molteplici modelli di comportamento offerti dalle culture ai loro membri più conflittuali. Attraverso l’uso dei modelli morali, gli agenti carpiscono le situazioni e si orientano nelle loro scelte usando il repertorio di valori a loro disposizione. Per tale motivo i processi educativi, in particolare quelli scolastici, rivestono una certa importanza nel loro porsi come luoghi in cui i valori morali vengono elaborati, legittimati e proposti ai giovani193.

192 Ivi, p. 180.