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L’HABITUS COME AGENTE DI CAMBIAMENTO SOCIALE

EVOLUZIONE NELLO STUDIO DEI CONSUM

3.3 L’HABITUS COME AGENTE DI CAMBIAMENTO SOCIALE

Visto il contributo notevole della teoria bourdesiana in questo lavoro di tesi, procedo in via preliminare ad esporre il pensiero di questo sociologo francese, primo studioso a segnare una rottura con l’originario pensiero produttivista, superando così la dicotomia produzione/consumo.

Pierre Bourdieu considera le scelte di consumo come la conseguenza dell’interazione tra tre tipi di capitale: economico, culturale e sociale. Egli, inoltre, sottolinea l’importanza dell’istruzione e

della cultura ai fini del consumo, in quanto la differenziazione si attua attraverso l’adozione di differenti stili di vita collegati ai gusti e alle preferenze culturali. La sua analisi presuppone la conoscenza di due concetti fondamentali: il campo e l’habitus. Il campo è una rete di relazioni oggettive tra posizioni. L’autonomia dei campi è relativa, poiché essi sono determinati dalle logiche di riproduzione dello spazio sociale di cui fanno parte; tuttavia, è da precisare che i campi sono strutturati storicamente, per cui devono essere studiati nell’ottica temporale come casi unici, la cui logica interna regola le influenze di altri campi e dello spazio sociale (omologie strutturali e funzionali tra i diversi campi). Quindi, le leggi invarianti (insieme di relazioni tra strutture relativamente stabili e durevoli, sono limitate nel tempo storico e nello spazio sociale. Riguardo alla posizione dei soggetti nel campo, è sostanzialmente il capitale posseduto che identifica la posizione degli individui all’interno del sistema.

La riproduzione del sistema delle relazioni sociali è analoga al funzionamento di un campo magnetico, la cui stabilità è assicurata dall’interdipendenza reciproca di forze che si attraggono e di forze che si respingono. Così il campo diventa campo di lotta in cui i soggetti con posizioni differenziate (agli estremi dominanti e dominati) entrano in conflitto per conservare o modificare la distribuzione del capitale specifico e, quindi, le loro posizioni ossia le leggi che legittimano questa stratificazione. Si può verificare una lotta che radicalizza il conflitto oppure può accadere che ci sia un’implicita accettazione delle norme e dei valori che definiscono la logica del campo48. Tuttavia, i conflitti comportano, in casi estremi, uno spostamento

dell’equilibrio; ciò significa che la struttura delle posizioni sociali è dinamica e soggetta a continue trasformazioni e questo conferisce al campo una malleabilità e un dinamismo storico. Pertanto, il campo non ha mai una forma definitiva poiché il punto di equilibrio è sempre il risultato di lotte precedenti, le quali vanno ricostruite per comprendere lo stato di equilibrio attuale. In effetti, Bourdieu paragona il campo ad un gioco, le cui regole non sono esplicitate. Le poste in gioco sono il prodotto della competizione tra i giocatori e i giocatori accettano di giocare perché accordano alla posta in gioco un credo, una convinzione che sfugge alla messa in discussione. La specie di capitale nel campo, può essere sia la posta in gioco, sia la carta da giocare per ogni individuo (carta vincente o meno a seconda del campo specifico in cui si gioca). La strategia del giocatore dipende non solo dal volume (quantità) e dalla struttura (valore) del suo capitale, ma anche dall’evoluzione nel tempo del volume e della struttura del suo capitale, cioè dalla traiettoria sociale e dall’habitus che si sono venuti a costituire nel

      

48  In  questo  caso  si  parla  di  complicità  ontologica  attraverso  il  concetto  di  doxa:  insieme  di  presupposti  di  senso 

rapporto prolungato con una certa struttura oggettiva di possibilità. Da sottolineare che i giocatori possono decidere di giocare sia per aumentare o conservare il loro capitale, sia per cambiare le regole immanenti del gioco attraverso le loro strategie.

Attraverso il concetto di habitus, invece, Bourdieu scopre come si costituiscono e sviluppano sia i comportamenti individuali che le strutture sociali; inoltre, spiega cosa rende regolare e prevedibile il comportamento soggettivo, senza ricadere in concezioni meccanicistiche. Secondo Bourdieu la presa di coscienza può produrre una trasformazione che consente di ridiscutere le disposizioni dei soggetti e spiega ciò attraverso il concetto di habitus definito come:

“sistemi di disposizioni durabili e trasferibili, di strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, ovvero, al contempo, come principi generatori e organizzatori delle pratiche e delle rappresentazioni che possono essere oggettivamente adattate agli scopi senza supporre la visione cosciente dei fini e la padronanza esplicita delle operazioni necessarie per raggiungerli, e come obiettivamente “regolate” e “regolari” senza essere il prodotto docile di quelle regole, e soprattutto collettivamente orchestrate senza essere il risultato dell’azione organizzatrice di un maestro d’orchestra49”.

L’habitus è dinamico e creativo e si temporalizza nell’atto stesso in cui si realizza. Esso è una matrice generativa storicamente costituita e socialmente variabile, che incorpora schemi storici derivati dalle generazioni passate (filogenesi), i quali vengono mobilitati attraverso la socializzazione (ontogenesi). Pertanto, l’habitus è costantemente rinforzato e modificato dalle esperienze della socializzazione che si accumulano nel corso della vita, non configurandolo, quindi, come un destino inevitabile, ma come sistema disposizioni durevoli non immutabili, incessantemente a confronto con esperienze nuove e da queste incessantemente modificato (Bourdieu, 1979). È alla luce di ciò che l’habitus può generare pratiche simili, diverse o anche opposte. Secondo Bourdieu la presa di coscienza può produrre una trasformazione che consente di ridiscutere le disposizioni dei soggetti. Questa presa di coscienza si ha a partire da due fattori principali: la struttura originaria dell’habitus e le condizioni oggettive del campo; la conoscenza di tali meccanismi può rivelarsi funzionale nel prendere le distanze dalle proprie disposizioni, in virtù di una nuova consapevolezza. Pratiche di consumo critico, frutto di una presa di coscienza da parte degli individui, contribuiscono a sedimentare strategie di lungo periodo, le quali rappresentano l’unico strumento in grado di compiere una riproduzione dell’ordine sociale in una dimensione temporale.

Gli habitus sono definiti come sistemi di disposizioni durabili e trasferibili di strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, cioè principi generatori e

      

organizzatori delle pratiche oggettivamente classificabili che sono, allo stesso tempo, principi di classificazione di queste pratiche (Bourdieu, 1979). Quindi, l’habitus è struttura strutturata perché i modelli interpretativi interiorizzati dagli individui, rimandano a specifici spazi sociali e tempi storici (coordinate spazio-temporali), e struttura strutturante poiché organizza le pratiche e la loro percezione. L’habitus è dinamico e creativo, socialmente variabile perché contiene in sé la capacità di generare in libertà controllata delle condizioni che hanno come limiti le condizioni storicamente e socialmente date dalla sua produzione e questo vuol dire che non è una riproduzione meccanica dei condizionamenti iniziali50. Lo spazio degli stili di vita si costituisce con l’habitus ossia con la capacità di produrre pratiche classificabili e con, al tempo stesso, la capacità di differenziare e valutare pratiche e prodotti attraverso il gusto51; quindi, le scelte estetiche rientrano nell’insieme delle scelte etiche che sono costitutive dello stile di vita. Il gusto, allora, si prefigura come strumento di potere, più che come strumento di conoscenza, in quanto è implicato in sistemi classificatori e promuove la naturalizzazione delle arbitrarietà52. Gli individui non possono modificare la prima inclinazione dell’habitus, ma possono modificarne la seconda, cioè quella parte di forza che diamo a quella situazione che esercita una forza su di noi: il cambiamento della percezione di una determinata situazione con cui si modifica la nostra reazione. Non bisogna dimenticare, infatti, che tra le condizioni di esistenza e le pratiche, si interpone l’attività strutturante dei soggetti i quali, lungi dal reagire in modo meccanico, contribuiscono a produrre un senso nel mondo.

Nella teoria generale dell’azione, habitus e campo sono concetti relazionali, in quanto funzionali in modo complementare soltanto in relazione l’uno con l’altro. Pertanto, le pratiche e le interazioni sociali, oggetto delle scienze sociali, derivano dal nesso tra campo e habitus, tra condizionamenti oggettivi delle strutture dei campi e disposizioni soggettive delle strutture dell’habitus.

      

50 L’habitus è, allo stesso tempo, principio generatore (capacità di produrre pratiche) e principio di divisione (sistema 

di schemi di percezione e valutazione). 

51  Il  gusto  è  l’affermazione  pratica  di  una  differenza  necessaria:  il  gusto  può  affermarsi  attraverso  il  disgusto  nei 

confronti  dei  gusti  espressi  dagli  altri.  Inoltre,  il  gusto  si  sente  fondato  per  natura,  dal  momento  che  è  parte  dell’habitus, tant’è vero che l’avversione per stili di vita diversi rappresenta, senza dubbio, una delle barriere più solide  tra  classi.  Il  potere  economico,  che  presuppone  una  distanza  oggettiva  dai  bisogni,  è  visibile  nell’atteggiamento  estetico che è espressione distintiva di una posizione privilegiata, come rango da conservare o distanza da mantenere  (il  reddito  contribuisce  a  determinare  la  distanza  dalla  necessità).  Infatti,  le  scelte  etiche  esplicite  si  costituiscono  spesso  per  contrapposizione  alle  scelte  dei  gruppi  più  vicini  nello  spazio  sociale,  con  l’intenzione  di  marcare  la  distinzione. In conclusione, il gusto è all’origine del sistema degli aspetti distintivi che vanno a definire una classe di  condizioni di esistenza come uno stile di vita distintivo, classificato e classificante. 

52  Il  gusto  dominante  è  determinato  da  coloro  che  possiedono  un  grado  elevato  di  risorse  economiche  e  culturali 

poiché  riescono  a  promuovere  il  proprio  habitus  e  a  naturalizzarlo  come  fonte  di  orientamento  (effetto  di  sgocciolamento della distinzione sociale e della sua riproduzione). 

Il consumo di beni presuppone un lavoro di appropriazione ovvero di individuazione e decifrazione. I beni, infatti, non sono oggettivi, cioè indipendenti dai gusti di coloro che li osservano, ma presentano contemporaneamente sia la classica norma di impiego (a cosa mi serve quel prodotto) sia l’uso sociale (perché scelgo quel prodotto). Quindi, è importante analizzare le determinanti economiche e sociali dei gusti, in modo da far emergere le esperienze differenziali dei consumatori in funzione: degli atteggiamenti acquisiti e della posizione che occupano nello spazio sociale. Il consumatore, quindi, secondo Bourdieu, agisce in base ad una logica distintiva incorporata nel gusto (inteso come realizzazione soggettiva del meccanismo dell’habitus), e distingue per distinguersi.

Bourdieu riprende in parte la teoria di Veblen il quale, attraverso la teoria dell’emulazione e della differenziazione sociale, è stato il primo a mettere in discussione la teoria economica classica sui consumi basata sul presupposto della libertà e razionalità del consumatore e anche della corrispondenza tra bisogno e soddisfazione, introducendo il concetto di spinta alla differenziazione come spiegazione dei comportamenti di consumo. Veblen parla, dunque, di consumo vistoso o ostentativo che spinge i soggetti ad acquistare non solo per rispondere a necessità di sussistenza, ma anche per segnalare la propria distinzione e il proprio prestigio sociale che si aggiunge alle qualità personali; per questo la ricchezza non viene solo accumulata, ma ostentata. Il concetto di differenziazione come spinta all’agire di consumo, apre la strada alla dimensione culturale dei consumi. Tuttavia, a differenza di Veblen, Bourdieu sostiene che il consumatore non solo distingue per distinguersi, ma anche perché non può fare a meno di farlo, introducendo il concetto di habitus come meccanismo inconscio e stato del corpo; dunque, la stratificazione sociale non è più solo fondata sui fattori economici, ma anche sulle differenze culturali.