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Capitolo I "I diritti dei detenuti"

3. I diritti dei detenuti previsti nella legge ordinaria e la loro evoluzione

3.1. Dal fascismo alla riforma del 1975

Nel 1930 venne approvato il nuovo codice penale “Codice Rocco”, e, con Regio Decreto del 18 giugno 1931, sempre per mano del guardasigilli Alfredo Rocco, nacque il nuovo “Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena”, fedele traduzione nel settore penitenziario di quella che era l’ideologia fascista.

Il regolamento del 1931, composto da circa 300 articoli, vedeva nei suoi punti chiave la rigida separazione tra il mondo carcerario e la realtà esterna e la totale spersonalizzazione dei detenuti, a cui era impedito qualsiasi collegamento fra loro; i reclusi venivano chiamati col numero di matricola al posto del cognome, ed era vietata loro qualsiasi attività diversa dalle c.d. “tre leggi fondamentali” della vita carceraria: lavoro, istruzione civile e pratiche religiose.

Come tutti i regolamenti carcerari, anche quello fascista era basato sul dualismo punizione - premi, e quindi al suo interno erano dettagliatamente elencate tutte le

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attività vietate con le relative punizioni; così, ad esempio, erano vietati e puniti i reclami collettivi, il gioco, i canti, il riposo in branda durante il giorno, il rifiuto di assistere alle funzioni religiose, la lettura o il possesso di testi di contenuto politico; allo stesso tempo era obbligatorio indossare la divisa del carcere e farsi trovare in piedi vicino alla branda tutte le volte che le guardie entravano in cella. Le punizioni consistevano nel divieto di fumare, di lavarsi, di scrivere, di avere colloqui con i parenti (ai quali peraltro presenziavano sempre le guardie), ma soprattutto nella camicia di forza e nella cella imbottita.

Ogni comportamento, attività e precedente del detenuto veniva schedato, e lo stesso avveniva per tutto quello che riguardava i loro familiari.

Dalle parole del ministro Rocco nella sua relazione al regolamento si evince chiaramente che si trattava di una normativa improntata all’austerità dell’esecuzione penale, ad un concetto di pena come castigo, mezzo di repressione e di espiazione.

Con la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dell’Italia dal regime fascista, le porte del carcere furono aperte e fu subito evidente la condizione di degrado in cui versavano strutture e detenuti.

Immediatamente dopo la fine della guerra nacque una prima, violenta, sanguinosa stagione di rivolte: la popolazione carceraria, ormai raddoppiata rispetto al normale, dopo la fine del fascismo sperava in un cambiamento del sistema penitenziario, cambiamento che invece non trovò appoggio nella società libera. Nel ’45 - ’46 si assistette così ad alcune famose rivolte: la più grave e sanguinosa rimane quella del carcere di San Vittore nella Pasqua del 1946. Il 21 aprile di quell’anno, infatti, i detenuti si impadronirono dell’intero carcere, tenendo 25 persone in ostaggio e dando vita a violentissimi scontri a fuoco con le forze dell’ordine. Solo tre giorni più tardi, circondati da esercito e polizia, i detenuti si arresero e il bilancio fu pesante: otto morti e almeno sessanta feriti.41

L’emergenza data dalle rivolte carcerarie fu quindi risolta attraverso l’uso della forza, e gli anni successivi furono caratterizzati da una sostanziale lentezza nella ricerca di possibili soluzioni per il problema carcerario.

41 Una ricostruzione più esaustiva della presa del carcere di S. Vittore è reperibile nella cronaca giornalistica di quei giorni: v. le edizioni del quotidiano La Stampa del 23, 24 e 25 aprile 1946, in

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Nel 1948 venne istituita la prima Commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato delle carceri, che concluse i propri lavori nel 1950 e che presentò come risultato una lunga relazione dove furono prospettate alcune soluzioni che, in realtà, non erano altro che dei semplici ritocchi al regolamento del 1931, mentre veniva lasciata inalterata la struttura portante del sistema fascista, afflittiva e autoritaria.

In sintesi possiamo dire che l’immediato dopo guerra si è contraddistinto per una mancata soluzione della questione carceraria nel suo complesso, e per l’introduzione sperimentale, attraverso circolari ministeriali, di alcune modifiche “umanizzanti” al regolamento Rocco; venne così deciso di modificare alcuni aspetti della rigida disciplina fascista: fu abolito il taglio di capelli e l’obbligo di vestire l’uniforme, venne data possibilità di leggere e scrivere, fu eliminata la regola che prevedeva di chiamare i detenuti solo per numero di matricola e mai per cognome, così come il trattamento a pane e acqua.

Solo tre anni più tardi, nel 1954, vi fu un passo indietro e una nuova "virata" conservatrice, "grazie" ad una circolare dell’allora ministro De Pietro, in cui si ribadiva che il fine dell'istituzione carceraria era esclusivamente quello di custodire.42

Una prima, vera svolta si avrà solo nel 1960, quando il ministro Gonnella presenterà un primo disegno di legge sull’ordinamento penitenziario, nel tentativo di adeguare il sistema italiano ai principi stabiliti dalle Regole minime dell’ONU del 1955.43

L'intento era di rendere tale ordinamento più conforme a quei principi di umanizzazione e d'individualizzazione del trattamento rieducativo che permeavano la nostra Costituzione repubblicana.

42 Per una ricostruzione del regolamento del 1931 e della stagione delle rivolte,

http://www.ristretti.it/commenti/2008/agosto/pdf1/carcere; v. anche BORZACCHIELLO A., La grande riforma. Breve storia dell'irrisolta questione carceraria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2005, nn. 2 - 3, 142 ss.

43 Si tratta delle Standard Minimum Rules dell'ONU, presentate in occasione del Primo Congresso delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine ed il trattamento dei delinquenti, con la Risoluzione del 30 Agosto 1955. Queste regole hanno posto al centro la responsabilizzazione del detenuto, in vista del suo rientro nella società come forza attiva per se stesso e per la collettività. Le politiche educative penitenziarie devono quindi indirizzarsi verso lo sviluppo della persona nel suo complesso. I principi contenuti nelle Standard Minimum Rules sono stati poi ripresi in ambito europeo dalle Regole Penitenziarie Europee.

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Questo disegno di legge, nonostante la sua decadenza per la fine della legislatura, rappresenterà la base su cui si formeranno tutte le successive elaborazioni del legislatore.

Con la proposizione di questo testo nasce un percorso tortuoso che necessiterà di ancora ben 15 anni prima di poter approdare ad una riforma definitiva: nel 1966 verrà emanato un nuovo, identico, disegno di legge dal guardasigilli Oronzo Reale; naufragato anche questo tentativo sarà di nuovo Gonnella nel 1968 a proporre un ulteriore disegno di legge al Senato, che però decadrà di fronte alla Camera per termine della legislatura.

È solo sul finire del 1972 che viene presentato l’ultimo testo al Senato, che diventa poi definitivo nel 1975, anche se molto ridimensionato nell’approvazione da parte della Camera; tutto questo mentre, dalla fine degli anni '60, era ripresa una stagione di rivolte che aveva finito col mettere nuovamente a ferro e fuoco le carceri.44