IL CONSUMATORE COME HOMO SENTIENS
5.2 IL RUOLO DELLE EMOZION
"Le emozioni hanno un carattere particolare da cui non può fare astrazione chi si occupa della vita sociale dei suoi simili" (Lucien Febvre, storico francese)
Come accennavamo, l'interesse della sociologia per l’elemento irrazionale caratterizzato, appunto, dalle emozioni è recente. Nel corso della storia è stato dato via via sempre più rilevanza all'elemento razionale e ciò ha comportato l'emergere di una dicotomia tra pensiero e sentimento ancora più marcata, dando luogo a quel dualismo tra logos e pathos nell'uomo come elementi inconciliabili tra loro.
Già nell'antica Grecia, i filosofi tendevano a stigmatizzare le emozioni come malattie ed elementi disturbanti. L'emozione era percepita come sinonimo di passione (più avanti vedremo, invece, che sono due categorie concettuali connotate da elementi di differenziazione) e soprattutto come incapacità di controllare la realtà. Questa scissione tra ragione e sentimento è stata il fondamento della cultura moderna, tant'è che il famoso Cogito ergo sum cartesiano, eleva il pensiero a principio unico e sufficiente a determinare l'essere.
L'inizio dell'attenzione della scienza nei confronti delle emozioni si può far risalire all'ascesa della psicologia, disciplina votata all'esplorazione del mondo interiore. La psicanalisi, in particolare, ha posto al centro dell'analisi le emozioni quali elementi fondanti della personalità, determinanti nelle scelte e nei comportamenti e perfino nell'evoluzione del pensiero. Tuttavia anche queste scienze dedicate all'introspezione della mente e dei sentimenti hanno riscontrato non poche difficoltà nella definizione e nello studio delle emozioni fino a che negli anni Cinquanta molti studiosi si pronunciarono favorevoli alla soppressione dello studio delle emozioni in quanto elementi ambigui e destabilizzanti.
"Le emozioni erano considerate dagli psicologi comportamentisti stati interni che non si potevano osservare in modo affidabile ed erano pertanto escluse dal campo della psicologia scientifica" (Sentimenti passioni, emozioni. Le radici del comportamento sociale. Bernando Cattarinussi. Franco Angeli, Milano, 2006. Pag. 12)
Negli anni Sessanta si assiste ad un rinnovato interesse per il mondo controverso delle emozioni sia dal punto di vista teorico e sia dal punto di vista empirico e negli anni Ottanta finalmente anche la sociologia si affaccia allo studio dei sentimenti. Questo coinvolgimento scientifico scaturisce da una
nuova consapevolezza: si riconosce, infatti, l'incidenza delle emozioni e dei sentimenti nel nostro legame con le cose e con le persone, modificando i nostri comportamenti ancor prima di qualsiasi pensiero razionale. Gli esseri umani, in definitiva, non sono affatto motivati esclusivamente da interessi di natura razionale ed economica. La dicotomia emozione-ragione si appalesa nella sua arcaicità, le varie discipline si uniscono nello sforzo comune di superare questo rigido schema dicotomico e di comprendere il ruolo cognitivo e comunicativo delle emozioni. Questa necessità si può riassumere nelle parole dello psicologo e giornalista statunitense Daniel Goleman, autore de "L'intelligenza emotiva", in cui afferma che l'intelligenza emotiva viene prima di quella razionale e rappresenta il primo contatto tra due persone. Ognuno di noi mischia continuamente acuità emotiva ed intellettiva perché nessuna delle due intelligenze potrebbe funzionare da sola (ivi, p. 14).
Da sottolineare che la scoperta della rilevanza del fattore emotivo nelle scienze sociali non significa contrapporre il paradigma razionale a quello emozionale, ma semplicemente di integrare la ricerca ottenendo un quadro più esaustivo dei comportamenti sociali. E' per questa ragione che anche nel mio lavoro di tesi ho deciso di ricorrere, seppur in via marginale, alla sociologia delle emozioni, proprio per raffinare la descrizione che ruota intorno al comportamento dei consumatori critici le cui scelte, nella più ampia categoria dei consumatori, si contraddistinguono in particolare per connotazioni afferenti alla sfera introspettiva.
Allo scopo di rendere maggiormente comprensibile come la sociologia delle emozioni interviene nella definizione della dimensione umana nella sua interezza, è opportuno approfondire le categorie concettuali a cui si rifà questa giovane e particolare branca della sociologia.
Anzitutto, è necessario chiarire la differenza tra emozione, sentimento e passione118. L’emozione è
la reazione affettiva dell’individuo a stimoli esterni, che coinvolge sia il corpo sia la psiche, per questa ragione si parla anche di intelligenza emozionale. Quando l’emozione è autentica, è al tempo stesso incontrollata e involontaria e fa da ponte tra l’individuo e tutto ciò che è fuori dal suo sé. Non può esistere un’emozione solo pensata e vissuta nella corteccia celebrale. Pur essendo soggettiva e individuale, l’emozione si lega circolarmente al contesto socio-ambientale; infatti, essa modifica il nostro agire sociale, ma è contemporaneamente è innescata dal contesto socio-ambientale nel quale siamo immersi. In questo senso le emozioni inducono in ciascun uomo uno spunto di riflessione (azione) ma sono, al tempo stesso, una risposta alla riflessione (controreazione). È per questa ragione che l’emozione diventa strumento di conoscenza, proprio perché sedimenta nel nostro mondo interiore, modificandone sia la relazione intrapersonale sia quella interpersonale.
Il sentimento, invece, è una risonanza affettiva, ha carattere sociale, in quanto rivolto verso persone, animali, ideali. Esso ha un carattere più duraturo, storicizza l’emozione, perché, con il
sentimento, l’individuo traghetta dal “dominio della partecipazione” al “dominio dell’osservazione” (p. 30), da un coinvolgimento che è fatto spesso di turbamento e sconvolgimento, ad un avvolgimento più esterno che rende il sentimento uno strumento di comprensione del sociale. Il sentimento stabilizza l'emozione rendendola duratura nel tempo.
La passione, infine, non si fa ma si subisce, nel senso che l’individuo è come uno strumento nelle mani di un valore, di un ideale e da esso viene agito. La passione agisce quindi dinamicamente come strumento di mutamento sociale.
Sintetizzando, possiamo affermare che l'emozione ha un chiaro contenuto cognitivo e la funzione di orientare l'attenzione; è indicata da stati affettivi intensi e di breve durata. Dobbiamo distinguere, inoltre, l'emotività dall'emozione, la prima, infatti, è intesa come sensibilità alle situazioni capaci di generare emozioni: emotivo è l'individuo facile a provare emozioni, emotigeno è lo stimolo in grado di indurre emozione.
I sentimenti, invece, sono caratterizzati dalla maggiore durata nel tempo e dalla minore intensità rispetto all'emozione (ad esempio, l'odio è un sentimento, mentre la collera è un'emozione); inoltre, sono più strutturati dal punto di vista cognitivo. Tuttavia, non è semplice delimitare il confine tra emozioni e sentimenti.
La passione, d'altro canto, è una tensione violenta al di fuori del controllo personale e sociale. A differenza dell'emozione che è passeggera, la passione è cronica e complessa e polarizza tutta la nostra attenzione attorno ad un unico oggetto.
A queste tre categorie concettuali, se ne aggiunge una quarta che è quella dell'umore o degli stati d'animo (Cattarinussi, 2006). Potremmo paragonare l'umore ad un sentimento o un'emozione di intensità relativamente bassa e durata relativamente lunga. Ad alcuni stati d'animo corrispondono altrettante emozioni (ad esempio, alla rabbia corrisponde un umore irritabile, alla paura l'apprensione, alla felicità uno stato di euforia). Lo stato d'animo è uno stato affettivo, insomma, che può durare a lungo ed è strettamente legato alle emozioni.
Le ricerche di sociologia delle emozioni possono essere divise secondo due tipi di orientamento: positivista o antipositivista. Per i positivisti le emozioni hanno un'origine fisiologica (almeno quelle primarie - rabbia, paura, gioia) immutabili ed universali. Si ravvisano inizi di una sociologia delle emozioni nelle opere di Tonnies, Veblen e Scheler, ma anche in Durkheim e Halbwachs, Pareto, Weber, Simmel, Parsons, McIver, Lynd, Wright Mills e Goffman. Veblen, ad esempio, in riferimento al tema dei consumi che è, appunto, il tema di questo lavoro di tesi, fondava il concetto di classe agiata su un complesso gioco di sentimenti (superiorità ed inferiorità, emulazione e imitazione) incidenti sui comportamenti collettivi.
Ma è con Simmel che la sociologia delle emozioni comincia a strutturarsi in maniera più organica attraverso il concetto di coscienza. Innanzitutto, Simmel intreccia la filosofia con la psicologia. La filosofia non può, secondo Simmel, essere disgiunta dalla psicologia. Ogni visione del mondo si lega alla vita degli individui e muta con il mutare di questa. La stessa filosofia non è oggettiva, ma esprime un tipo di reazione dell'individuo ai problemi della comunità di cui fa parte: è un "tipo", cioè un modello né individuale né universale, ma dotato di universalità personalizzata, tradottasi nella specificità della persona di un filosofo. Non esiste, quindi, una verità assoluta: ad esempio, la proposizione "tutto cambia", "tutto evolve", si evolve essa stessa. Occorre quindi abbandonare ogni pretesa di trovare un fondamento ultimo della scienza, la conoscenza scientifica è relativa, non assoluta119.
Per quanto riguarda gli approcci contemporanei, la sociologia delle emozioni si fonda su alcuni assunti:
1) le emozioni si costituiscono socialmente;
2) le emozioni sono attivate dalle relazioni che si instaurano;
3) Ogni società ha proprie regole su quali emozioni siano accettabili e come esse debbano manifestarsi;
4) le emozioni e le loro espressioni cambiano nel corso della storia; 6) le emozioni hanno un'importante azione cognitiva.
L'interesse della sociologia per le emozioni possiamo farlo risalire precisamente intorno agli anni Settanta, quando si mettono in discussione i fondamenti stessi della sociologia e si comincia a pensare che le emozioni non giocano un ruolo residuale e socialmente irrilevante nella condotta degli attori sociali. I sentimenti vengono considerati fondamentali per i processi di socializzazione, per la tenuta di un'organizzazione sociale. Negli anni Ottanta nasce negli Stati Uniti la sociologia delle emozioni, la quale tenta di delineare il profilo e il ruolo di un attore emozionale.
Le ricerche di sociologia delle emozioni si dividono, come abbiamo accennato in precedenza, secondo due orientamenti: positivista o antipositivista. Il primo considera le emozioni, almeno quelle primarie (rabbia, paura, gioia) fisiologiche e immutabili in quanto evocate da stimoli sociali precisi. Per i positivisti, quindi, le emozioni sono variabili misurabili e prevedibili determinate da stimoli sociali precisi. I positivisti decantano l'approccio interculturale ed esaminano l'associazione fra emozioni e categorie sociologiche quali la classe sociale, il genere, l'etnia.
Per gli antipositivisti le emozioni si costituiscono differentemente secondo i mondi sociali e culturali di appartenenza e sono in continuo mutamento. L'approccio costruzionista e quello interazionista fanno parte del più ampio approccio antipositivista. Essi sostengono che la cultura
delle emozioni viene appresa come norme e valori all'interno del sistema di orientamento e conoscenza nel quale siamo immersi e che quindi le emozioni varino da un'organizzazione sociale all'altra.
In genere si individuano sei approcci sociologici allo studio delle emozioni e dei sentimenti.
L'approccio funzionalista: secondo questa prospettiva il comportamento emotivo innato di cui fa parte l'espressione facciale, può aver avuto origine dall'evoluzione in senso darwiniano in virtù del suo valore funzionale all'adattamento per la sopravvivenza della specie. In sostanza le emozioni segnalano all'individuo un evento che può essere di suo interesse. Per Darwin tre principi hanno presieduto allo sviluppo delle emozioni: 1) il principio di utilità che trasforma l'espressione in abitudine, ad esempio la smorfia di rabbia dell'uomo trova il suo diretto corrispondente nell'animale che digrigna i denti. Da questo punto di vista uomini e animali sono fortemente imparentati poiché condividono emozioni di paura, rabbia, curiosità e abbattimento. 2) Il principio di opposizione (emozioni antagoniste inducono comportamenti opposti), 3) il principio dell'azione diretta (comportamenti precostituiti dal punto di vista nervoso). Le emozioni, insomma, hanno la funzione principale di comunicare qualcosa e preparano il corpo ad agire in determinate situazioni. La varietà delle mozioni è il risultato delle diverse forme di adattamento all'ambiente.
L'approccio positivista, secondo l'approccio positivista di Kemper l'uomo ha ereditato filogeneticamente delle emozioni primarie (paura, gioia, collera e depressione) utili a fini adattivi. Queste emozioni primarie sono evocate universalmente da due dimensioni dei rapporti sociali: il potere e lo status. Un potere adeguato genera sicurezza, inadeguato sviluppa ansia, un potere eccessivo sensi di colpa. La paura emerge quando c'è un dislivello di potere. La rabbia emerge quando uno status atteso viene negato o ritirato. La depressione è legata ad una perdita di status quando il soggetto si sente responsabile della perdita.
L'approccio dello scambio sociale, questa prospettiva interpreta le emozioni come reazioni psicologiche a specifiche interazioni sociali. La struttura sociale causa emozioni secondo il condizionamento stimolo-risposta conferendo però, così una dimensione troppo razionale all'emozione ed escludendo il concetto di emozione spontanea. Questo modello di emozione è stato delineato nelle opere di Homans e Blau.
L'approccio conflittuale, La teoria conflittuale delle emozioni è presente nelle opere di
Cooper e Collins, secondo i quali le emozioni scaturiscono all'interno di gruppi e classi
potere. Quindi, l'emozione ha natura biologica, ma il suo uso è funzionale e reso razionale nelle lotte per il potere Tutto questo assume, ovviamente, una dimensione collettiva.
L'approccio interazionistico, nell'interazionismo simbolico si opera una distinzione tra emozioni biologiche e i sentimenti sociali, i quali non sono fissati nella natura biologica umana. Le emozioni vengono quindi amministrate e guidate da regole sociali implicite e condivise costituendo una rete normativa di aspettative di cui la gente tiene conto. Le emozioni sono frutto dell'interazione sociale, variano a seconda del contesto sociale e culturale a cui si appartiene e risentono anche del trascorrere del tempo, per cui sono in continuo mutamento. Le emozioni sarebbero, dunque, insiemi di risposte prescritte socialmente, a cui le persone devono adeguarsi. Goffman sostiene che amministrando le impressioni che gli altri si fanno di noi, facilitiamo i nostri fini. Spesso però ciò implica sentimenti non autentici.
L'approccio costruttivista, Per il costruttivismo le emozioni non sono risposte naturali, ma schemi di determinati dal contesto sociale. Averill definisce le emozioni come sindromi socialmente costituite o anche ruoli sociali transitori. In prativa, le emozioni sono sindromi complesse il cui significato e la cui funzione possono essere spiegati soltanto se teniamo conto del sistema sociale di cui fanno parte. Definire l'emozione come una sindrome significa eliminare il carattere di unitarietà e riconoscere la pluralità di risposte che una situazione sociale può generare. Secondo i costruttivisti le emozioni sono funzionali in quanto vengono costruite e prescritte ai fini del mantenimento e sostegno di un certo sistema di valori. Esempi di come un'emozione possa essere promossa e prescritta da determinati gruppi sociali sono la Germania nazista e la setta del Ku Klux Klan (odio generalizzato nei confronti degli ebrei e dei negri). In breve, secondo i costruttivisti le emozioni sono funzionali in quanto vengono costruite e prescritte socialmente ai fini del mantenimento di un certo sistema di valori.
Per i sociologi l'emozione non è un fenomeno meramente biologico o psicologico. Di sicuro origini e conseguenze dell'emozione hanno ricadute sociali che non si possono estromettere dall'analisi scientifica dei fenomeni. Fino ad oggi le ricerche micro e macro hanno indicato che le esperienze emozionali sono significativamente influenzate dai fattori sociali ed è quello che ha parzialmente colto anche nel mio lavoro di ricerca empirica. Visto che le passioni richiedono condivisione, partecipazione e un orizzonte di valori comuni, un'azione collettiva come quella del consumo critico non può non essere posto sotto la lente emozionale. A maggior ragione, nel caso specifico dei consumatori critici individuali non strutturati, i quali si rendono parte di un'azione collettiva pur agendo individualmente, credo che sia ancora maggiore l'incidenza emozionale che spinge gli attori
sociali ad orientarsi verso un consumo responsabile. La sociologa Marchetti a proposito degli aspetti macro dell'agire sociale afferma:
"Il modello emozionale è in grado di spiegare determinate manifestazioni dell'agire collettivo, quali la cooperazione e il volontariato, che non rientrano nelle capacità esplicative del paradigma razionale e di quello normativo" (Cattarinussi., p. 62).
Ritengo che i comportamenti di consumo critico già spogliati dalle motivazioni utilitaristiche ed economicistiche debbano trovare anche una spiegazione emozionale che meglio racconti l'origine e l'evoluzione di questo particolare atto di consumo. Che si tratti di azione politica dentro al mercato come sostiene Bauman o di tattiche di resistenza detta alla De Certeau, possono emergere fattori emozionali che determinano questi comportamenti controcorrente e di nicchia, come ad esempio la forte componente nazionalistica, o meglio, autonomistica, dei consumatori della Galizia da me esaminati.