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Capitolo I "I diritti dei detenuti"

3. I diritti dei detenuti previsti nella legge ordinaria e la loro evoluzione

3.3. La legge Gozzini del 1986

Gli anni successivi al 1975 sono stati densi di avvenimenti di forte rilevanza storica, politica e sociale, di eventi che hanno influito enormemente anche nell'ideologia e nella gestione pratica della riforma penitenziaria.

Non appena si affievolirono il fenomeno terroristico e quella situazione di emergenza generalizzata in cui versava il nostro paese, si ebbero anche i primi segnali di un'inversione di tendenza per quanto riguardava la materia penitenziaria.61

La riforma del 1986 formalizza a livello parlamentare un iter iniziato in più sedi e per mano di diverse iniziative: essa recepisce, ad esempio, i contenuti del d.d.l. presentato dal Ministro Darida il 4 gennaio 1982, il cui punto forte consisteva nell'istituzione dei permessi premio, e la proposta di modifica alla legge 354

59 CALAMAI E., I soggetti del trattamento. Aspetti normativi e sociologici, in

www.altrodiritto.unifi.it.

60 BRUTI LIBERATI E., Dieci anni di riforma penitenziaria, in Questione Giustizia, 1987, n. 3, 619 ss.

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formulata dai magistrati di sorveglianza durante il convegno organizzato dal CSM nel 1982.

La riforma parte quando, il 19 giugno 1983, viene presentato in Senato un d.d.l., ad iniziativa dell'onorevole Gozzini e di altri, recante modifiche alla legge 354/1975.

Al Senato prese presto vita, e si prolungò per un paio di anni, una discussione che investiva fondamentalmente l'art. 90 della legge 354, che dava al Ministro di Grazia e Giustizia il potere di sospendere tutte le norme dell'ordinamento penitenziario "in casi gravi ed eccezionali concernenti l'ordine e la sicurezza"; ci si poneva, cioè, il problema se fosse o meno il caso di istituzionalizzare gli istituti di massima sicurezza.

Tale dibattito rischiava di costituire un vero e proprio blocco e di arenare la riforma; la svolta si ebbe quando la Commissione Giustizia del Senato ritenne di dover ascoltare il Direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena e un gruppo di magistrati di sorveglianza: adire direttamente gli operatori del sistema penitenziario spostò l'ottica della discussione dalle polemiche abbastanza limitate sull'art. 90 ad una visione più complessiva.

Fu anche "grazie" a questi interventi da parte degli operatori del settore che il testo del d.d.l. cominciò ad allargarsi sempre più, fino a comprendere tutte quelle modifiche che l'esperienza aveva rivelato necessarie.

Così, l'iter legislativo della riforma andò avanti ed il testo, approvato nell'ottobre dell'86, assunse una rilevanza sempre maggiore, al punto da arrivare ad essere definito, dal Ministro della Giustizia Martinazzoli come "una seconda riforma

dell'ordinamento penitenziario, nel senso che, senza rinnegare l'ispirazione ed i principi della legge del 1975, si precisano in alcuni punti nodali meccanismi e moduli normativi che assecondano perfettamente tale ispirazione".62

La portata di alcune idee, introdotte in modo circoscritto con la legge 354/75, diventa massima: si ampliano le prospettive d'individualizzazione del trattamento e di reinserimento sociale del detenuto.

62 Sul punto v. il contributo di DAGA L., Profili di cronaca parlamentare della l. 10 ottobre 1986

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La legge Gozzini è un articolato che pone l'accento sul recupero dell'uomo, punto di partenza e di arrivo del trattamento penitenziario, e lo fa valorizzando in maniera fiduciosa tutto ciò che può portare a tale recupero, a tale reinserimento. La direzione scelta per favorire la risocializzazione è quella della decarcerizzazione, della concezione della pena detentiva come "extrema ratio". Questa concezione si attua mediante due diversi livelli d'intervento: da una parte si cerca di allargare le opportunità di uscita temporanea dal carcere, seguendo la logica del "meno carcere" durante l'esecuzione penitenziaria (e a questo fine si amplia la possibilità di lavoro all'esterno, di usufruire della semilibertà, e si istituiscono i permessi premio, concessi al fine di "coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro"); dall'altra parte si allargano le opportunità di esenzione dell'esecuzione penitenziaria, seguendo la logica del "non ingresso" in carcere (istituendo, per esempio la detenzione domiciliare ab origine per alcuni tipi di pene), e dell'uscita anticipata dal carcere (attraverso l'affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare in seguito all'espiazione di parte di una pena maggiore, la liberazione anticipata).63

La legge Gozzini estendeva al massimo la possibilità per i detenuti di usufruire di benefici e misure alternative al carcere, che erano accordati e calcolati sulla base della valutazione della condotta del detenuto e in generale sulla sua partecipazione al processo di rieducazione.

In altre parole, quello introdotto dalla Gozzini era un sistema che prevedeva numerosi meccanismi idonei ad incentivare la partecipazione e la collaborazione attiva del detenuto al trattamento penitenziario, perché solo attraverso tale coinvolgimento egli riusciva ad usufruire dei benefici premiali previsti.

La novità introdotta è grande: attraverso tutte queste previsioni e concessioni la legge 663 tenta di affievolire o di interrompere lo stato di privazione di libertà personale che il carcere comporta, al fine di attuare in maniera completa il principio di rieducazione e risocializzazione imposto dalla Costituzione.

Oltre alla previsione di tale sistema di premialità, esiste anche un secondo campo di intervento della legge 663/86, che si ricollega direttamente al lungo dibattito svoltosi al Senato sulla modifica dell'art. 90: la legge Gozzini, infatti, affronta il

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problema della massima sicurezza, cioè di coloro che non volevano cogliere le possibilità offerte a tutti e che sceglievano di continuare a scontrarsi con l'istituzione penitenziaria.

Veniva riconosciuta sia l'esigenza di istituire aree di massima sicurezza sia la necessità di dare ad esse legalità e regole; regole che servissero a gestire l'assegnazione, la vita interna e l'uscita da tali aree.

Vengono così introdotti due articoli: il primo è l'art. 14 bis nella legge sull'ordinamento penitenziario, dedicato al regime di sorveglianza particolare, previsto per quei detenuti che turbassero l'ordine negli istituti, ne compromettessero la sicurezza, o usassero violenza o minaccia nei confronti degli altri internati; il secondo è l'art. 41 bis, che disciplina le c.d. situazioni di emergenza, in presenza delle quali il Ministro della Giustizia può sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati.64 In conclusione, possiamo dire che dentro la legge 663/86 convivono due anime: da un lato la maggiore apertura del carcere verso l'esterno, raggiunta attraverso la previsione di diversi istituti volti ad alleggerire o evitare l'esperienza penitenziaria, dall'altro lato l'esigenza di ordine e sicurezza all'interno dei penitenziari, realizzata con l'istituzione di un regime di sorveglianza particolare. Queste due anime, a prima vista così diverse fra loro, non sono inconciliabili, ma anzi, s'intrecciano e coesistono all'interno del testo legislativo, trovando la loro ragione nel criterio fondamentale della diversificazione del trattamento secondo la personalità di ciascun soggetto.65

Quello che la riforma Gozzini cerca di fare è dare piena attuazione ai principi costituzionali laddove la riforma del '75 era risultata mancante: si tenta di favorire al massimo il reo, incentivandolo a partecipare attivamente al proprio processo di recupero, e sostenendo tale reinserimento attraverso i contatti con la società esterna, con l'ambiente affettivo, familiare e lavorativo che il detenuto deve riconquistare.

64 DI SOMMA E., La riforma penitenziaria del 1975 e l'architettura organizzativa

dell'amministrazione penitenziaria, cit., 5 - 6; LA GRECA G., La riforma penitenziaria del 1975 e la sua attuazione, cit., 45 - 47. Sull'art. 90 e su queste due norme torneremo più in dettaglio nel

capitolo IV del nostro lavoro, dedicato al regime detentivo speciale.

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La pena, grazie alla legge 663, diventa flessibile, perché, una volta comminata, la sua durata e la sua esecuzione vengono modulate dai provvedimenti di concessione delle misure alternative e degli altri benefici.

C'è, oggi, e c'è stato, in passato, chi ha obbiettato che in questo modo la pena perde la sua certezza e quindi anche la sua effettività.

Ci si deve però chiedere se sia effettiva e certa una pena che si limita a far trascorrere al detenuto del tempo in carcere, senza rendere tale tempo utile, oppure se le caratteristiche di effettività e certezza siano meglio realizzate da una pena che punti a rendere "pieno" il tempo che un detenuto passa in carcere.

La riforma Gozzini ci da l'idea di una pena che diventa utile proprio perché flessibile, perché viene eseguita con il coinvolgimento del condannato, e viene proporzionata e modificata in base alla sua storia, al suo comportamento, alla ricerca e alla realizzazione delle sue prospettive.

Ovviamente, chiedere al carcere e alla pena di essere "utili" comportava anche la costruzione di un'istituzione penitenziaria profondamente diversa.

La riforma Gozzini si è arenata di fronte a un aspetto importante: la trasformazione dell'istituzione penitenziaria.

Alla legge, cioè, non si sono accompagnati quegli strumenti indispensabili per realizzarla; ancora una volta mancava l'aspetto organizzativo, probabilmente perché mancavano le risorse economiche necessarie per attuarlo.66