• Non ci sono risultati.

L’INDIVISUS OLISTICUS NEL POLITEISMO ALIMENTARE

IL CONSUMATORE COME HOMO SENTIENS

5.4 L’INDIVISUS OLISTICUS NEL POLITEISMO ALIMENTARE

“Il mondo che percepiamo è il mondo di cui siamo responsabili, poiché in esso agiamo ed esso emerge con la nostra azione, ogni azione da cui emerge un mondo è conseguenza del nostro modo di essere al mondo”.

(Osvaldo Pieroni)133

Nella più rosea delle visioni, possiamo vedere come i comportamenti socialmente orientati di consumo critico contribuiscano a generare la figura di un uomo nuovo, simbolo del superamento dell'era Moderna e Postmoderna. E l’In-divisus Olisticus (Cattaneo, 2010) ossia di un uomo che rifiuta gli schemi dualistici che vogliono relegarlo o nel regno del consumo eterodiretto o in quello della piena autonomia decisionale. L'individuo olistico supera il razionalismo positivistico e il relativismo postmoderno ponendo fine a quelle contraddizioni che limitano la comprensione del nuovo consumatore critico e dando vita ad un sorprendente equilibrio simbiotico. L'Individuo Olistico concentra nell'unità la molteplicità. Il nuovo consumatore ha anzitutto acquisito la consapevolezza che gli eventi che si verificano in qualsiasi parte del mondo hanno delle ripercussioni ovunque come il famoso butterflyeffect134. A questa prima consapevolezza se ne aggiunge una seconda: l'individuo comprende di essere interdipendente sia da fattori endogeni (istinto di sopravvivenza, ricerca della felicità, ecc...) sia da fattori esogeni (tutto ciò che non proviene dal mondo interpersonale e che è stato amplificato dalla globalizzazione degli ultimi decenni).

Entrambe le consapevolezze hanno modificato il modo di pensare e di agire degli attori sociali sia egocentricamente (Me), cioè nei confronti di se stesso, sia empaticamente (il Mio Mondo), ossia verso gli altri e sia olisticamente, verso il kosmos in generale (il Mondo). In questo quadro così delineato, l'individuo si ritrova a riconnettere in un'unica nuova narrazione la propria visione del mondo facendo appello a quegli aspetti da sempre trascurati o messi al bando dal mondo accademico e dalle scienze in generale, quali l'intuito, la creatività e le emozioni guardati con tanta ostilità dai razionalisti positivisti. Siamo di fronte ad un consumatore orientato in senso olisitico con una percezione della realtà multidimensionale e pluritemporale. Cattaneo afferma:

"Disincantato nel suo pragmatismo l'individuo è, tuttavia, reincantato da un fresco nucleo di valori che subentrano ai precedenti scongiurando le ipotesi di un futuro anomico, amorale e privo di etica e morale o, nel migliore dei casi, affidato a piccole narrazioni, opinabili, soggettive, occasionali" (Cattaneo, 2011, p. 189).

      

133 O. Pieroni, Ambiente, corporeità, società, Oltre il dualismo per una teoria della relazione, in Sociologia e Ambiente, 

Atti del IV convegno nazionale dei sociologi dell’ambiente, Torino, 19‐20 Settembre 2003, p. 7. 

134Effetto  farfalla è  una  locuzione  che  racchiude  in  sé  la  nozione  maggiormente  tecnica  di dipendenza  sensibile  alle 

condizioni  iniziali,  presente  nella  teoria  del  caos.  L'idea  è  che  piccole  variazioni  nelle  condizioni  iniziali producano 

Siamo di fronte ad uno shift epocale in cui l'empowerment del consumatore ha modificato fortemente il rapporto con la produzione e non solo e in cui va plasmandosi, nella più ottimista delle ipotesi, un mainstream, cioè una tendenza dominante, fondata su due macrovalori:

 il Wellthiness, composto a sua volta da benessere, salute e felicità. Il benessere è inteso non come ben-avere ma come esperienza olistica che attinge a più campi vitali, interiori ed esteriori all'individuo, da quello psicologico all'emozionale, dal relazionale al sensoriale. La salute assume anch'essa una connotazione olistica in quanto non è più concepita come cura del proprio corpo, ma più ampiamente sia come valore primario a cui ambire modificando il proprio stile di vita e sia come target utile ad una migliore convivenza sociale: la salute di ciascuno dipende dalla salute globale e viceversa. In ultimo, la felicità, viene anch'essa concepita in senso olistico rifacendosi all'antico nozione greca di eudaimonia135. E' una felicità non edonistica e autocentrata, ma solidale, relazionale, filantropica, il trarre felicità dal dono della felicità stessa. La qualità di vita del singolo, insomma, non può più essere indipendente da quella altrui. Del resto, questa tendenza dell'uomo nel concorrere alla produzione di felicità è testimoniata anche scientificamente: monitorando i segnali cerebrali di chi decide di essere generoso, di fidarsi dell'altro, si è scoperto che le aree di attivazione del cervello sono uguali a quelle di chi riceve un atto di generosità. C'è una soddisfazione cerebrale nel donare, nel procurare piacere in senso lato che si ritrova nelle radici biologiche della natura umana:

      

135La parola greca eudaimonia  correntemente tradotta con "felicità", indica uno stato di benessere che comprende sia 

la soddisfazione personale dell'individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Nell'etimologia della parola è implicita 

l'idea che un buon daimon abbia presieduto all'assegnazione del mio destino, in una sfera più ampia delle sensazioni  personali:  la  mia  sorte  ha  a  che  vedere  con  la  mia  collocazione  nel  mondo,  e  non  solo  con  il  mio  umore,  o  con  i  divertimenti della vita privata. Per questo, come spiega Solone a Crespo nel racconto tramandato da Erodoto (I, 21‐ 45),  non  si  può  dire  di  nessuno  che  sia  felice,  se  non  dopo  che  ha  concluso  felicemente  la  sua  vita.   Nell'etica antica, l'eudaimonia è il bene supremo, quello che vale la pena perseguire per se stesso: ma il benessere in  essa  implicito  è,  in  sostanza,  un  buon  rapporto  con  il  mondo.  Una  felicità  esclusivamente  privata  sarebbe  stata  percepita come una sorta di “felicità degli idioti”. Quando Socrate afferma che chi subisce ingiustizia è meno infelice di  chi la commette, sta dicendo che la persona ingiusta, rispetto alla sua vittima innocente, ha un rapporto peggiore con 

il  mondo.  

Nel  mondo  moderno,  quando  si  parla  di  felicità,  si  intende  per  lo  più  la  semplice soddisfazione  individuale:  nella  nostra  prospettiva,  ragionare  come  Polo  non  sarebbe  scandaloso,  perché  la  nostra  "felicità"  non  dipende  in  primo  luogo  dalla  nostra  "distribuzione"  nel  mondo,  ma  dal  modo  in  cui  ci  sentiamo.  Kant,  per  esempio,  tratta  la  felicità  come un'idea i cui contenuti sono empirici e soggettivi: per questo motivo, non si può assumere la felicità come punto  di  partenza  per  stabilire  quale  sia  la  corretta  assegnazione  e  collocazione  degli  individui  nel  mondo;  occorre  invece  trovare  una  legge  morale  razionale  che  possa  valere  per  tutti  gli  esseri  liberi,  a  prescindere  dalle  loro  sensazioni  e  opinioni sul piacere. Il problema della felicità, nel senso moderno di soddisfazione personale, si potrà porre solo una  volta risolto il problema della corretta collocazione dei soggetti morali nel mondo. Per questo Kant distingue l'uomo  virtuoso, cioè colui che fa il suo dovere e si rende degno di felicità, dall'uomo per il quale si realizza il sommo bene,  ossia la persona virtuosa che ottiene tutta la felicità che merita. La mia corretta collocazione nel mondo non comporta  necessariamente la mia soddisfazione personale: io potrei anche fare il mio dovere senza ricavare la soddisfazione  che merito. (http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/felix.htm) 

 la Natura, è un altro dei grandi valori emergenti. La consapevolezza di vivere su un mondo finito ha allarmato gli ambientalisti che hanno gridato ad uno stile di vita frugale basato sulla sobrietà, richiamando quasi un ritorno al passato poco concretizzabile. La decrescita tanto acclamata e tanto fraintesa, non ha avuto riscontro pratico che ci si aspettava nella realtà. Tuttavia, un inaspettato effetto serendipity materializzatosi con l'inflazione dei beni alimentari, ha riposizionato le priorità degli individui in una nuova scala di valori. Gli attori sociali cercano il risparmio senza rinunciare alla qualità e, quindi, si riversano nei mercati locali, ricercano il rapporto diretto con i produttori, riscoprono l'autoproduzione che illumina nuovamente le menti da quella oscurazione percettiva della natura (Pieroni, 2003). Se anche questa immagine dell'uomo rinnovato empaticamente, intriso di qualità etico-morali, rinato nella spiritualità, nella consapevolezza di sé e degli altri fosse solo una nostra fantasia, l'uomo egocentrico ed individualista non potrebbe più ignorare temi che fino a poco fa cadevano nell'indifferenza più totale e questo perché trascurarli significherebbe non poter raggiungere comunque un certo livello di benessere, salute e felicità. Gli OGM, il buco dell'ozono, la desertificazione sono spade di Damocle anche sopra la sua testa che intimano una certa preoccupazione nei confronti del mondo, modificando di conseguenza i suoi pensieri prima dei suoi comportamenti.

“Oggi il consumo sembra essere ammantato quasi dal desiderio di una scelta consapevole di certo non dettata da un ritorno all’altruismo disinteressato, ma determinato da una forma di interesse lungimirante. Ovvero un interesse che inevitabilmente deve portare a un’attenzione alla comunità per poter ancora godere di una felicità narcisistica personale. Il benessere personale non può più travalicare quello del contesto che ci circonda. Ovviamente non si tratta di prospettare uno scenario di austerità, si tratta di rivolgere l’attenzione al fatto che la ricerca dell’equilibrio economicamente sostenibile tra desideri e modelli di sviluppo sarà uno dei temi forti della società dei consumi di domani” (Russo, 2011, p. 43).

Analizzando il passaggio dalla società della scarsità alla società dell’abbondanza, possiamo riscontrare cambiamenti notevoli nei consumi alimentari, a cominciare proprio dall’illusione di aver ottenuto una più ampia e flessibile scelta dei cibi rispetto al gusto. Infatti, non solo il ventaglio di scelta risulta fortemente ridimensionato a causa, sia di un’omologazione dei prodotti e sia di un disorientamento del consumatore, provocato dall’eccessiva e confusionale promozione delle merci sul mercato; ma, nel passaggio dalla povertà alla ricchezza, si registra, secondo alcuni recenti studi, un’inversione di tendenza dei gusti nell’ottica sociale: l’oggetto del desiderio non è più il cibo abbondante, ma quello raro (Montanari M., 2004). I motivi di distinzione sociale, infatti, si sono modificati continuamente nel tempo nel momento in cui un prodotto diventava maggiormente

disponibile sul mercato e, di conseguenza, più accessibile anche per le fasce meno abbienti. È storicamente dimostrabile come l’abbondanza di cibo per tutti, rovescia anche i modi di consumo del cibo. Mentre in passato si ostentava la ricchezza con il desiderio di quantità sempre maggiori di cibo sulle tavole dei panciuti signori di corte, con la rivoluzione dei consumi imposta dalla logica industriale di produzione, è la magrezza a incarnare il nuovo status symbol delle élites. L’antica abitudine di abbuffarsi appartiene, ormai, alla cultura popolare, pertanto si rilancia già a partire dal Settecento, la figura dell’uomo borghese snello e produttivo.

Tuttavia, come afferma Montanari “l’abbondanza di cibo tipica delle società industriali postmoderne pone problemi nuovi e di difficile soluzione a una cultura storicamente segnata dalla fame e dal desiderio di mangiare molto: atteggiamenti e comportamenti ne restano condizionati e l’irresistibile attrazione all’eccesso, che una millenaria storia di fame ha impresso nei corpi e nelle menti, a questo punto comincia a colpire ”.

Le malattie legate all’eccesso di cibo diventano un fenomeno di massa. Logoriamo il nostro fisico non solo attraverso l’esagerazione delle quantità, ma anche col peggioramento della qualità del cibo, come ad esempio, il cosiddetto junk food “cibo spazzatura. La fear of obesity sembra sostituire l’atavica paura della fame. Da sottolineare che, tale visione di opulenza, riguarda in particolare le società occidentali, che ancora risentono degli effetti positivi e negativi legati alla rivoluzione industriale e alla modernizzazione. E’ in un’ottica globale, dunque, che si inserisce il problema dell’alimentazione, concepita sia come denutrizione (ossia vera e propria carenza quantitativa di cibo), e sia come malnutrizione (ovvero carenza qualitativa di cibo che può essere conseguente alla denutrizione stessa o ad un eccesso di cibo). In Italia ben quattro italiani su dieci (43%) risultano sovrappeso o addirittura obesi (11%), con una netta prevalenza degli uomini rispetto alle donne. Le malattie collegate direttamente all’obesità sono responsabili di ben il 7% dei costi sanitari dell’Unione europea, poiché l’aumento di peso è un importante fattore di rischio per molte malattie come i problemi cardiocircolatori, il diabete, l’ipertensione, l’infarto e certi tipi di cancro. Sulla base dei dati della Commissione europea, le spese socio-sanitarie correlate all’obesità in Italia sono stimate in circa 23 miliardi di euro annui, per più del 60% dovute all’incremento della spesa farmaceutica e ai ricoveri ospedalieri.

Riprendendo le teorie di Massimo Montanari sulla cultura e sul cibo si perviene ad una conclusione simile. Si registra una diacronia dovuta al fatto che ci si muove nell’epoca dell’abbondanza con una struttura mentale modellatasi nel corso del tempo sulla carestia e sulla fame.

Per questa ragione, una delle sfide culturali dei nostri tempi è proprio quella di ricostruire comportamenti alimentari che tengano conto delle mutate condizioni di produzione del cibo, dell’oscurità percettiva che ha provocato una disconnessione tra la nostra conoscenza della natura e

degli alimenti e il loro consumo, delle sperequazioni economiche le quali continuano a generare disparità sociali, della necessità di garantire un consumo di qualità che tenga conto di una più equa redistribuzione della ricchezza. Oggi si parla di politeismo alimentare. Da un rapporto datato 2010 di Censis e Coldiretti sulle abitudini alimentari degli italiani, risulta una forte tendenza a prediligere la varietà nei consumi, tanto da parlare di “politeismo alimentare”, inteso come volontà degli individui a diversificare sempre più la loro dieta, generando combinazioni soggettive di alimenti e di luoghi di acquisto, che neutralizzano ogni ortodossia alimentare. Da evidenziare che la crisi recente ha rinforzato questa dinamica dei comportamenti sociali. Il rapporto con il cibo passa sempre più attraverso una dimensione soggettiva, espressione dell’Io che decide e che, a partire dalle proprie preferenze, abitudini, prassi e aspettative, nonché dalle risorse di cui dispone, definisce il contenuto del carrello e della tavola, tanto da poter dire che il modello alimentare prevalente è in realtà un patchwork di opzioni che spesso, in linea di principio, possono anche apparire contraddittorie. Ad esempio: tra le persone che dichiarano di acquistare regolarmente prodotti Dop e Igp, (comportamento che denota grande attenzione alla qualità) una quota non lontana da un terzo acquista regolarmente anche cibi precotti, addirittura più di due terzi acquistano regolarmente scatolame, e oltre tre quarti surgelati; tra coloro che acquistano regolarmente prodotti dell’agricoltura biologica, circa tre quarti acquistano anche surgelati, circa due terzi anche scatolame, e una percentuale simile prodotti con marchio del distributore; tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio equo e solidale, una nettissima maggioranza acquista i prodotti a marchio commerciale del distributore, oltre tre quarti acquista prodotti surgelati e oltre due terzi scatolame. Addirittura si recano presso i fast-food: il 27% degli acquirenti abituali di prodotti del commercio equo e solidale, il 26,7% degli acquirenti abituali di frutta e verdura da agricoltura biologica, il 22,6% degli acquirenti di prodotti Dop e Igp, e il 21,6% di coloro che acquistano direttamente dal produttore. Questo atteggiamento eterodosso, quasi anarchico, sottende però una linea di principio: quella di ricercare il punto di first best tra qualità, sicurezza e prezzo, tendendo conto della responsabilità sociale e ambientale che comporta ogni atto di acquisto e il rapporto tra cibo e territorio in virtù del riconoscimento di un’identità territoriale delle produzioni .

A questo, punto si potrebbe affermare che, ad oggi, la raffinatezza e la sofisticazione culturale, distintive del cosiddetto “buon gusto”, si riconducono principalmente all’esperienza della maggior varietà possibile di cose. Tale varietà consentirebbe di tenersi al passo con il numero più ampio possibile di gruppi sociali, accrescendo così le proprie chances di essere riconosciuti come persone esteticamente competenti e di “buon gusto”. È ovvio che coloro che dispongono di un grado non elevato di combinazione tra capitale economico, sociale e culturale, riscontreranno maggiori difficoltà nel raggiungere la cima del politeista alimentare, perché le loro pratiche di consumo

culturale sono nel complesso più ristrette. Così ragionando, c’è da chiedersi se è del tutto vero che il controllo della varietà funziona come una strategia di formazione del capitale simbolico, idoneo alla riproduzione delle differenze sociali e se, in questa varietà, è possibile rintracciare un filo logico del gusto in un più ampio e complesso contesto storico sociale.

Questa appena accennata potrebbe essere una prima lettura del politeismo alimentare. Una seconda lettura, invece, potrebbe giungere da un recente studio effettuato dalla Millward-Brown dal titolo “Le crisi e le nuove logiche di consumo”. Il modello di analisi è quello di Ideablog che permette l’analisi dei vissuti di un panel internazionale di consumatori attraverso lo studio dei contenuti di ciò che viene riportato on line in una sessione di discussione on line su stimolo specifico. Lo studio interessa più Paesi (Italia, Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda, Repubblica Ceca, Polonia, Portogallo, Romania, Turchia) per comprendere principalmente qual è la loro percezione della crisi in base alla loro specificità culturale e all’ordine strutturale ed economico. Alcuni, ad esempio, prevedono un peggioramento della crisi, altri un miglioramento; la Romania e la Polonia vedono la crisi come qualcosa che attiene altri contesti, come se fosse una crisi proveniente dall’esterno, precisamente dall’Ovest; Spagna e Turchia, invece, percepiscono la crisi come qualcosa di interno che ha attaccato il salario e l’occupazione. In Italia, la situazione appare ancora più complicata: accanto alla recessione economica, gli italiani avvertono anche una crisi sociale e personale strettamente collegata a quella economica. L’immaginario collettivo italiano fa coincidere la crisi economica con la crisi morale e istituzionale: corruzione, malaffare in politica, concussione, truffe fiscali diventano parte della quotidianità affiancate da continue crisi istituzionali. Tutto ciò produce maggiore smarrimento, aggressività ed ansia diffusa, nonché minore solidarietà. Da questo quadro, la ricerca fa categorizza tre tipologie di consumatori che, in parte, si rifanno a quel politeismo alimentare accennato in precedenza:

• la prima categoria è quella riassumibile nella frase “lo stesso meno!”, in cui i consumatori tendono alla sobrietà, ma senza mortificazioni, evitando sprechi e frequentando meno la GDO. • La seconda categoria corrisponde alla frase “lo stesso a meno”, si acquistano i prodotti che si compravano prima della crisi, ma si ricerca un costo minore e, dunque, approfondendo l’informazione su di essi.

• La terza categoria è quella dei “meno a più valore”, i consumatori si dirigono principalmente a prodotti ad alto contenuto simbolico anche sacrificando il tradizionale modo di fare la spesa con conseguente impatto sullo stile di vita.

In tutto questo discorso non bisogna dimenticare l’influenza che la globalizzazione ha sull’affermazione delle diverse tipologie di consumo in campo alimentare. Ad esempio, le

distinzioni etniche tendono a consolidarsi delle cucine etniche deriva in parte dall’uso che i migranti ne fanno nei Paesi di destinazione. Tuttavia, questi piatti etnici subiscono delle modifiche una volta adottati dai paesi ospitanti. Si trasformano le pietanze tipiche, ma si trasformano anche i gusti delle società di accoglienza. A tal proposito, Sassatelli scrive:

“Le tradizioni gastronomiche non sono del resto state semplicemente rimpiazzate dallo sviluppo dell’industria alimentare di massa, anzi si sta oggi assistendo a un vero e proprio boom della cucina etnica. (…). Le tradizioni etniche sono messe in gioco e reinventate mediante un processo di creolizzazione” (Sassatelli, 2004, p.217).

Il politeismo alimentare che imperversa e regna sovrano sulle tavole degli italiani, potrebbe rappresentare la deriva dei consumatori, sempre più disorientati e passivamente prigionieri dell’offerta del mercato; oppure potrebbe configurarsi come il preludio di una ritrovata identità alimentare, che tenga conto di tutti i fattori succitati e che sia capace di conferire un potere decisionale forte e chiaro di intenti alle scelte di consumo che operiamo ogni giorno.

Riprendendo la tesi della Cattaneo sulla figura del nuovo consumatore, dunque, è questo lo Zeitgeist136 che stiamo vivendo oggi, in cui l'In-divisus è il deus ex machina che dà senso ai propri

comportamenti, un vero e proprio con-sum-attore. "Con", perché è in relazione continua con gli altri anche e soprattutto grazie al network che permettono lo scambio di opinione e la presenza di informazioni sui prodotti non provenienti dal produttore, ma dall'esperienza del consumatore. La prospettiva relazionale del "CON" si esprime anche con il legame di appartenenza: appartenere ad