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Le disposizioni antecedenti l'art 41 bis 2

Capitolo IV "Il regime detentivo speciale"

1.1. Le disposizioni antecedenti l'art 41 bis 2

La possibilità di applicare un regime detentivo maggiormente restrittivo deriva dalla necessità di fronteggiare gravi esigenze di ordine e sicurezza; una prima esperienza di misure di questo tipo si ha con la previsione dell'art. 90 della legge 354/1975.

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La norma viene concepita in un momento storico particolare: è il periodo dei c.d. "anni di piombo", in cui il fenomeno terroristico aveva sconvolto il nostro paese gettando un'ombra di profonda insicurezza sociale, e di una vera e propria stagione di rivolte all'interno delle carceri.

Davanti a tale contesto storico, politico e penitenziario l'articolo 90 costituisce la prima esperienza codificata di sospensione delle regole di trattamento ordinario in situazioni di emergenza.276

Secondo questa norma, infatti, di fronte a motivi di ordine e sicurezza che presentino i caratteri dell'"eccezionalità" e della "gravità", il Ministro per la Grazia e Giustizia ha "la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione

in uno o più stabilimenti penitenziari, per un periodo determinato, strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza".

Nelle intenzioni del legislatore, l'art. 90 serviva a consentire che, ove ricorressero alcune condizioni di pericolosità interna al carcere, le esigenze di sicurezza prevalessero su quelle del trattamento e della rieducazione dei detenuti, permettendo in tal modo restrizioni che altrimenti sarebbero risultate contrarie alle norme di legge.277

Il testo dell'articolo, come emerge dalla sua lettura, risultava improntato alla massima genericità: i presupposti applicativi, l'oggetto e la durata della sospensione erano legati a criteri così vaghi che finivano col diventare, di fatto, una sorta di delega in bianco all'autorità amministrativa.

Non erano neppure sufficienti né i riferimenti alla "concretezza" del contrasto fra regole di trattamento ed esigenze di sicurezza, né la "stretta necessità" della durata della sospensione: questi due criteri finivano solo per essere una raccomandazione ad interpretare la norma come extrema ratio.278

Nella prospettiva dettata da questo articolo, videro la luce le prime misure restrittive, consistenti in limitazioni al passeggio all'aperto, divieti su alcuni oggetti che potevano essere introdotti dentro il carcere attraverso dei pacchi,

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ARDITA S., Il regime detentivo speciale dell'articolo 41 - bis, Giuffrè, 2007, 5.

277 FONTANELLI E., L'art. 41 - bis l. 354/1975 come strumento di lotta contro la mafia, in

www.altrodiritto.unifi.it.

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limitazioni al numero e alle modalità di svolgimento dei colloqui, controlli sulla corrispondenza e sulle conversazioni telefoniche.279

L'articolo 90, però, si espose ben presto a delle critiche; nato in un contesto emergenziale, utilizzato per rispondere al terrorismo degli anni di piombo, esso presentava due grossi limiti: il primo era di non selezionare le esigenze di sicurezza e prevenzione che intendeva proteggere; il secondo di essere destinato ad un'applicazione generalizzata.

Tale regime, infatti, a prescindere dal dato individuale, si applicava in modo uniforme a tutti i detenuti presenti all'interno di intere sezioni od istituti; questa sua ultima caratteristica ha fatto sì che il regime di rigore fosse applicato anche a soggetti non pericolosi, che venivano a trovarsi all'interno di istituti o sezioni assoggettati alla disciplina dell'art. 90.280

Finita l'emergenza terrorismo, il ricorso a tale sistema speciale fu sempre meno necessario; inoltre, come già sappiamo, il carcere conobbe una stagione di

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Non dobbiamo dimenticare che l'art. 90 è strettamente correlato all'istituzione delle c.d. carceri speciali, o di massima sicurezza. Con un decreto ministeriale del 1977, si affidava a un Generale dei Carabinieri, nominato dal Ministro della Difesa, il comando dell'ufficio per il coordinamento dei servizi di sicurezza degli istituti penitenziari. Il Generale aveva il compito di indicare al Ministro di Grazia e Giustizia tutte le misure ritenute necessarie per garantire la sicurezza degli istituti. Poco tempo dopo fu presentato un piano che prevedeva la creazione di un circuito speciale di carceri di "massima sicurezza" (5 su tutto il territorio nazionale). Per la messa a regime del circuito differenziato venne utilizzata la previsione dell'art. 90, che da strumento atto a reprimere l'insorgenza di una situazione eccezionale divenne mezzo preventivo ordinario di risposta a esigenze di ordine e sicurezza. Con una serie di decreti ministeriali succedutisi negli anni, infatti, si provvide, attraverso l'art. 90, ad individuare gli istituti interessati e a disciplinare in essi la sospensione delle ordinarie regole di trattamento. L'esperienza delle carceri speciali durò dal 1977 al 1985. Sul punto v. ARDITA S., Il regime detentivo speciale dell'art. 41 - bis, cit., 5 - 6; FONTANELLI E., L'art. 41 - bis l. 354/1975 come strumento di lotta contro la mafia, cit.

280 ARDITA S., Il regime detentivo speciale dell'art. 41 - bis, cit., 7 - 8. Al riguardo dell'art. 90, è inoltre opportuno sottolineare che vi era stata la sottoposizione di una questione di legittimità costituzionale da parte del magistrato di sorveglianza di Avellino (con ordinanza dell'11 dicembre 1982): la questione era stata sottoposta in relazione agli articoli 132 e 101 Costituzione, per la parte dell'art. 90 che attribuiva al Ministro di Grazia e Giustizia, anziché all'autorità giudiziaria, il potere di sospendere le ordinarie regole di trattamento negli istituti penitenziari. Secondo il magistrato di Avellino, l'art. 90 consentiva "l'emanazione di un decreto da parte del Ministro col quale é

possibile vanificare l'azione di trattamento predisposta dal Magistrato di sorveglianza nei confronti del detenuto" (confliggendo così con l'art. 101 della Costituzione e con il suo principio

della riserva di giurisdizione) e comportava "un aggravamento della condanna (ed ancor più della

custodia preventiva) al di sopra dei rituali schemi giurisdizionali" (contrastando con l'art. 132

Costituzione, che vieta, in assenza di un provvedimento del giudice, ogni forma di detenzione, ispezione o perquisizione personale, ed ogni altra forma di restrizione della libertà personale). La Corte costituzionale, con ordinanza del 15 luglio 1986, n. 202, dichiarò la manifesta inammissibilità della questione, senza entrare nel merito, in quanto l'ordinanza di rimessione non conteneva alcuna motivazione in ordine alla rilevanza della questione proposta. Sul punto v. CALDERONE M.R., L'art. 41 - bis e altri regimi particolari di detenzione. Aspetti giuridici e

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riforme, in cui era dato maggior spazio all'individualizzazione del trattamento e alla rieducazione e al reinserimento del detenuto.

In questo clima positivo, grazie alla legge Gozzini, si procedette all'abrogazione dell'art. 90, denunciato da più parti come una disposizione idonea a dar vita a forme di abuso e violazione dei diritti umani; tuttavia, non si voleva rinunciare del tutto a predisporre strumenti di differenziazione trattamentale in virtù di esigenze di sicurezza.

Per continuare a perseguire questo scopo, la legge 663/1986 ha seguito un duplice indirizzo: da un lato, al posto dell'art. 90 ha introdotto l'art. 41 - bis, dall'altro ha previsto un nuovo istituto, sempre ispirato a logiche di sicurezza, che ha regolamentato nell'art. 14 - bis.

Queste due previsioni, che sono tuttora in vigore, seppur attraverso la disciplina di situazioni diverse, continuavano nella scia di perseguire esigenze di sicurezza all'interno dell'istituto.

In particolare, l'art. 14 - bis prevede un regime di sorveglianza particolare, applicabile ai singoli individui che si siano resi responsabili di atti contrari all'ordine e alla sicurezza interni281; tale regime comporta le restrizioni dell'esercizio dei diritti e delle regole del trattamento che siano strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza ma, in ogni caso, non può riguardare esigenze ritenute prioritarie, tra cui i colloqui con i parenti, la ricezione di generi alimentari, le disposizioni in materia d'igiene, vestiario e salute.282

Questa misura, quindi, riguarda esclusivamente l'accertamento di una pericolosità "infracarceraria": essa nasce e si giustifica in funzione del comportamento del singolo detenuto, per questioni che comunque riguardano la sicurezza interna,

281 In particolare l'art. 14 - bis si applica a seguito di comportamenti che compromettono la

sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti, di atti di violenza o minaccia che impediscano le attività degli altri detenuti o internati, e nei confronti di coloro che nella vita penitenziaria si avvalgano dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti. Quest'ultima previsione,

in particolare, sembra voler evitare che all'interno del carcere si verifichino episodi di vera e propria "sudditanza" di alcuni detenuti nei confronti di altri.

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Tale provvedimento restrittivo ha durata di sei mesi e può essere prorogato, anche più di una volta, per tre mesi ogni volta; inoltre, contro di esso può sempre essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo, seguendo la procedura disposta dall'art. 14 - ter.

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restando sostanzialmente esclusa la sua applicazione in situazioni che coinvolgano pericoli esclusivamente esterni alla realtà carceraria.283

Come abbiamo detto, non si tratta, però, dell'unico istituto introdotto dalla legge Gozzini in un'ottica di maggiore sicurezza.

Complementare a questa disposizione è, infatti, la previsione dell'art. 41 - bis, 1° comma, (in origine l'unico), che sostituisce l'abrogato art. 90 e ne recupera in parte il contenuto.

La norma prevede la possibilità di sospendere le regole ordinarie di trattamento per situazioni di eccezionale gravità interne al carcere, quali le rivolte o altre gravi situazioni di emergenza.

In queste ipotesi la pericolosità non è individuale, ma riguarda situazioni di turbativa dell'ordine e della sicurezza all'interno del carcere che consentono al Ministro della Giustizia di disporre una generale sospensione delle regole di trattamento nel carcere interessato o in parte di esso.

A ben vedere, si tratta di una disposizione che ha poche differenze rispetto all'abrogato art. 90; l'unica diversità risiede nella scomparsa del riferimento a una o più strutture penitenziarie: il provvedimento ministeriale deve essere, quindi, basato sulla specifica e comprovata situazione di pericolo interno di ciascun istituto, senza possibilità di estensione a più sedi penitenziarie.

Per il resto, rimangono tutti i profili problematici rilevati nell'art. 90: la genericità delle situazioni invocate e degli strumenti adottabili, e la possibilità di un'applicazione comunque generalizzata all'intero penitenziario.284

Possiamo perciò dire che, con la previsione di questi due istituti, il legislatore ha cercato di non lasciare vuoti normativi da rimettere alla prassi applicativa, delineando un sistema tendenzialmente completo, capace di trovare rimedio sia alla gestione ordinaria sia a quella straordinaria della sicurezza penitenziaria: la prima trova la sua disciplina nell'art. 14 - bis, la seconda nell'art. 41 - bis.285

283 ARDITA S., Il regime detentivo speciale dell'art. 41 - bis, cit., 11; cfr. anche RUOTOLO M.,

Diritti dei detenuti e Costituzione, cit., 215.

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ARDITA S., Il regime detentivo speciale dell'art. 41 - bis, cit., 12; RUOTOLO M, Diritti dei

detenuti e Costituzione, cit., 215.

285 PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., 183; v. anche FONTANELLI E.,

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Tuttavia, dopo poco tempo, il legislatore, e il paese tutto, si sono trovati a fare i conti con una nuova, dirompente, esigenza di sicurezza, stavolta esterna al carcere.