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Capitolo I "I diritti dei detenuti"

3. I diritti dei detenuti previsti nella legge ordinaria e la loro evoluzione

3.2. La legge 26 luglio 1975, n 354

"Abbandonata la vecchia logica della depersonalizzazione … il legislatore del 1975 … ha costruito l'intera disciplina del trattamento in istituto facendola gravitare sulla figura del detenuto …: quale protagonista attivo, e, nel contempo, quale fine ultimo dell'esecuzione penitenziaria, nella prospettiva della rieducazione".45

Dopo il tortuoso iter legislativo cui abbiamo accennato, il 26 luglio 1975 viene approvata la legge n. 354, recante "Norme sull'ordinamento penitenziario e

sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà"; essa ha costituito

un vero e proprio atto di rottura con il passato, con le vecchie concezioni del carcere, della pena detentiva e delle sue funzioni.

44 DI GENNARO G., La gestazione della riforma penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e

criminologica, 2005, nn. 2 - 3, 16 - 17.

45 Sono le parole utilizzate da Vittorio Grevi per descrivere la legge sull'ordinamento penitenziario del 1975, nel saggio introduttivo al suo volume Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Zanichelli, Bologna, 1981.

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Le innovazioni che la legge ha introdotto sono numerose e attengono a molteplici aspetti; attraverso questo testo, infatti, il legislatore tentava di dare forma e attuazione sia a quei principi costituzionali che per molti anni erano stati considerati soltanto mere affermazioni di principio, sia alle prime normative sovranazionali nascenti in materia.

Il cambio di rotta rispetto al Regolamento del 1931 è notevole: si passa dal carcere afflittivo e punitivo al carcere rieducativo, dal detenuto oggetto al detenuto soggetto.

L'On. Felisetti, nella sua relazione alla Commissione Giustizia della Camera sul d.d.l., descrive la normativa come "improntata all'insegna dell'equazione

«trattamento = rieducazione», che prevede l'umanità del trattamento, il rispetto della soggettività del detenuto, l'individualizzazione del trattamento penitenziario, la partecipazione della società esterna all'azione rieducativa, il diritto all'istruzione, il diritto - dovere al lavoro remunerato e socialmente assicurato, la libertà di professione della propria fede religiosa, l'attività culturale e ricreativa, i rapporti con la famiglia e il mondo esterno, l'avvio di un principio di corresponsabilizzazione dei detenuti per alcuni servizi".46

Queste sono le linee guida della riforma e sono anche le linee guida che dobbiamo seguire per comprendere quanto quest'ultima sia stata innovativa.

La filosofia che ispira l'intero testo della legge 354 può essere colta nella lettura del suo primo articolo; esso riassume bene tutta la concezione alla quale si richiama lo svolgimento degli articoli successivi, che si occupano singolarmente delle varie situazioni.

L'art. 1 afferma che "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad

umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona"; inoltre esso "é improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose".

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V. la Relazione della IV Commissione permanente (Giustizia), presso la Camera dei Deputati sul d.d.l. "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", presentata il 10 settembre 1974, consultabile nell'archivio storico della Camera dei Deputati, in www.camera.it.

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Sono evidenti, in questa norma, i riferimenti ai principi costituzionali di umanità e rispetto della dignità della persona, di assoluta imparzialità e, di conseguenza, anche al principio di uguaglianza: principi che vengono richiamati nell'incipit della legge in quanto ispiratori dell'intera riforma e, quindi, concetti latenti anche nelle disposizioni successive.

Quali sono allora le maggiori innovazioni introdotte materialmente dalla riforma e previste al fine di dare concreta attuazione ai principi costituzionali di cui abbiamo a lungo parlato?

Il primo cambiamento, che rappresenta il nucleo innovativo della riforma, consiste nella trasformazione della concezione stessa di detenuto.

E' quanto abbiamo letto nelle parole del Grevi citate poco fa: la figura del detenuto diventa il cardine intorno a cui ruota l'esecuzione penitenziaria; la dimensione organizzativa dell'amministrazione penitenziaria, con la sua disciplina pratica, perde la sua centralità nel sistema a favore del detenuto - persona fisica. Il detenuto, cioè, non era più l'oggetto dell'esecuzione penitenziaria, ma ne diventava il soggetto attivo, e in quanto tale era titolare di diritti.47

A dimostrazione di tale soggettività giuridica riconosciuta in capo al detenuto troviamo la formula dell'art. 4 della legge 354, che recita: "I detenuti e gli

internati esercitano personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale".

Il detenuto, cioè, viene identificato e definito quale titolare di diritti e aspettative, e legittimato all'agire giuridico proprio nella qualità di titolare di diritti che appartengono alla sua condizione di detenuto.

Tali diritti non sono altro che quelle situazioni giuridiche soggettive che corrispondono a valori tutelati dalla Costituzione, e che si esprimono nei diritti relativi all'integrità fisica, alla salute mentale, ai rapporti familiari e sociali, all'integrità morale e culturale.48

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DI SOMMA E., La riforma penitenziaria del 1975 e l'architettura organizzativa

dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2005, n. 2 - 3, 1 -

2.

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Corollario della centralità della figura del detenuto e del riconoscimento della sua soggettività giuridica è quanto previsto dall'art. 16 riguardo all'apertura della società nei confronti del carcere e all'individualizzazione del trattamento.49

Per quanto riguarda il primo aspetto, una maggiore apertura serve a favorire il reinserimento sociale dei detenuti, e può essere attuata in due modi: da una parte attraverso l'ingresso di presenze esterne al mondo carcerario, dall'altra parte consentendo l'uscita dei detenuti e favorendo i loro contatti con l'ambiente esterno.50

Per quanto riguarda l'individualizzazione del trattamento penitenziario, invece, è importante che quest'ultimo risponda "ai particolari bisogni della personalità di

ciascun soggetto"; per questo motivo la legge detta disposizioni molto dettagliate

caratterizzanti il trattamento rieducativo.51

Lo scopo è quello di "cucire su misura" il trattamento di ogni detenuto: il programma di trattamento viene modellato sulle individuali esigenze del detenuto, come risultanti dalla sua osservazione iniziale, e proprio perché così plasmato sul

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L'art. 16, infatti, prevede che nei confronti dei detenuti e degli internati debba "essere attuato un

trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi"; tale trattamento "è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti".

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Dal primo punto di vista la legge favorisce la partecipazione alla vita carceraria, previa autorizzazione del magistrato di sorveglianza, di privati, istituzioni, associazioni pubbliche o private, e più in generale di "tutti coloro che dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo

dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera" (art. 17). La seconda tipologia di

comunicazione con l'esterno, invece, è favorita, ad esempio, dall'istituto del lavoro esterno al carcere, che rimane ipotesi circoscritta in questo primo testo di riforma, ma che verrà poi ampliato nella legislazione successiva. V. LA GRECA G., La riforma penitenziaria del 1975 e la sua

attuazione, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2005, nn. 2 - 3, 42.

51 L'art. 13 della legge 354 si occupa proprio dell'individualizzazione del trattamento rieducativo: la prima fase consiste nell'osservazione scientifica della personalità del detenuto "per rilevare le

carenze psicofisiche e le altre cause del disadattamento sociale". Tale osservazione "è compiuta all'inizio dell'esecuzione e viene proseguita nel corso di essa". Successivamente, si procede alla

predisposizione di quello che può essere definito un vero e proprio programma di trattamento, che potrà essere modificato nel corso dell'esecuzione della pena: "per ciascun condannato e internato,

in base ai risultati dell'osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione". In altre parole, sulla base

dell'osservazione fatta al momento dell'ingresso in carcere, si compila un percorso rieducativo del condannato, prevedendo i più significativi interventi nei suoi confronti. In ogni caso "deve essere

favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento".

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soggetto, può essere modificato o integrato nel corso dell'esecuzione della pena del detenuto stesso.52

In questo modo si ritiene sia più facile ottenere la rieducazione e il reinserimento del condannato sostenuti dall'art. 273 della Costituzione.

Si tratta di una grande novità, che sottolinea ancora maggiormente l'intenzione da parte della riforma di dare massima importanza e centralità alla figura del detenuto come persona fisica.

L'ossatura del trattamento penitenziario è data dai suoi elementi, che non si limitano più a istruzione, religione e lavoro, come prevedeva il regolamento del 1931, ma si ampliano; l'articolo 15 della legge 354, oltre ai tre elementi della normativa fascista, menziona anche le attività culturali, ricreative e sportive, i contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia.

Tuttavia, questa elencazione non è esaustiva; l'art. 15, infatti, stabilisce che il trattamento penitenziario si svolge avvalendosi "principalmente" degli elementi elencati: un avverbio che ha un significato importante, perché ci dice che esse sono le componenti principali, ma non esclusive del trattamento, e che quindi all'occorrenza ci si potrà avvalere anche di elementi diversi da quelli espressamente menzionati.

In ogni caso, la loro importanza è fuori dubbio, perché "la loro realizzazione

effettiva rappresenta la vera svolta democratica e civile nel carcere".53

Ad ogni elemento del trattamento, il legislatore del 1975 dedica delle disposizioni specifiche: si agevolano l'istruzione scolastica, di qualsiasi grado, e i corsi di addestramento professionale; il lavoro, unico elemento che conserva il carattere dell'obbligatorietà, viene equiparato al lavoro nella società libera non solo per quanto riguarda la preparazione professionale, ma anche in relazione all'orario lavorativo, al riposo festivo, alla tutela assicurativa e previdenziale;54 si assicura la

52 DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 2008, Annali II - Tomo II, 796.

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Sono le parole usate dall'on. Felisetti nel suo intervento, in qualità di relatore, alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nella seduta del 17 aprile 1974, la cui stenografia è reperibile nella sezione dell'archivio storico della Camera dei Deputati, in www.camera.it.

54 Pur non essendo questa la sede in cui occuparsene, dobbiamo puntualizzare che in materia di lavoro carcerario molto è stato detto, e fatto, nel corso degli anni, non solo dal legislatore, ma anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, per far sì che il lavoro in carcere, e fuori dal carcere, diventasse la più grande risorsa a disposizione dei detenuti per agevolare il loro percorso di reinserimento sociale.

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libertà di professare la propria fede religiosa per i detenuti cattolici e non; sono favorite e organizzate all'interno degli istituti le attività ricreative e culturali, insieme a ogni altra attività "volta alla realizzazione della personalità dei detenuti

e degli internati".55

Ulteriori, basilari, elementi del trattamento penitenziario sono i contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia, che rivestono un'importanza fondamentale in vista del futuro reinserimento del reo.

In questa prospettiva vengono favoriti i colloqui svolti con i congiunti e con i conviventi; il loro numero viene aumentato da 4 a 6 al mese, con durata di un'ora ciascuno, e si stabilisce che si svolgano in locali interni "senza mezzi divisori".56 Un altro ambito nel quale la riforma del 1975 si dimostra innovativa e attuativa dei principi costituzionali è quello dell'introduzione delle misure alternative al carcere, definite dall'On. Felisetti nella sua Relazione al d.d.l. "l'elemento più

innovativo e qualificante del disegno di legge, quello che costituisce una vera svolta e una scelta aperta nella gestione penitenziaria".

Nascono così l'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà e la liberazione anticipata; tuttavia si tratta d'introduzioni limitate, volutamente formulate in maniera circoscritta e prudente, che verranno notevolmente ampliate dalla legislazione successiva.

Abbiamo cercato di ripercorrere quelli che sono i principi fondamentali enunciati dalla legge penitenziaria del 1975 in materia di diritti dei detenuti; alla fine di questa panoramica quello che emerge è che la legge di riforma innova profondamente l'idea che si ha del carcere, della figura del detenuto e della concezione stessa della pena.

Così, il carcere diventa un luogo di opportunità, volto a favorire un progetto di recupero sociale per il reo, e il detenuto diventa il fine del trattamento penitenziario, che cessa di essere trattamento afflittivo e diviene rieducativo.

55 Per una maggiore accuratezza v. le singole disposizioni relative agli elementi del trattamento: l'art. 19, dedicato all'istruzione, l'art. 20, dedicato al lavoro carcerario, l'art. 26, relativo alla libertà religiosa, e l'art. 27 per quanto riguarda le attività culturali, ricreative e sportive.

56 Per una ricostruzione complessiva e maggiormente dettagliata degli elementi del trattamento v. DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., 801 - 808.

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Tuttavia, quanto detto finora non deve far pensare che le previsioni dell'ordinamento penitenziario italiano, come delineato dalla riforma del 1975, abbiano, quasi magicamente, rimodellato la posizione del detenuto in conformità ai dettami costituzionali e alla normativa sovranazionale.

Parte autorevole della dottrina, infatti, ha dato un giudizio molto severo della riforma del 197557; tale severità appare da un lato eccessiva se si tiene conto di quanto la riforma ha modificato la concezione del carcere e la prospettiva con cui si guardava ad esso, ma, dall'altro lato, aiuta a spiegare il divario fra i principi sanciti dalla riforma e l'effettività della condizione carceraria.

Più che contestare la "bontà dei principi" della legge del 1975, occorre proprio rilevare la tendenza alla "rinnegazione" pratica degli stessi; una tendenza che sembra insita nelle normative di tipo penitenziario: esse, infatti, sono costantemente esposte a pratiche di non applicazione e di manipolazione delle norme.58

In questa prospettiva, un esempio della mancata applicazione della riforma si può riscontrare a riguardo degli operatori carcerari.

Il nuovo sistema, infatti, attribuiva al personale penitenziario funzioni di coordinazione e responsabilità di un'attività carceraria completamente diversa, la cui finalità non era più solo quella di custodire, ma anche quella di osservare i detenuti, e di stimolarne e seguirne la risocializzazione.

Le competenze richieste, quindi, cambiavano completamente, e di conseguenza dovevano mutare anche la preparazione e la professionalità del personale lavorativo e direttivo delle carceri.

Nella realtà, però, queste nuove figure non furono introdotte e si finì per riversare su soggetti esterni al carcere, come educatori e assistenti sociali, la competenza e le qualificazioni necessarie per realizzare la riforma: gli operatori che dovevano aiutare il detenuto nel suo personale percorso di recupero sociale non erano altro che liberi professionisti, consulenti esterni al carcere.

57 Così FERRAJOLI L., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma - Bari, 1990, 750, afferma che il nuovo regime carcerario sarebbe sì "più umano e meno afflittivo", ma "non meno

illiberale e totalizzante" sostituendo alla coercizione fisica quella morale, alla "durezza delle condizioni di vita, il condizionamento persuasorio delle coscienze, alla sorveglianza e alla disciplina dei corpi, l'osservazione e la sottomissione delle anime".

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Una funzione così importante, senza dubbio, sarebbe dovuta essere assegnata a personale interno ai penitenziari, appositamente formato per essere non solo personale di custodia, ma anche, e soprattutto, personale rieducativo e di sostegno psicologico.59

Nonostante queste gravi mancanze, la riforma del 1975 rimane veramente fondamentale nel nostro sistema legislativo, perché come abbiamo già detto, attua i principi costituzionali, introduce una nuova concezione del carcere e un maggiore riconoscimento dei diritti dei detenuti.

Purtroppo gli anni che seguirono la riforma furono i c.d. anni di piombo: l'Italia fu sconvolta dal nascere del fenomeno terroristico, che finì per chiudere le porte tanto faticosamente aperte dalla riforma.

Fu un periodo di grande difficoltà, in cui era in forse la stessa tenuta del nucleo della riforma del 1975: l'apertura del carcere alla società, l'umanizzazione della persona, la prospettiva del reinserimento sociale offerta a tutti i detenuti, senza preclusioni.60