• Non ci sono risultati.

Capitolo III "Diritto alla salute e detenzione"

3. Le condanne europee per l'incompatibilità della detenzione con le condizioni d

3.2. Il caso Cara Damiani contro Italia

Analoghe considerazioni possono essere svolte in relazione al caso del signor Cara - Damiani.

239 MAZZACUVA F., Nuova condanna per l'Italia in relazione alla compatibilità delle condizioni

di detenzione con lo stato di salute del ricorrente Franco Scoppola, in

www.penalecontemporaneo.it.

240 Sul valore del precedente nella giurisprudenza della Corte europea vd. GUAZZAROTTI A.,

Uso e valore del precedente CEDU nella giurisprudenza costituzionale e comune posteriore alla svolta del 2007, in www.diritti-cedu.unipg.it. Egli, pur ribadendo che la stessa Corte EDU rifiuta

per sé il vincolo del precedente orizzontale (né sembra pretendere che le Corti nazionali trattino la sua giurisprudenza come precedente verticale), nota anche vi sono voci di autorevoli giudici europei secondo cui la Corte incentrerebbe la propria attività intorno al precedente, pur non ritenendosi rigidamente vincolata ad esso. Così, ad esempio, "secondo Vladimiro Zagrebelsky, il

metodo del precedente non solo riguarda la tecnica motivazionale delle sentenze CEDU, ma monopolizza addirittura l'attività dei giudici in camera di consiglio, posto che solo in assenza di alcun precedente utile i giudici procederebbero «alla ricerca del senso da assegnare alle disposizioni della Convenzione con gli ordinari metodi interpretativi»". L'autore poi riporta le

stesse parole della Corte sul punto: se nel 1990, nella sentenza Cossey c. Regno Unito, la Corte affermava di non essere "vincolata alle proprie decisioni anteriori … (ma di seguire) tuttavia la

prassi di seguirne ed applicarne gli insegnamenti, nell'interesse della sicurezza giuridica e dello sviluppo coerente della giurisprudenza relativa alla Convenzione", nel 2008, nella sentenza Demir e Baykara c. Turchia, l'ordine logico del discorso è significativamente invertito. Qui, infatti, la

Corte dice che "è nell'interesse della sicurezza giuridica, della prevedibilità del diritto e

dell'uguaglianza dinanzi alla legge che la Corte non si discosti senza validi motivi dai propri precedenti; tuttavia, rinunciare ad un approccio dinamico ed evolutivo rischierebbe di ostacolare qualsiasi correzione o miglioramento".

154

Si trattava di un detenuto condannato a scontare 24 anni di reclusione, disabile, che si rivolgeva alla Corte di Strasburgo per la seconda volta.241

La Corte, nella parte iniziale della sua decisione, ricostruisce molto dettagliatamente gli eventi accorsi durante la detenzione del signor Cara - Damiani: era stato trasferito nel carcere di Parma nel 2003, proprio a causa della sua patologia (era, infatti, affetto da una discopatia degenerativa, per cui poteva spostarsi solo in sedia a rotelle e restare in piedi solo se sostenuto da altre persone), dato che il penitenziario emiliano era dotato di una sezione per paraplegici; nonostante i suoi problemi fisici, però, era stato assegnato ad una sezione comune, e, dopo qualche mese, aveva smesso di beneficiare anche dei trattamenti fisioterapici, dato che era stato chiuso il reparto competente, a causa di alcuni tagli ai fondi.

Successivamente, anche se trasferito nel reparto per portatori di handicap, le sue condizioni fisiche si erano aggravate, a causa di patologie cardiache ed intestinali per le quali aveva dovuto subire alcuni interventi chirurgici fuori dal carcere. Nonostante i numerosi referti dei medici che ritenevano le condizioni di salute del ricorrente incompatibili non solo con la detenzione nel carcere di Parma, ma con la detenzione stessa, la misura della detenzione domiciliare venne concessa soltanto nel marzo 2008, al fine di consentirgli di sottoporsi ai necessari interventi chirurgici e alla riabilitazione.

Tale misura fu revocata nel 2010, e il ricorrente venne nuovamente ricondotto in carcere, e di nuovo in una sezione comune.

Di fronte a tale decisione, egli presentava nuova domanda di sospensione dell'esecuzione della pena, o in alternativa di detenzione domiciliare; tale domanda era corredata dalla relazione dei medici del penitenziario di Parma che confermavano l'incompatibilità della detenzione con le sue condizioni di salute.

241

Il ricorrente, infatti, aveva già adito la Corte per il periodo di detenzione 1994 - 2000. In questo caso era intervenuta una sentenza di rigetto per manifesta infondatezza (sentenza del 28 marzo 2000): la Corte non aveva ritenuto gli inadempimenti posti in essere dallo stato italiano sufficienti di per sé, tenuto conto della situazione del ricorrente considerata nel suo complesso, per concludere che le autorità italiane avessero mancato in maniera sostanziale al loro dovere di proteggere la salute del ricorrente, e tali da chiamare in causa la responsabilità dello Stato italiano sul terreno dell'articolo 3 della Convenzione. V. GILIBERTO A., La Corte di Strasburgo

condanna ancora l'Italia per gli insufficienti standard di assistenza sanitaria in carcere, in www.penalecontemporaneo.it.

155

L'epilogo della vicenda si ha nel novembre 2010, quando il Tribunale di sorveglianza di Bologna concede la detenzione domiciliare, ritenendo incompatibile lo stato di salute con la permanenza nella sezione comune del carcere e constatando la mancanza di posti nella sezione per paraplegici; il Tribunale, inoltre, osserva che il mantenimento in tale situazione avrebbe potuto comportare per lo Stato italiano una condanna da parte della Corte europea, come era avvenuto nella causa Scoppola contro Italia del 2008.

Una volta effettuata questa ricostruzione dei fatti, la Corte europea, ribaditi i propri principi fondamentali in materia, e pur constatando l'assenza di volontà di umiliare o degradare il ricorrente, ritiene che la detenzione di una persona handicappata in un istituto in cui non può spostarsi con i propri mezzi, durata così a lungo, come nel caso di specie, costituisca un trattamento degradante proibito dall'art. 3 della Convenzione, e che mantenere il detenuto recluso nonostante il parere contrario dei medici ha raggiunto la soglia minima di gravità richiesta per la violazione dell'articolo 3.

In questa sentenza, la Corte fa un'affermazione importante, sostenendo che "le

cure dispensate in ambiente carcerario devono essere appropriate, ossia di un livello paragonabile a quello che le autorità dello Stato si sono impegnate a fornire a tutta la popolazione".242

Tuttavia, precisa subito la Corte, questo non significa che deve essere garantito il medesimo livello, ma piuttosto che si debbano sempre verificare le necessità della persona malata nella prospettiva non solo di tutelarne la salute, ma anche di assicurarne il benessere.

In altre parole, non si afferma il principio della piena uguaglianza tra il servizio sanitario esterno e quello in carcere, ma la necessità dell'adeguatezza delle terapie in relazione alla patologia e alle condizioni di salute della persona detenuta.

242 Su questo inciso si concentra anche la redazione dell'opinione concordante dei giudici Jočienė, Berro-Lefèvre e Karakaş. I tre giudici condividono quanto deciso dalla Corte, ma esprimono dissenso in merito a tale formulazione: l'enunciazione del principio per cui le cure dispensate in ambiente carcerario devono essere di livello paragonabile a quello che lo Stato si impegna a fornire a tutta la popolazione, secondo i giudici, comporterebbe per lo Stato un obbligo positivo che va ben oltre quelli elaborati finora dalla giurisprudenza della stessa Corte.

156

Pur dovendo tener conto delle esigenze connesse alla detenzione, infatti, non sono ammesse discriminazioni, sulla base dell'art. 3, in ragione della detenzione.243

Tirando le fila, da queste tre pronunce europee possiamo trarre alcune indicazioni: nelle sentenze, infatti, non si muovono critiche alla legislazione italiana, né si suggerisce allo Stato l'adozione di misure diverse.

La Corte, cioè, non rileva l'assenza, nella legislazione italiana vigente, di istituti o strumenti a tutela della salute, ma ritiene l'operato delle istituzioni del tutto insufficiente a garantire i trattamenti sanitari necessari e adeguati alle condizioni di salute dei ricorrenti.

Come a dire che gli strumenti ci sono, ma non vengono usati nella maniera adeguata. Si lamenta, cioè, non la mancanza di norme, quanto piuttosto la mancata applicazione delle norme esistenti; la conferma di questa impostazione deriva dal fatto che, in tutte e tre le sentenze citate, la Corte richiama espressamente la normativa interna applicabile, e cioè gli articoli 146 e 147 del C.P.

Queste decisioni, quindi, confermano l'impressione che avevamo avuto in precedenza: "sulla carta" i detenuti godono di diversi strumenti a tutela della propria salute, ma, nella realtà dei fatti, il sistema delineato a volte non funziona come dovrebbe.

Se uniamo quanto detto finora al ragionamento fatto in precedenza, secondo cui l'attribuzione della sanità penitenziaria al S.S.N. rischia di comportare una forte differenza di tutela a seconda della Regione di reclusione, le decisioni considerate possono rappresentare un ulteriore stimolo per una riflessione sulle scelte adottate, sull'idoneità e sull'adeguatezza dei servizi e delle prestazioni in ambito sanitario, proprio per evitare che un bene costituzionalmente garantito finisca col ricevere tutela differenziata sul territorio in ragione di una spesso casuale assegnazione ad un istituto penitenziario piuttosto che ad un altro.244

Come sempre, dunque, le pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo vanno oltre a quanto statuiscono nel singolo caso di specie, e diventano spunto per

243

CESARIS L., Nuovi interventi della Corte europea dei diritti dell'uomo a tutela della salute

delle persone detenute, cit., 219 - 220.

244

CESARIS L., Nuovi interventi della Corte europea dei diritti dell'uomo a tutela della salute

157

riflettere su quanto nel nostro ordinamento manca, o non funziona come dovrebbe, al fine di dare effettiva tutela ai diritti dell'uomo.