1.5 So-stare nel conflitto
1.5.1 Una particolare tipologia di conflitto: quello etnico
I quartieri multi-etnici vengono definiti oggigiorno dai sociologi “quartieri a rischio”, dove il livello di disoccupazione, di violenza, fomentato da bande di giovani, è spesso drammatico. Nei quartieri a ‘rischio’ è molto facile che esplodano conflitti etnici. Il conflitto etnico mette in relazione d’ostilità soggetti
95 Jacqueline Morineau, op. cit.,
96 Cfr. Giovanni Mierolo, Incontrare l’estraneo, in Marco Bouchard, Giovanni Mierolo (a cura di),
Prospettive di mediazione, EGA, Torino, 2000.
97 Cfr. Daniele Novara, L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace, in Fulvio Scaparro (a cura di), op. cit.
appartenenti a culture, società, popoli differenti. In questa situazione è il sentimento dell’appartenenza etnica ad attivare e legittimare l’azione conflittuale dei protagonisti. Secondo Renate Siebert: “la nazionalità è legata all’etnicità, a un principio che precede quello di nazione, come lo spirito, la lingua o qualche specificità culturale”98.
I conflitti etnici, in primo luogo, sono legati ai processi migratori su scala globale, all’interdipendenza e agli squilibri tra i mercati del lavoro su scala mondiale e alle reazioni delle società ospiti. In secondo luogo, possono essere collegati al pluralismo dei gruppi di dimensioni relativamente uguali all’interno dei confini dello stesso Stato-Nazione. I conflitti che mobilitano le identità etniche e culturali rendono visibile la crisi dello Stato-Nazione e portano in primo piano il bisogno di un nuovo sistema mondiale transnazionale, capace di riconoscere e di integrare le differenze.
Si possono distinguere due grandi categorie di conflitti etnici:
conflitti con una posta in gioco di tipo materiale (penuria di risorse–posti di lavoro, servizi sociali come la scuola, la sanità, le abitazioni);
conflitti con una posta in gioco di tipo simbolico (il potere, l’autorità, il prestigio, la difesa e lo sviluppo delle identità individuali e collettive).
Il conflitto etnico assolve ad alcune importanti funzioni: la più importante di queste consiste nel rafforzamento della identità collettiva dei protagonisti del conflitto, o addirittura nella creazione ex novo di una identità collettiva, come nel caso delle grandi periferie urbane caratterizzate da debole o inesistente sentimento di appartenenza le quali spesso si scoprono unite dagli stessi valori, paure, sentimenti proprio nella lotta contro quel “nemico comune” che sono gli immigrati. Naturalmente, questa stessa logica di compattamento agisce tra gli immigrati, quando entrano in conflitto con la società ospitante.
La resistenza difensiva all’altro, secondo Alberto Melucci99, si trasforma facilmente in un atteggiamento aggressivo contro la minaccia che l’altro
98 Renate Siebert, Il razzismo. Il riconoscimento negato, Carocci, Roma, 2005, p. 93.
rappresenta. Per incontrare l’alterità occorre essere pronti a cambiare; non possiamo comunicare o metterci in relazione con le differenze semplicemente restando noi stessi. La possibilità della convivenza richiede qualche capacità e volontà di incontrare l’altro e ha una profonda implicazione morale: la necessità di mantenere e di perdere, di misurarsi con le paure e con le resistenze, ma anche di trascendere le nostre identità già date. Percepito come disorientamento, il cambiamento può produrre barriere e comunicazione difensiva. Percepito come una sfida, il cambiamento stimola invece la creatività e la comunicazione flessibile. Una critica per de-costruire il discorso sulla comunicazione inter- culturale è che le culture non comunicano fra loro, sono gli individui che decidono se comunicare o meno: questo dipende dallo loro volontà e capacità di ascolto. Dan Sperber, antropologo francese, parla di pertinenza della comunicazione. Chiedendo l’attenzione dell’altro, si fa capire che il proprio messaggio è pertinente riconoscendo i contenuti espliciti e impliciti, lo stile, i caratteri letterali o figurativi di ogni comunicazione100.
Di conseguenza si è fatta sempre più pressante, in questi ultimi decenni, la presa in carico e la cura di questi comportamenti, che in alcuni casi violano la dignità umana di una persona sempre più bisognosa di essere rispettata, ascoltata, vista, in altri termini ri-conosciuta.
Per Melucci una società molto differenziata non può basarsi sulla sua riproduzione naturale e deve investire più energie per mantenere la sua stessa esistenza. Il ‘legame sociale’ dipende dal modo in cui viene continuamente attivato. Una capacità costante di negoziazione (Morineau direbbe di mediazione) diventa necessaria e occorre rivedere le regole che in maniera consensuale vengono stabilite. “I legami sociali sono dunque sempre più il risultato di patti che si è in grado di stipulare. La drammaticità dei conflitti etnici e territoriali nel corso degli ultimi trent’anni è l’esempio di quanto delicato sia l’equilibrio fra potenziale sinergico e potenziale disgregativo delle differenze”101.
Se il legame sociale è sempre più oggetto di scelta e di decisione, su che cosa si basa e che cosa ne assicura la persistenza nel tempo, al di là delle
100 Cfr. Dan Sperber, Deirdre Wilson, Relevance. Communication an Cognition Blackwell, Oxford 1986/1995; tr. it.: La pertinenza, Anabasi, Milano, 1993.
differenze e dei conflitti? Secondo Melucci si basa sul diventare persone102, riconoscendo la propria differenza e la propria dipendenza, accettare di appartenere a qualcosa che oltrepassa la nostra particolarità e affermare allo stesso tempo la nostra autonomia. La capacità personale porta in sé la profonda necessità del legame io/altro e dell’equilibrio uguaglianza/differenza. La crescita della capacità personale attiva e rafforza il legame sociale.
Diventare persone è una questione che riguarda capacità, diritti e responsabilità, che sono distribuiti in modo ineguale. I processi d’integrazione planetaria creano esclusione all’interno delle società più avanzate e squilibri tra varie parti del mondo. La consapevolezza della fragilità del legame sociale e del ruolo che le differenze assumono nel nostro mondo dà all’azione per una società più giusta e più umana una forma più realistica. Nelle parole di Melucci: “C’è solo lo sforzo continuo e necessario per ridurre l’opacità, per diminuire l’ingiustizia, per rendere più vivibile il pianeta che abitiamo, in definitiva per diventare un po’ di più essere umani”103.
Anche Davide Sparti nel suo libro L’importanza di essere umani mostra cosa succede quando cadiamo vittime dell’impulso all’elusione, quando si nega la possibilità di cogliere la tristezza in un volto (che così non viene accolta). In questi casi “abbandoniamo” la nostra umanità, la dimensione espressiva della forma di vita a cui siamo stati iniziati.
102 Morineau direbbe ‘esseri umani’ al di là delle maschere, infatti, persona in latino significa ‘maschera’. Nella mediazione, i mediati, apparentemente, non portano delle maschere, ma il ruolo con il quale si presentano è una maschera invisibile. Nell’incontro di mediazione è da questo ‘ruolo’ che i confliggenti devono uscire.