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Capitolo III "Diritto alla salute e detenzione"

3. Le condanne europee per l'incompatibilità della detenzione con le condizioni d

3.1. Il caso Scoppola contro Italia

La vicenda Scoppola contro Italia è una vicenda complessa, che ha portato a ben 4 ricorsi presso la Corte europea dei diritti dell'uomo: di questi solo due ci interessano, perché riguardanti le condizioni di salute del ricorrente e la loro incompatibilità con il regime detentivo.229

227 ROMANO C.A. - RAVAGNI L., Sistema carcerario e trattamenti inumani o degradanti, cit., 122 - 123.

228 V. sentenza Enea contro Italia del 17 settembre 2009, § 57 - 58, reperibile in www.giustizia.it. 229 Oltre alle due sentenze in materia di salute e violazione dell'art. 3, le altre due sentenze sono

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La Corte europea, infatti, ha ritenuto che le condizioni di salute del soggetto (infermo, affetto da patologie cardiache e metaboliche, diabete, ipertrofia della prostata e depressione) non fossero assolutamente compatibili con la detenzione, e che tale incompatibilità decretasse una violazione dell'art. 3 CEDU, norma che, come sappiamo, è impermeabile ad ogni tipo di bilanciamento.

Vediamo anzitutto i fatti che hanno determinato la condanna, e quindi la detenzione, del ricorrente, e come si è giunti a Strasburgo.

Il signor Franco Scoppola, nel settembre 1999, in seguito ad un litigio, uccise la moglie e ferì uno dei figli; all'epoca dei fatti aveva 60 anni ed era già costretto a spostarsi, da anni, con la sedia a rotelle.

Condannato dalla Corte di Assise di Appello di Roma, iniziò nel 2002 a scontare la sua pena detentiva presso il centro clinico del carcere di Regina Coeli.

A partire dal 2003, egli aveva chiesto, senza esito, di essere trasferito ad un'altra struttura penitenziaria di Roma, adatta ad ospitare disabili, dove avrebbe potuto beneficiare, grazie all'assenza di barriere architettoniche, delle ore di aria e di condizioni detentive, in generale, più umane; nel gennaio 2006 una perizia medica, richiesta dal collegio difensivo, aveva giudicato le sue condizioni di salute "ampiamente incompatibili con la detenzione in carcere"; pochi mesi dopo, in seguito alla frattura del femore, fu ricoverato presso l'ospedale civile Sandro Pertini, dove una nuova perizia medica suggerì il trasferimento in un centro attrezzato in grado di fornirgli le cure necessarie.

Basandosi su quest'ultima relazione medica, il Tribunale di Sorveglianza di Roma il 16 giugno 2006 accordò al signor Scoppola la detenzione domiciliare per un anno, ritenendo che le sue condizioni di salute, da un lato esigessero terapie che non potevano essere somministrate in carcere, dall'altro potessero dare vita a "una inutile violazione del divieto di trattamenti inumani nei confronti del condannato".

Italia, ricorso n. 126/05, sentenza del 18 gennaio 2011. Nel primo caso il ricorrente contestava la

violazione degli articoli 6 e 7 CEDU: egli, avendo scelto il rito abbreviato, doveva essere condannato a 30 anni di reclusione, ma gli era stata applicata la pena dell'ergastolo in seguito all'entrata in vigore, lo stesso giorno della sentenza di condanna, di un decreto legge che prevedeva, nei casi come il suo, la pena del carcere a vita. In questo caso la Corte ha condannato l'Italia per la violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione. Nella seconda sentenza del 2011, invece, il signor Scoppola contestava che la sua limitazione al diritto di voto, derivante dalla sua condanna all'ergastolo, fosse in contrasto con l'articolo 3 del Protocollo 1, riguardante il diritto a libere elezioni. Anche in questo caso la Corte ha ritenuto integrata la violazione della Convenzione.

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L'8 settembre di quell'anno tale decisione fu revocata poiché la detenzione domiciliare non poteva essere applicata a causa dell'impossibilità di individuare un domicilio adatto alle condizioni del richiedente.

Nel dicembre 2006, il signor Scoppola, di fronte a tale situazione, decide di proporre ricorso alla Corte europea; pochi giorni dopo viene disposto il suo trasferimento presso il penitenziario di Parma, dotato di strutture adeguate alle esigenze di soggetti disabili. Tale trasferimento, però, è effettuato solo nel settembre 2007.230

Questi sono i fatti ricostruiti dalla Corte di Strasburgo, sui quali la sua decisione si basa.

Nelle sue argomentazioni, Scoppola sottolinea come il suo stato di salute non abbia fatto altro che aggravarsi nel corso della sua detenzione; neppure il trasferimento a Parma ha portato miglioramenti, anzi, lo ha posto in una condizione di maggior disagio dal punto di vista psicologico, poiché lo ha allontanato dalla sorella e dai suoi legali: per questi motivi ritiene che lo Stato italiano avrebbe dovuto collocarlo in una struttura ospedaliera esterna al carcere, anziché disporre il suo trasferimento ad un altro penitenziario.

La Corte, prima di decidere sul caso di specie, ricorda i principi generali derivanti dalla sua giurisprudenza: in particolare ribadisce che "oltre alla salute del

detenuto, ciò che deve essere protetto in maniera adeguata è il suo benessere" e

che l'articolo 3 della Convenzione "impone in ogni caso allo Stato di proteggere

l'integrità fisica delle persone private della libertà"; in particolare la Corte ha già

altre volte concluso che "mantenere in detenzione per un periodo prolungato una

persona di età avanzata, e per giunta malata, può ricadere nel quadro di quanto previsto dall'articolo 3", e che "mantenere in detenzione una persona tetraplegica, in condizioni non adeguate al suo stato di salute, costituisce trattamento degradante".231

Tali principi vengono applicati al caso Scoppola, evidenziando come l'esigenza di trasferire il richiedente in un ambiente esterno sia rimasta "lettera morta": "secondo la Corte in circostanze come quelle del caso in esame, una volta

230 La ricostruzione dei fatti antecedenti la condanna è contenuta nella sentenza Scoppola contro

Italia, del 10 giugno 2008, §, 6 - 22, reperibile in www.giustizia.it.

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accertato che non vi erano le condizioni per concedere al richiedente la detenzione domiciliare, spettava alle autorità nazionali attivarsi per soddisfare l'obbligo di assicurare delle condizioni detentive rispettose della dignità umana".232

La Corte, in particolare, afferma come lo Stato avrebbe potuto scegliere due vie: o disporre il trasferimento senza indugio a un penitenziario meglio equipaggiato, oppure sospendere l'esecuzione della pena, ormai contraria all'art. 3 CEDU; la Corte, però, rileva come questa seconda possibilità non sia stata neppure presa in considerazione dal Tribunale di sorveglianza di Roma, pur essendo, secondo la normativa interna, adottabile anche d'ufficio dallo stesso Tribunale.

La condanna della Corte ha, perciò, riscontrato una contraddizione tra la valutazione di incompatibilità con la permanenza presso il carcere di Regina Coeli a Roma e la circostanza che il soggetto avesse dovuto comunque scontare oltre un anno in quel carcere, ritenuto non idoneo, prima di essere trasferito in un istituto per disabili.233

Tale prolungata detenzione aveva suscitato, secondo la Corte, sentimenti di angoscia, inferiorità e umiliazione sufficientemente forti da costituire trattamento inumano e degradante ai sensi dell'articolo 3; la Corte riafferma l'importante principio per cui non rileva la mancanza di volontà, da parte dello Stato, di umiliare o degradare il ricorrente: l'art. 3 può essere violato anche a seguito di un'inattività o di una mancanza di diligenza da parte delle autorità.234

Il signor Scoppola rappresenta un condannato "vulnerabile", meritevole di garanzie speciali; alla normale situazione di debolezza, che deriva dallo stesso

status di detenuto, si associano due ulteriori fattori: l'età e lo stato di salute fisica.

Questa coppia di elementi si dimostra decisiva per ravvisare la lesione dell'art. 3 CEDU: la colpa dell'Italia è di aver privato della libertà personale un uomo anziano, quasi settantenne, per di più disabile e sostanzialmente allettato per tutto il giorno, meritevole pertanto di speciali cure e garanzie.

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V. Scoppola contro Italia, § 50, cit.

233 FADDA M.L., La tutela del diritto alla salute dei detenuti, cit., 631.

234 ROMANO C.A. - RAVAGNI L., Sistema carcerario e trattamenti inumani o degradanti, cit., 126.

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Oltre alla condanna, la sentenza offre, in alcuni suoi passaggi, delle indicazioni di carattere più generale, che travalicano il caso di specie.

Questo avviene, ad esempio, quando nel § 42, la Corte fa espresso riferimento al rispetto della dignità umana nelle condizioni di detenzione: qui la dignità non si risolve in un concetto banalmente astratto e vago, ma diventa un parametro vincolato alla dimensione fisica, al "corpo incarcerato".235

Il caso Scoppola, inoltre, mette in evidenza come a scandire l'intera storia siano state lungaggini burocratiche e una persistente inefficienza del nostro sistema: nel susseguirsi degli avvenimenti si scorge l'assenza della figura del Garante dei diritti dei detenuti, che opera solo a livello di Regioni e/o Comuni, ma che manca a livello nazionale.236

A questa condanna ne è seguita un'altra: tre anni dopo la presentazione del primo ricorso, il signor Scoppola si è rivolto nuovamente a Strasburgo, contestando un'altra volta la violazione dell'articolo 3 CEDU, in questo caso durante la sua reclusione nel carcere di Parma.

Come abbiamo detto, infatti, Scoppola era stato trasferito nel penitenziario di Parma, in quanto struttura adatta ai detenuti disabili; in questo nuovo ricorso alla Corte egli lamenta comunque l'inadeguatezza della struttura carceraria rispetto alle sue condizioni di salute, nel frattempo peggiorate (oltre a spostarsi solo in sedia a rotelle e alle già citate patologie cardiache e metaboliche, diabete, ipertrofia prostatica e depressione, egli soffre di un indebolimento della sua massa muscolare, aggravata da una frattura del femore subìta nel 2006, che non gli consente di mantenere la posizione seduta).

Per tali motivi egli presenta al Tribunale di sorveglianza di Bologna domanda per la sospensione dell'esecuzione della pena o, in alternativa, per la concessione della detenzione domiciliare per ragioni di salute; il Tribunale, di fronte alla sua situazione clinica, sollecita più volte il S.S.N. e le autorità competenti a trovare una struttura sanitaria adeguata in cui trasferirlo.

235 BUZZELLI S., Il caso Scoppola davanti alla Corte di Strasburgo (parte I), in Rivista italiana

di diritto e procedura penale, 2010, 391 - 392.

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Dopo alcuni mesi di inerzia, il magistrato di sorveglianza, ritenendo non fosse più possibile aspettare, dispone il trasferimento provvisorio all'ospedale civile di Parma, che però Scoppola rifiuta sostenendo l'inidoneità di tale struttura ospedaliera.

Successivamente, viene disposta la sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 147 C.P. nelle forme della detenzione domiciliare, prima presso una casa di cura convenzionata con il S.S.N., e poi presso l'ospedale civile di Fidenza, dove il ricorrente può svolgere i necessari trattamenti fisioterapici.237

Prima di entrare nuovamente nel merito della decisione, va detto che appare scarna e pretestuosa l'eccezione presentata dal Governo italiano sull'irricevibilità del ricorso, fondata sul fatto che la Corte, nella sentenza del 2008, avesse rinunciato a valutare le condizioni detentive nel carcere di Parma; la Corte, invece, ritiene di essere di fronte a nuovi fatti, suscettibili di dar luogo a una nuova violazione dell'art. 3, e perciò dichiara il ricorso ricevibile.

Il ricorso di Scoppola è basato essenzialmente sulla lentezza del servizio sanitario a offrire soluzioni alternative alla detenzione per disabili del carcere di Parma o più esattamente a reperire strutture in grado di garantire i trattamenti terapeutici necessari.238

Nella pronuncia non c'è niente di nuovo: ribaditi i principi generali già espressi nella precedente sentenza Scoppola, la Corte osserva come nel tempo anche il trasferimento presso il penitenziario di Parma, che pure è struttura adatta ai detenuti affetti da patologie degenerative, si sia rivelato inadeguato alla luce dell'aggravarsi delle condizioni di salute del ricorrente, "totalmente privo di autonomia e costretto a trascorrere tutte le sue giornate a letto"; nonostante la Corte comprenda le difficoltà legate alla presa in carico di detenuti affetti da patologie quali quelle del ricorrente, tale problematicità non può dispensare lo Stato italiano dai suoi obblighi nei confronti dei detenuti malati: per tale motivo si riscontra una nuova violazione dell'art. 3 CEDU in relazione alle condizioni di

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V. Scoppola contro Italia, sentenza del 17 luglio 2012, § 5 - 21, reperibile in www.giustizia.it. 238 CESARIS L., Nuovi interventi della Corte europea dei diritti dell'uomo a tutela della salute

delle persone detenute, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2012, n. 3, 222; v. anche Scoppola contro Italia, § 36 - 37, cit.

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detenzione cui il ricorrente è stato sottoposto, nonostante l'età avanzata e le numerose patologie sofferte.239

Anche in questo caso lo Stato italiano si è dimostrato inerte di fronte alle necessità del detenuto: il protrarsi della detenzione presso la casa circondariale di Parma, quindi, avrebbe provocato nel signor Scoppola sentimenti costanti di angoscia, forti abbastanza da costituire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'art. 3.

È lecito chiedersi, poi, se un certo peso possa averlo avuto la precedente sentenza Scoppola che aveva condannato l'Italia sempre per violazione dell'art. 3: la questione del precedente CEDU non è di intuitiva soluzione, perché, nonostante la Corte stessa sia stata più volte chiara nel rifiutare il vincolo del precedente alla sua giurisprudenza, in alcuni casi, pur non essendo vincolante, esso è risultato comunque in grado di influenzare, in parte, l'orientamento della Corte. 240