EVOLUZIONE NELLO STUDIO DEI CONSUM
3.5 NUOVI MODI DI VIVERE IL TERRITORIO
3.5.4 Il caso del Last Minute Market: un non mercato nel mercato
Il progetto Last Minute Market è un mercato all’ultimo minuto che ha lo scopo di trasformare gli scarti, e quindi lo spreco, in risorsa. Da qui nasce l’ossimoro “spreco utile”, per designare proprio quella potenzialità contenuta nei prodotti, celata dietro uno stile di vita che tende ad appropriarsi, usare e gettare via le cose, oggi anche quasi gli affetti e le relazioni, in modo automatico e frenetico. La genesi del LMM a Bologna ha inizio nel 1998, quando il Prof. Andrea Segrè invitò presso l’università un suo ex-allievo diventato capo del reparto ortofrutticolo di un ipermercato per tenere un seminario attinente all’economia agroalimentare. Nel corso del dibattito uno studente chiese se effettivamente si riuscisse a vendere tutto nell’ipermercato, viste le quantità enormi della merce esposta e in magazzino. La risposta del direttore del reparto fu positiva, concisa, ma poco convincente. Quanto accaduto, suscitò la curiosità del Prof. Segrè, il quale al termine dell’incontro chiese ulteriori spiegazioni al suo ex-allievo. La verità è che il “dietro le quinte” del supermercato è una realtà poco o per nulla conosciuta: montagne di prodotti ammucchiati e mischiati l’uno con l’altro, giacciono in attesa di essere trasportati in posti adatti allo smaltimento. Prodotti per la maggior parte integri, non ancora scaduti, seppur vicini alla scadenza, non avariati, in una parola: consumabili. Il museo dello spreco. E se tutto quello spreco fosse stato recuperabile? Si aprì allora un campo di indagine, grazie al lavoro offerto dai tesisti del Prof. Segrè, tra cui i primi Luca Falasconi, Sabina Morganti e Matteo Guidi, i quali si appassionarono all’argomento e ne cominciarono ad analizzare gli aspetti più diversi e integranti per certi punti di vista: dalla sicurezza igienico-alimentare, alla legislazione sulle donazioni, all’approccio economico-aziendale.
Il LMM è nato come progetto di ricerca del Dipartimento di Economia e Ingegneria Agrarie della Facoltà di Agraria di Bologna e dal 25 settembre del 2008 è una società s.r.l spin-off dell'Università di Bologna.
Il campo d’indagine nuovo, fino ad allora inesplorato, preso in considerazione dal LMM, ha creato prospettive di sviluppo per i territori nei quali è stato implementato il progetto e, per di più, ha dato origine ad una nuova figura professionale: quella dell’esperto in redistribuzione degli invenduti.
Questo progetto replicato in altre regioni italiane, ha una struttura teorica importante basata sostanzialmente sul concetto di sperequazione delle risorse. Nella società di oggi, scarsità e abbondanza convivono senza incrociarsi: troppo a pochi e poco a troppi. Dunque, surplus e deficit non si equilibrano. Tuttavia, è da precisare che l’equilibrio che si deve raggiungere non deve essere per forza monetario, poiché il surplus alimentare che non viene offerto ha perso il suo valore
commerciale e perciò non può essere donato. Per cui, l’equilibrio si attua in un non mercato dove sono ammesse tutte quelle categorie penalizzate dalla logica di mercato: gente senza potere d’acquisto, indigenti, persone sottonutrite, bisognosi in generale. Se attuiamo il seguente equilibrio: da un lato forniamo un servizio ai fornitori di produttori, dall’altro lato aiutiamo i clienti- utilizzatori, coniugando approccio metodologico economico-aziendale e approccio socio- assistenziale, perché permettiamo alla non domanda di incontrarsi con la non offerta (autosostenendosi economicamente) attraverso il dono, il quale è un legame sociale fra i vari attori. Il dono fa parte dei quattro elementi fondamentali per migliorare in modo sostenibile il nostro stile di vita, in quanto sappiamo che gli interventi di programmazione devono tenere conto delle reciproche interrelazioni tra dimensione sociale, economica e ambientale e della diversità culturale che è una delle radici dello sviluppo.
Un nuovo stile di vita potrebbe essere, quindi, improntato:
Sulla sobrietà, che vuole il ritorno all’economia locale e implica pertanto le filiere corte e lo sfruttamento di energia rinnovabile locale.
Sul dono, promotore di relazioni sociali che portano ad un valore di legame più importante del dono stesso. Il dono da intendersi non solo come atto etico, ma anche come necessità economica perché, se compiuto con un senso, purifica l’economia dal surplus.
Sulla reciprocità che moltiplica i doni.
Sulla contemplazione dei beni e non frettolosa fruizione degli stessi, perché è con la contemplazione che emergono tutte le dimensioni di valore. Si dice che “L’avaro contempla ciò che possiede, il saggio possiede ciò che contempla” .
Ritornando al surplus e al deficit di cui parlavamo all’inizio del paragrafo, possiamo affermare che i prodotti invenduti della GDO sono l’anello scoperto della catena agroalimentare su cui interviene il progetto elaborato dall’Università di Bologna. Il surplus solitamente si manifesta nei sistemi economici ricchi. Nonostante summit e vertici internazionali sulla produzione alimentare mondiale, sono ancora oltre 800 milioni le persone che risultano cronicamente sottonutrite al mondo, ossia con un apporto calorico insufficiente. Tuttavia, anche nei Paesi sviluppati ci sono situazioni di sotto-nutrizione, circa 11 milioni di malnutriti nei paesi dell’abbondanza del nord- ovest del mondo, più migliaia di persone che soffrono di disturbi legati all’iperalimentazione e da cibi malsani. L’Italia che è la sesta potenza al mondo per Pil pro-capite, presenta un reddito alto e un’altrettanta alta percentuale di socialmente esclusi ed emarginati. Un prospetto del genere, fa emergere tre dicotomie importanti che esprimono a loro volta diverse situazioni di deficit:
2. Dicotomia: + crescita / - occupazione, detta anche joblessgrowing, cioè l’aumento di produzione e del Pil non è connesso all’aumento dei posti di lavoro, mentre fino a pochi anni addietro, l’incremento della produzione era una delle strategie per far aumentare l’occupazione.
3. Dicotomia: + reddito / - qualità della vita, questo vuol dire che il benessere personale non dipende soltanto dai beni materiali, ma è qualcosa di più profondo e complicato che include anche un appagamento psico-fisico.
Gli elementi comuni a questi tre paradossi sono:
Nessuna delle tre dicotomie è correlata alla scarsità di risorse materiali e finanziarie.
Nessuna delle problematiche può essere risolta con l’aumento delle risorse, in quanto la scarsità non è materiale ma sociale69.
Ora proviamo a descrivere meglio il concetto di surplus nel caso specifico. Il surplus agroalimentare è rappresentato da tutte le eccedenze strutturali che si formano nella fase di produzione e trasformazione di quei beni che il mercato non è in grado di accogliere. I prodotti invenduti sono tutti i prodotti perfettamente utilizzabili, ma che per le ragioni più diverse non sono più vendibili e, quindi, in assenza di uno sbocco alternativo vanno eliminati. Essi sono difficilmente quantificabili. Da qui emerge il quarto paradosso:
l’economia produce surplus / ma la società si trova in deficit
L’obiettivo diventa allora quello di far incontrare queste due realtà: la non offerta e la non domanda in un non mercato per tornare in una condizione di equilibrio. La rivalorizzazione del prodotto e il riequilibrio si realizzano a livello locale, dove cioè surplus e bisogni insoddisfatti si manifestano con una prossimità spaziale. Le transazioni, a questo punto, non sono più monetarie, in quanto ribadiamo che il surplus ha perso il suo valore monetario e, quindi, lo scambio avviene col dono. E’ importante ricordare che il dono in una circostanza del genere, non è inteso come atto morale fine a sé stesso, ma come atto che viene da una necessità economica, nonché sociale: quella di riequilibrare e risanare un’economia malata.
Inoltre, il dono è un rapporto sociale in quanto lo scambio non è spersonalizzato, ma l’oggetto è legato al donatore. Il valore di legame viene prodotto dall’intermediario che si interpone tra chi produce e chi consuma il surplus. Dal punto di vista metodologico si dovranno allora
69Per scarsità sociale intendiamo l’incapacità delle nostre società di socializzare e l’incapacità che le
coniugare due tipi di analisi: quella economico–aziendale e quella socio-assistenziale, in modo da far collaborare nel recupero delle eccedenze i due soggetti principali: aziende for profit ed enti no profit. Il riequilibrio economico avrà degli esiti positivi a catena sulla tutela ambientale e il risanamento sociale.
A proposito di quest’ultimo punto, osserviamo come spesso le teorie neoliberiste, quelle della massimizzazione dell’utile e del profitto, non consentono di raggiungere posizioni di first best nella sfera del benessere collettivo e nè, tantomeno, riescono ad agevolare le politiche nella formulazione di politiche di welfare senza che queste non vadano ad interferire con le variabili del mercato, le quali non sarebbero, a rigor di logica, più libere di autoregolarsi. Polanyi già nel 1944, mise in discussione il mercato come unica forma di organizzazione economica, proponendo altri due modelli di integrazione70, oltre allo scambio di mercato:
La reciprocità: scambio di beni indipendentemente dal loro prezzo di mercato (un esempio può essere il dono).
La redistribuzione: un soggetto centrale redistribuisce i beni (ad esempio lo Stato sociale dove i cittadini pagano le tasse e lo stato le redistribuisce sotto forma di pensioni, sussidi, secondo un criterio di giustizia ed equità, per cui si tende ad agevolare le fasce più svantaggiate della popolazione).
In seguito, fra il 1947 e il 1968, Boulding71 seguì le teorie di Polanyi, formulando tre tipi di organizzatori sociali: il sistema della minaccia, dello scambio (fatto di mercati e baratti) e il sistema integrativo (costituito da doni e sovvenzioni).
Il “non mercato” luogo ideale e concreto per l’incontro di non domanda e non offerta dei surplus fa parte dell’economia solidale teorizzata da Laville72. Lo studio di Laville interessa i temi dello sviluppo locale, dell’economia sociale e delle organizzazioni no profit, perciò rientra perfettamente nel campo di analisi del LMM.
Laville distingue tre poli economici:
L’economia di mercato, nella quale la distribuzione di beni e servizi è affidata al mercato.
L’economia non di mercato, dove beni e servizi sono redistribuiti attraverso l’azione dello Stato sociale.
70
K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, Torino, 1974
71
K.E. Boulding, A preface to grants economics. The economy of love and fear, Praeger, New Yoork, 1981.
72
L’economia non monetaria, nella quale beni e servizi vengono scambiati in base a rapporti di reciprocità e di amministrazione domestica.
Nello studio di rapporti e società ci accorgiamo come il mercato, che da sempre è vista come la migliore forma di scambio di beni e servizi dall’economia tradizionale, è affiancato da modalità di distribuzione differenti. Anche Polanyi operava una distinzione a seconda dei modi di interazione tra economia e società nello scambio di beni e servizi, che sono più che altro principi di comportamento economici associati ad un modello istituzionale, e sono:
L’amministrazione domestica, cioè la produzione per uso proprio e per la soddisfazione dei bisogni del proprio gruppo.
La reciprocità, che è il rapporto stabilito tra più persone per lo scambio durevole di doni. Il dono, non essendo spersonalizzato ma legato a rapporti interpersonali, non può essere separato dal compimento di prestazioni sociali. Perciò, il dono e lo scambio si fonde col valore e il rapporto sociale.
La redistribuzione, è un’autorità che provvede al ricevimento di beni e servizi che provvede a distribuire alla società in maniera diversa per garantire l’equità.
Il mercato, dove lo scambio si basa su un equilibrio tra scambio e offerta e ogni passaggio di bene o servizio è caratterizzato da una controprestazione monetaria; l’incontro tra domanda e offerta determina la fissazione di un prezzo che dovrebbe essere il prezzo di equilibrio.
Questi principi di comportamento si sono notevolmente modificati nel corso del tempo e, secondo Laville, per operare una corretta analisi del panorama socio-economico e quindi delle relazioni tra economia e società, è necessario valutare vantaggi e svantaggi di tutti e tre i poli economici, quindi non solo del modello predominante (il mercato), ma anche delle altre forme di scambio le quali hanno un impatto sui modi di agire sociali e sull’economia nel suo complesso. Sommariamente possiamo dire che:
L’economia di mercato, può essere fonte di efficienza, ma non produce equità, poiché si rivolge solo a coloro che hanno un potere d’acquisto e non a tutti quelli che esprimono un bisogno.
L’economia non di mercato tiene conto dell’equità, ma presenta un’elevata burocrazia e pesantezza amministrativa.
L’economia non monetaria, è esempio primo della solidarietà e della mutua assistenza ma rischia di frenare lo spirito di emancipazione degli individui.
Il progetto del LMM mira a ricercare un equilibrio tra questi tre poli economici per far emergere e rafforzare le positività anziché le negatività dei modelli analizzati da Laville. Col LMM
questo equilibrio prende il nome di “non mercato”: forma di economia o di scambio in cui vengono fusi i vantaggi dei tre poli economici (mercato, redistribuzione e reciprocità). Del resto l’attività economica deve essere espressione di un senso comune, cioè di un mondo condiviso con altri; per cui eliminare alcune problematiche sociali (come la fame, la povertà e lo spreco) può e deve richiedere una sinergia tra le diverse modalità di scambio di beni e servizi. Col LMM:
si vogliono fornire beni e servizi con la redistribuzione organizzata del settore privato;
si fa affidamento alla reciprocità del mondo non profit e del volontariato; si utilizza il dono come elemento di scambi e di socializzazione
Il “non mercato”, perciò, non si può definire appartenente né al mercato, né al modello di redistribuzione statale, né tantomeno all’amministrazione domestica che caratterizza l’economia non monetaria.
Il nuovo equilibrio, dunque, concilia in una solidarietà nuova, iniziativa economica, dalla quale arriva l’apporto delle imprese, e solidarietà, che garantisce la ripartizione e l’equità.
Il processo di valorizzazione del bene che si inserisce nel nuovo equilibrio del “non mercato”, vede cambiare anche la concezione di scambio. Sappiamo che il bene è qualcosa che può essere oggetto di scambio per un controvalore monetario. Tuttavia, il bene per poter essere definito economico deve essere anche accessibile e disponibile in quantità limitata. Il LMM tratta, però, proprio quei beni che non sono né accessibili (perché non possono essere comprati dai soggetti senza potere d’acquisto) né disponibili (perché non sono offerti dal mercato). Dunque, il bene mantiene solo la sua natura e la stessa utilità, cioè la soddisfazione di un bisogno alimentare. Il LMM decide di donare questo bene per fini socio-assitenziali, senza avere in cambio un controvalore monetario. Lo scambio, perciò, non è più uno scambio economico, ma uno scambio improprio: quello scambio in cui non entrano in gioco valutazioni di utilità e convenienza economica.
A monte di questo scambio operato dal LMM c’è la valorizzazione sociale delle eccedenze e degli invenduti agroalimentari e vede il coinvolgimento di due soggetti: le organizzazioni no profit e i donatori (che sono le imprese commerciali). A questo punto, il valore del bene cambia e passa da economico-commerciale a socio-assistenziale. Dunque, mentre la destinazione finale (consumo alimentare) e il tipo di bisogno che soddisfa (fame) rimangono uguali, il bene eccedente cambia:
natura (perché diventa un bene socio-assistenziale e relazionale) valore (non più economico, ma sociale)
uso (perché destinato ai consumatori senza potere d’acquisto) atto (perché non viene venduto, ma donato)
L’obbligo principale che fa capo all’intermediario dell’operazione di scambio ossia il LMM è che si assume la responsabilità di garantire da un punto di vista igienico-sanitario i beni alimentari dal momento in cui gli vengono donati al momento in cui deve donarli a sua volta. Allo scopo entra in gioco il sistema di autocontrollo basato sui principi di HCCP che la normativa italiana obbliga ogni operatore del settore agroalimentare ad avere.
Nel sistema locale dove opera il LMM si ibridano due logiche di scambio:
o la prima che si fonda su un doppio servizio: da impresa ad intermediario ( azione che può prevedere un corrispettivo necessario e sufficiente pagato dall’impresa al LMM per il sostenimento economico dell’azione) e da intermediario a ente no profit (a titolo assolutamente gratuito).
o La seconda sul triplo dono, che tesse relazioni fra gli individui i quali sono legati tra loro da una serie di scambi non spersonalizzati in grado di rafforzare il senso di comunità e di sopperire alle deficienze di un welfare lacunoso.
Nel giugno 2001 il LMM da idea teorica diventa ufficialmente un’associazione Onlus e a presiederla è Luca Falasconi, il primo ad effettuare una ricerca su ciò che accade nella grande distribuzione e ad ipotizzare ciò che potrebbe accadere se si riuscisse a recuperare tutto quello che viene scartato.
Nell’agosto 2003 è nata, da una costola della stessa associazione, la cooperativa Carpe Cibum, che meglio riflette la natura imprenditoriale del progetto e che integra l’attività della stessa associazione.
Di recente la cooperativa si è trasformata in una S.R.L. (Società a Responsabilità Limitata) cove lavorano cinque persone con funzioni ben precise, riguardanti soprattutto le operazioni di informazione, comunicazione e formazione (la formazione viene fatta ai dipendenti degli ipermercati preposti alla selezione dei prodotti invenduti, mansione che in precedenza poteva essere svolta anche da un volontario dell’associazione LMM). Il Last Minute Market rappresenta un mercato alternativo, un non mercato nel mercato, come si è detto precedentemente, e riproduce una forma peculiare di consumo critico per più motivi: innanzitutto perché agisce contro lo spreco alimentare inventando un nuovo circuito di circolazione delle merci; in secondo luogo perché le associazioni di volontariato, diventando i destinatari di questo surplus, contribuiscono a immettere una domanda di eticità nel mercato. Per questa ragione, mi è sembrato un esempio più che pertinente di consumo responsabile da inserire a pieno titolo tra le ricerche sul consumo critico.