Poco dopo la metà degli anni ’80, quando nelle classi delle scuole italiane cominciarono ad entrare bambini e bambine immigrati, fu evidente agli insegnanti che queste presenze avrebbero creato dei problemi e delle emergenze con cui fare i conti. Le istituzioni scolastiche, infatti, si trovarono impreparate ad accogliere i piccoli ospiti. Nelle parole di Graziella Favaro: “Le scuole e i servizi per i più piccoli sono infatti stati, fin dall’inizio del fenomeno migratorio, i luoghi privilegiati dell’accoglienza e dello scambio, dell’apprendimento linguistico e del confronto fra aspettative e modelli di crescita”302. Nell’archivio del Ministero dell’Interno dei soggiornanti stranieri al 31 dicembre 2001 risultano solo 70.291 minori stranieri, meno di un quarto della presenza effettiva. Questo avviene perché i permessi di soggiorno vengono rilasciati individualmente ai minori solo in determinati casi: ingresso da soli per ricongiungimento familiare, motivi di studio, di lavoro (se hanno compiuto 14 anni di età), di asilo (se non accompagnati), di turismo e di salute, come anche di adozione e di affidamento.
Se la popolazione immigrata adulta è raddoppiata nel corso di dieci anni, il raddoppio per i bambini è avvenuto in appena quattro anni, passando da 126.000 alla fine del 1996 a 278.000 alla fine del 2000. Tenendo conto, anche, dei nuovi nati (oltre 25.000) e dei ricongiungimenti, la soglia delle 300.000 presenze è stata ormai superata303. Di solito si continua a definire questa popolazione infantile come immigrata, dimenticando che circa i due terzi di essa non è giunta in Italia, ma è nata nel nostro Paese. Il termine bambino immigrato o bambino straniero è improprio perché spesso si tratta di bambini nati in Italia, che parlano la nostra lingua, hanno gli stessi gusti degli altri bambini e, talvolta, si distinguono solo per alcuni tratti somatici.
302 Graziella Favaro, Mediare nella scuola multiculturale e plurilingue, in Graziella Favaro, Manuela Fumagalli, op. cit., p. 162.
303 Cfr. Giovanna Zincone (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in
Quali scuole frequentano invece i neo-arrivati304? Essi sono distribuiti in misura maggiore nei percorsi iniziali della scolarità –scuola dell’infanzia ed elementare– e in misura ridotta negli altri ordini di scuola. Come accogliere e inserire l’alunno straniero che viene da lontano? Come comunicare e insegnarli la nuova lingua? Apprendere e insegnare in contesti eterogenei è stato da sempre un obiettivo conosciuto per la scuola, essendo un ambiente in cui si incontrano storie e differenze molteplici. Compito prioritario di questa istituzione è stato da sempre integrare queste molteplici differenze. Oggi l’eterogeneità è più diffusa, profonda e riguarda componenti importanti dell’identità individuale quali la lingua305, l’origine etnica, la religione e le esperienze educative precedenti. Per affrontare compiti didattici nuovi e accogliere le differenze nella scuola, tutti gli insegnanti ricorrono sempre più spesso al dispositivo della mediazione. Il lavoro di mediazione è difatti fortemente educativo e rivela un carattere pedagogico. Come scrive Massimiliano Tarozzi: “Ogni esperienza educativa è sempre un’esperienza di mediazione, che avviene in un contesto, favorita da un educatore, che si confronta con un sapere. La presenza di una differenza culturale (e le culture pur non avendo un valore sostantivo, sono comunque sistemi simbolici determinanti) enfatizza o esaspera la necessità di una mediazione educativa”306.
In un suo saggio, Graziella Favaro si chiede se sia possibile mediare nella scuola multiculturale e plurilingue307. L’autrice nota purtroppo come, ancora oggi, non sia molto chiaro il ruolo del mediatore nella scuola. Molti insegnanti lo confondono con un insegnante di italiano L2 (Lingua seconda), altri con un operatore di sostegno che si occupa in qualche modo di bambini stranieri. I mediatori, in questi casi, vengono chiamati per rispondere a bisogni ed esigenze di
304 - I neo-arrivati sono invece i bambini immigrati, coloro che hanno un passato migratorio e che non sono nati in Italia. Per loro l’integrazione a scuola risulta un processo molto delicato e complicato, a causa della barriera linguistica in primis, e in secondo luogo a fronte del passaggio da un luogo all’altro, da un mondo all’altro.
305 Salvatore Inglese nell’introduzione al testo di Tobie Nathan afferma: “La lingua rappresenta una forma specifica del sistema culturale che serve a determinare il senso di appartenenza dell’individuo e el sue possibilità di scambio sociale all’interno del proprio gruppo, assegnando al soggetto una posizione differenziata rispetto a coloro che non appartengono allo stesso campo linguistico. La lingua possiede il potere di evocare l’universo fisico, affettivo, conoscitivo ed esperienziale del suo locutore” (Salvatore Inglese, Introduzione, in Tobie Nathan, op. cit., p. 13). 306 Massiliano Tarozzi., Mediatori a scuola, dieci anni dopo, in Lorenzo Luatti (a cura di), op. cit., p. 133.
tipo didattico, che dovrebbero essere invece compito specifico degli insegnanti, come fa notare ad esempio Miriam Traversi responsabile del CD/Lei308:
Io ricordo di aver trovato agli inizi, i primi anni, che di mediazione gli insegnanti non ne sapevano nulla. Quando presentavo i mediatori ai comitati di coordinamento dicevano: “che bisogno c’è di queste figure? Le segreterie delle nostre scuole possono spiegare”. E’ già molto a mio avviso se le segretarie delle scuole sanno l’italiano, come possono spiegare…pensi ad una famiglia che arriva dal Pakistan, entra in una scuola e la segretaria spiega, ma poveretta…mi sembra anche una pretesa fuori dal mondo. [Miriam Traversi]
Nonostante i tentativi di fare chiarezza su chi è e che cosa fa, il mediatore viene visto ancora come un tappabuchi, un operatore che risolve un problema, un’emergenza che si presenta con l’arrivo di un bambino/a straniero/a. Con ciò si rafforza l’immagine del bambino straniero a scuola come problema da trattare309. Oltre ad un uso improprio del mediatore, al quale si affidano impegni e funzioni didattiche che non gli spettano, altri sono i rischi che si possono intravedere nell’utilizzare questa risorsa con scarsa consapevolezza. Molte storie di bambini mettono in luce anche il rischio che interpretazioni rigide o stereotipate sulle provenienze costruiscono in molti casi differenza, anziché contribuire a mettere in evidenza analogie, punti di forza, risorse individuali inedite e specifiche.
Gli insegnanti chiedono al mediatore soprattutto di essere supportati nelle fasi iniziali dell’inserimento, durante i momenti informativi e relazionali rivolti alle famiglie per migliorare la reciproca conoscenza, nell’avvio dell’insegnamento a bambini/e e ragazzi/e non italiani. Sempre secondo Favaro310, gli interventi di mediazione nella scuola si situano su cinque piani311:
1. Accoglienza: il mediatore svolge una funzione di tutoraggio e facilitazione nei confronti dei bambini e dei ragazzi neoarrivati. Li
308 Centro di Documentazione Laboratorio per un Educazione Interculturale nato nel 1992 nella città di Bologna. Parleremo in maniera approfondita del Centro nella terza parte del nostro lavoro. 309 Anna Aluffi-Pentini (a cura di), La mediazione interculturale. Dalla biografia alla professione, Franco Angeli, Milano, 2004.
310 Questo a partire dalle esperienze consolidate, che stanno operando ormai da diversi anni e che si sono stabilizzate in un’ottica di lungo periodo. Sulla puntualità descrittiva sopra riportata del ruolo e dei compiti del mediatore cfr. Graziella Favaro, Mediare nella scuola multiculturale e
plurilingue, op. cit., pp. 171-172.
rassicura, dà spazio e voce alle loro emozioni, paure, stati d’animo; li orienta nella scuola e nel nuovo ambiente, nelle sue regole esplicite e implicite; accompagna la fase del primo inserimento;
2. Informazione: il mediatore fornisce agli insegnanti informazioni sulla scuola nel paese d’origine; aiuta a rilevare le competenze, la storia scolastica e personale del singolo bambino; ricostruisce le biografie linguistiche. Nello stesso tempo, informa i genitori immigrati in merito al funzionamento della scuola in Italia, alle regole, alle modalità di valutazione e di partecipazione, ecc.;
3. Comunicazione e relazione: svolge un’azione di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi, documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie e assiste, se necessario, ai colloqui e agli incontri tra insegnanti e genitori stranieri;
4. Cultura e intercultura: collabora alle proposte e ai percorsi didattici di educazione interculturale condotti nelle diverse classi, che prevedano momenti di conoscenza e valorizzazione delle culture e delle lingue d’origine. In alcuni casi, se è stato un insegnante nel suo paese d’origine, può condurre laboratori di apprendimento della cultura e della lingua d’origine, orale e scritta, rivolti a i bambini e ai ragazzi che ne fanno richiesta, durante corsi aggiuntivi in orario extrascolastico.
Vi sono quindi ruoli, funzioni e obiettivi differenti affidati a una stessa figura nel suo rapportarsi alle famiglie straniere, ai loro bambini o piuttosto agli insegnanti e ai bambini autoctoni. I mediatori sono, di volta in volta, coloro i quali aiutano i bambini/ragazzi neoarrivati a superare i problemi e i vissuti di un ‘trasloco’ da un mondo all’altro. Tutti i passaggi, tutte le separazioni sono accompagnate da vissuti di sofferenza, di dolore che vanno elaborati per essere superati312. I mediatori sono inoltre coloro che mettono in scena le culture e che narrano storie, fiabe e feste radicate altrove; permettono ad altre lingue, scritture ed alfabeti di entrare dentro le mura della scuola. E ancora, i mediatori sono
312 La depressione può essere legata, e non solo, alla non elaborazione di un lutto, la perdita dell’oggetto d’amore di cui tanto ci ha parlato Freud. Inoltre, molti psicologi accostano lo stato d’animo della perdita di una persona cara anche ad una migrazione in un altrove sconosciuto, un ‘trasloco’, una separazione coniugale, la perdita di un amore, un pensionamento.
chiamati a prevenire e risolvere malintesi e conflitti, espliciti o impliciti, tra scuola e famiglia, tra norme e regole differenti e danno voce a bisogni e domande inespresse.
Accanto a ciò, come abbiamo già notato in precedenza, durante gli interventi di mediazione i mediatori/trici culturali possono rivestire un ruolo che non è il loro. In primis, una certa delega e deresponsabilizzazione tendente a demandare ai mediatori compiti ed impegni che sono, invece, propri della scuola e in particolare degli insegnanti; ci riferiamo qui al mediatore con funzioni didattiche posto in un’ottica pericolosamente simile a quella dell’insegnante di sostegno. In tal modo, si corre il rischio di coltivare verso questa figura aspettative eccessive. Successivamente, nei casi in cui arrivano in classe nuovi alunni stranieri, eventualmente anche a metà dell’anno scolastico, il mediatore si trasforma in una specie di pronto soccorso. La richiesta generata dall’ansia di non sapere comunicare delega all’esterno un compito essenziale, quello dell’accoglienza, che dovrebbe essere della scuola.
Oltre a ciò, vi è anche il pericolo del mediatore ‘cognitivo’: colui che si mette in fondo all’aula e traduce simultaneamente le lezioni di storia, matematica, scienze ecc. Questo, dal punto di vista didattico, genera confusione e affaticamento da parte dell’alunno, che abbisogna invece di tempi lunghi per apprendere la nuova lingua. Dal punto di vista della relazione in classe, il mediatore rischia di trasformarsi in un dispositivo di esclusione dell’alunno neoarrivato.
Nel caso del mediatore del disagio, poi, la sua presenza viene richiesta come risorsa per cercare di riparare e migliorare le relazioni e i legami tra pari che appaiono problematici, a causa degli atteggiamenti aggressivi, o difensivi, degli alunni stranieri. Questi possono essere reazioni rispetto al sentirsi fuori luogo o all’essere percepito come problema, in alcuni casi al non sentirsi accolto. L’accoglienza è di fondamentale importante per questi bambini/ragazzi, e non bisogna delegare la possibilità dell’incontro e della comunicazione. Nei loro vissuti c’è tanta paura, tristezza, inadeguatezza rispetto alle competenze e ai saperi, disagio di non potersi esprimere nella propria lingua e di non farsi capire.
In questo caso, il mediatore viene visto come prototipo e informatore della cultura d’origine. Tuttavia, se alcune informazioni generali possono
effettivamente facilitare la relazione, è anche vero che la rigidità delle rappresentazioni può consolidare gli stereotipi e alimentare i pregiudizi. Le culture non sono dei rigidi sistemi monolitici, strutturali e non modificabili. In questo caso può succedere che il dispositivo della mediazione, invece di aprire le menti al dialogo e al confronto, introduca rigidità reciproche; per quanto questo avvenga, certamente, senza nessuna consapevolezza.
In ultima analisi, il mediatore non può essere l’unico agente all’interno della scuola a farsi carico della mediazione. Anche gli insegnanti, a fronte di questi cambiamenti nelle scuole, sono chiamati a diventare ‘mediatori interculturali’. Anch’essi, dunque, dovrebbero rispondere, in nome del loro ruolo pedagogico, alla necessità di diventare specialisti di una comunicazione aperta e flessibile, accoglienti e attenti alle differenze, lontani da stereotipi e pregiudizi di qualsiasi genere. “La mediazione –come afferma Tarozzi– in quanto fenomeno complesso va plasmata su diversi soggetti, tutti chiamati a vario titolo a farsi carico di parte della responsabilità. Dunque non solo ai mediatori culturali spetta la mediazione”313. Un clima di mediazione si crea non con l’intervento di figure tecniche specifiche, ma dal progetto educativo della scuola nel suo complesso. In questo dovrebbero quindi essere coinvolti insegnanti, presidi, personale non docente, famiglie italiane e immigrate, bambini e bambine, come anche la normativa scolastica, le circolari, i regolamenti e i programmi didattici.
Riportiamo, in ultima battuta, i risultati di una recente ricerca314 curata da Massimiliano Tarozzi a proposito dei mediatori culturali a scuola. Questa ricerca rileva come, dopo dieci anni di esperienze, la figura del mediatore culturale ha fatto molta strada: la sua collocazione nei contesti scolastici è oggi più conosciuta e anche meglio definita. In linea di massima, il panorama italiano è dunque migliorato. Oltre alla normativa, ampiamente trattata nel primo capitolo, alcune novità in questo decennio hanno contribuito a modificare il rapporto fra la domanda e l’offerta di mediazione a scuola. Da una parte, in alcune province italiane si sono costituite associazioni, come nel caso di Bologna, e cooperative di migranti che offrono tra i loro servizi anche i mediatori culturali; dall’altra, si
313 Massimiliano Tarozzi, op. cit., p. 136.
314 Cfr. Massimiliano Tarozzi (a cura di), Il senso dell’intercultura, ricerca promossa dall’IPRASE Trentino 2006.
registra una trasformazione e un miglioramento dei Centri interculturali per ciò che concerne la mediazione culturale.
Un altro elemento che ha contribuito a cambiare la situazione, non sempre però migliorandola, è l’applicazione della legge sull’autonomia scolastica. Questo ha parcellizzato le possibilità di richiesta dei mediatori culturali, dapprima gestite direttamente dagli enti locali o dagli stessi centri interculturali. Inoltre, spesso le scuole, in passato, hanno invocato la presenza dei mediatori anche nei casi in cui non c’era un bisogno effettivo, e sempre di più per l’insegnamento della L2. Questo ha seriamente minato la possibilità di avere una ‘qualità’ nelle richieste producendo un arretramento nelle possibilità di fornire mediatori adeguatamente formati e preparati, impiegandoli per interventi di breve periodo oppure come tappabuchi.
Rispetto a dieci anni fa, nota Tarozzi, la situazione è cambiata. L’affermazione e il riconoscimento di questa figura ha fatto sì che le aspettative eccessive siano rimaste, ma il rischio di delega è diminuito. Anzi, da una parte, si registra un rifiuto da parte delle famiglie immigrate di accettare il mediatore, il quale, in alcuni casi, viene percepito come un invadente strumento di assimilazione; dall’altra, invece, è presente un controllo sempre più serrato da parte degli insegnanti, i quali, anche se lo impiegano, tendono a non delegargli troppe funzioni. Talvolta i mediatori entrano in conflitto con gli insegnanti di fronte alla paura di un allargamento eccessivo delle sue funzioni all’interno della classe. Nelle parole dell’autore: “Molti mediatori che ho incontrato lamentano il fatto che sempre più insegnanti sembrano non fidarsi degli interventi dei mediatori e, per converso, molti insegnanti si dicono preoccupati di un eccessivo allargamento delle funzioni del mediatore che rischierebbe di invadere un terreno proprio della didattica curricolare”315. Da quanto detto sembra quasi che chi non ha un mediatore lo mitizza, chi ce l’ha spesso ne prende le distanze. Al di là di questo, la scuola resta comunque, per eccellenza, luogo di molteplici mediazioni.
315 Massimiliano Tarozzi, op. cit., p. 140.