OLTRE LA CRITICA AL CONSUMO CRITICO
4.1 DALL’ARCANO DELLA MERCE ALLA DEFETICIZZAZIONE
In questo capitolo, si tende a mettere in evidenza quella che finora è stata la critica sul consumo critico. Visto che l’intento principale in questo lavoro di tesi è quello di mantenere una posizione equilibrata nell’analisi del consumo critico, ci è sembrato opportuno riportare alcune teorie che mostrano dei limiti oggettivi di queste nuove pratiche di consumo, senza tuttavia sposarle completamente. Le principali aree di interesse saranno essenzialmente due: il consumo in relazione alle innovazioni tecnologiche; il consumo in relazione alla politicizzazione degli acquisti.
L’assunto teorico da cui partono le teorie che seguono è quello di considerare il consumatore come un individuo ingabbiato nel feticcio della merce. Marx e poi Baudrillard sono stati i due studiosi principali a demistificare il rapporto di potere occultato nel valore di scambio e nel valore d’uso. Marx afferma che la produzione non produce solo l’oggetto del consumo, ma anche il modo del consumo, essa produce non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente. La produzione fornisce non solo un materiale al bisogno, ma anche un bisogno al materiale. La produzione produce, quindi, il consumo73. Il bisogno anziché configurarsi come reale momento d’integrazione
sociale, si impone esclusivamente come bisogno di potere sull’altrui bisogno. L’uomo produce per possedere, ma non ha solo questo scopo utile, ha anche uno scopo egoistico. Infatti, il limite del suo bisogno dovrebbe essere il limite della sua produzione74. Con lo scambio, la produzione supera i
limiti immediati del bisogno ed è in questo modo che l’attività di produzione diventa fonte di guadagno. Cerchiamo di capire che tipo di rapporto si crea tra gli individui attraverso le pratiche di produzione e consumo inserite nelle logiche capitalistiche, disoccultando le forme di potere e il linguaggio alienato dei valori oggettivi.
La produzione capitalistica non è produzione dell’uomo per l’uomo in quanto uomo: non è produzione sociale. È lo scambio a mettere in movimento la produzione. Ciascuno di noi vede nel suo prodotto l’oggettivazione del proprio interesse personale e, dunque, rivede nel prodotto dell’altro l’oggettivazione di un altro interesse personale che è indipendente dal proprio. Si ha
73 Il pensiero di Marx, Editori riuniti, 1972. 74 Ciò in assenza di scambio.
bisogno del prodotto ma, allo stesso tempo, non si ha potere sulla produzione. Quando si produce di più rispetto ai bisogni, in realtà si produce un surplus che diventa oggetto della produzione dell’altro. In altre parole, siamo di fronte ad uno scambio interessato, in cui ciascun interesse personale (quello della produzione e quello del consumo/bisogno) cerca di superare l’altro e di ingannare l’altro in virtù di una massimizzazione del proprio interesse.
Il potere che si ha su un oggetto, però, ha necessariamente bisogno di un riconoscimento altrui. Tuttavia, è il reciproco riconoscimento sul potere reciproco degli oggetti contesi che crea la lotta. E’ così che la forza lavoro diventa merce di scambio venduta per comprare i prodotti del capitalista. Se ci fosse un rapporto ideale con i reciproci oggetti della nostra produzione, il nostro rapporto dovrebbe basarsi sul nostro reciproco bisogno. Invece, nella realtà, il vero esplicito rapporto è soltanto il reciproco possesso esclusivo della reciproca produzione. In questo modo, non c’è un rapporto umano e sociale, poiché gli individui non sono in rapporto tra loro in quanto uomini, ma è il prodotto il mezzo del vero potere. Di conseguenza, noi vediamo reciprocamente il nostro prodotto come il potere di ciascuno sull’altro e su se stesso. Diventiamo proprietà del nostro prodotto, in quanto la nostra proprietà esclude l’altro uomo. Da quanto detto, si desume che non siamo più in presenza di un rapporto né di un linguaggio umano, proprio perché siamo estraniati dall’essere umano75. È il linguaggio alienato dei valori oggettivi che ci appare, invece, come la giustificazione
della dignità umana: ci riconosciamo in quel linguaggio oggettivo, freddo, inumano e, quindi, lontano da noi. Le persone, infatti, non contano più come uomini, ma come mezzi con l’esito di un rapporto in cui l’uomo è reciprocamente per noi senza valore.
Ipotizziamo ora, invece, gli effetti di una produzione che riflette la nostra comune umanità, in cui l’uomo è riconosciuto in quanto tale e il rapporto si basa sul riconoscimento del reciproco bisogno. L’esistenza di un rapporto sociale di scambio non interessato porterebbe alle seguenti deduzioni:
Avrei oggettivato nella produzione non un interesse, ma la mia individualità, la mia particolarità frutto di una creatività che contiene implicitamente la negazione di un’alienazione.
Il tuo consumo o uso del mio oggetto sarebbe corrisposto ad un bisogno umano; è così che avrei oggettivato nel prodotto l’essenza stessa dell’uomo per il solo fatto di aver risposto ad un suo bisogno senza ricadere nella trappola del possesso.
Sarei stato riconosciuto dal consumatore come un completamento del suo essere, perché necessario e vicino umanamente al suo bisogno, eliminando il gioco astuto e subdolo di interessi, fondato sul prevalere del mio interesse sul suo bisogno. In questo modo si
rafforzerebbe il rapporto umano, la reciprocità del bisogno e la volontà di un riconoscimento reale.
Questa riflessione di Marx è fondamentale per comprendere le trasformazioni che hanno interessato i rapporti sociali a seguito dello sviluppo del capitalismo. Il consumo si svuota di ogni significato e diventa alienato così come le attività di produzione da parte dei soggetti costretti a vendere la propria forza lavoro per comprare ciò che producono al fine di consumarlo.
Negli ultimi anni si sono sviluppate modalità alternative di produzione e consumo che rientrano nelle cosiddette pratiche di economia solidale, le quali hanno come obiettivo principale quello di recuperare il valore umano. In un rapporto ideale di produzione il lavoro diventerebbe libera manifestazione vitale e godimento della vita, a differenza della produzione privata che, invece, è espropriazione della vita, in cui il lavoro è espressione di sopravvivenza e non di vita. Infatti, nella logica capitalistica fondata sull’espropriazione dei mezzi di produzione, condizione dell’alienazione e del potere dell’uomo sull’uomo, il lavoro non è più vita, o meglio, il mio lavoro sostituisce la mia vita. Questo potrebbe essere paragonato ad una pratica di cannibalismo: il lavoro divora la vita e tutti i rapporti sociali che ne fanno parte, disumanizzandola.
L’economia solidale restituisce la dignità umana al lavoro e le pratiche di consumo critico sono costantemente alla ricerca del rapporto umano e del riconoscimento dell’altro. Spostare l’attenzione dell’opinione pubblica verso queste pratiche di produzione e di consumo potrebbe aiutare a demistificare l’arcano delle merci e l’inganno della produzione capitalistica. Secondo Marx, infatti, “appena ci rifugiamo in altre forme di produzione, scompare subito tutto il misticismo del mondo delle merci, tutto l’incantesimo e la stregoneria che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della produzione di merci”. Resta da capire se quello che appartiene all’economia solidale si configura realmente come una forma di produzione e di consumo “altra”, in cui, secondo il pensiero marxista, non dovrebbe esistere lo spossessamento dei mezzi produzione, né l’uomo dovrebbe essere costretto a vendere la propria forza-lavoro.
Il sociologo francese Baudrillard va oltre l’inganno che si nasconde dietro il valore di scambio e il feticismo della merce analizzando le mistificazioni che si celano nell’oggetto e nello stesso valore d’uso. Questa analisi è utile per chiarire il concetto di oggetto oltre a quello di merce in riferimento al consumatore. Focalizzandosi sul concetto di merce, Marx vede il consumo come una forma autentica di godimento che si contrappone allo spirito del capitalismo. Tuttavia, il consumo si configura, secondo Baudrillard, anche come forma di alienazione e pratica funzionale al capitalismo, che allontana gli individui dalla loro umanità. Il valore d’uso della merce rappresenta la relazione sociale tra il bene e chi lo utilizza, mentre il valore di scambio (o forma di valore) è l’espressione di un rapporto non sociale. È da questa osservazione che Marx sviluppa la teoria del
feticismo delle merci, secondo la quale le merci si presentano come feticci, dotati di una propria
vita e in grado di sviluppare relazioni tra loro. È questo feticismo che contribuisce ad occultare il reale rapporto capitalistico di sfruttamento insito nelle merci76. C’è un carattere enigmatico del prodotto del lavoro non appena questo assume la forma di merce.
“L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistente al di fuori di essi produttori. Mediante questo qui pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente soprasensibili, cioè cose sociali77”.
In questo modo, la merce assume un valore sociale che, in realtà, non le appartiene, mentre il rapporto sociale fra uomini assume la forma di un rapporto fra cose. I rapporti sociali sono travestiti da rapporti sociali fra cose, o meglio, fra i prodotti dei lavori privati, eseguiti indipendentemente l’uno dall’altro e che, nel complesso, costituiscono il lavoro sociale complessivo.
In sintesi, il feticismo delle merci è stato scoperto da Marx come fenomeno reificante della vita sociale e produttiva del capitalismo ed esso non è solo personificazione delle cose, ma anche reificazione delle persone.
Baudrillard, col suo approccio deterministico, approfondisce il concetto di feticismo avanzato da Marx, estendendolo anche al valore d’uso. Mentre per Marx è il valore di scambio (che si fonda sul valore sociale astratto) ad apparire come luogo della feticizzazione, l’utilità non viene considerata come forma arcana e misteriosa. Il carattere mistico della merce investe solo il suo valore di scambio (la forma/merce) e non il suo valore d’uso (la forma/oggetto). È da sottolineare, però, che l’analisi di Marx si focalizza essenzialmente sul rapporto di produzione capitalistico e, quindi, sulle distorsioni che lo scambio di merci induce nei rapporti sociali. Probabilmente è per questa ragione che il concetto di valore d’uso sia stato sottoposto ad un’analisi meno rigorosa. Oltretutto, i contesti storici differenti entro cui sono situati i due autori contribuiscono a giustificare entrambe le teorie; il consumo come fenomeno culturale, oltre che fenomeno economico, è più facilmente intuibile con il perfezionamento del capitalismo nella sua spettacolarizzazione.
Tornando al feticismo del valore d’uso di Baudrillard, quest’ultimo sostiene che non è possibile tenere fuori dalle logiche di mercato l’utilità di un bene. Il sistema del valore d’uso (che rappresenta
76 Col feticismo della merce un rapporto sociale si maschera sotto forma di qualità e di attributo della merce stessa
attraverso la logica del valore di scambio, la quale si configura come logica dell’equivalenza (tutti i prodotti sono equivalenti sulla base del lavoro sociale astratto).
il bisogno sociale astratto, equivalente del lavoro sociale astratto) si fonda sul sistema dei bisogni, cioè non su bisogni concreti e reali, ma su una forma di bisogno; allo stesso modo, come osservava Marx, il sistema del valore di scambio si fonda sul lavoro sociale astratto.
Per Baudrillard la feticizzazione della merce dipende da un duplice processo di astrazione a cui gli oggetti sono sottoposti che fanno sì che i rapporti con gli oggetti definiscano i rapporti tra le persone. Gli oggetti si autonomizzano dalle relazioni sociali e trovano senso solo nella relazione con altri oggetti (Paltrinieri, 2006). Questo si verifica solamente nei rapporti di produzione e di scambio propri del sistema capitalistico. La categoria del dono, ad esempio, è esclusa da questo ragionamento in quanto il dono si fonda su un principio di reciprocità che prescinde dall’oggetto in sé e si rifà unicamente al vincolo che si crea tra gli individui.
Baudrillard parte dal presupposto che, affinché avvenga uno scambio economico, è necessario che il principio di utilità sia divenuto principio del prodotto: i prodotti vengono pensati in termini di utilità, e la riduzione allo stato di utilità è condizione di base dello scambio economico. Se il consumo viene, quindi, concepito come linguaggio sociale che tende ad aumentare i desideri degli individui piuttosto che a soddisfarli, ecco che il valore d’uso entra di diritto nella sfera del mercato78. Con il consumo dei beni, infatti, a differenza della consumazione, non si distruggono i
prodotti, ma si realizza l’utilità di quei beni, convalidandone il codice del valore d’uso funzionale al mercato. È palese che questa interpretazione presuppone una totale incapacità dei consumatori di percepire i loro reali bisogni.
Il valore d’uso è un rapporto sociale feticizzato (un’astrazione) proprio perché la funzionalità degli oggetti (il loro codice morale di utilità) ricade nella logica dell’equivalenza astratta delle utilità che Baudrillard definisce forma/oggetto. La forma/oggetto, allora, diventa la forma compiuta della forma/merce ed è così che le due feticizzazioni (valore d’uso e valore di scambio) vanno a costituire insieme il feticismo delle merci (Signorelli, 2008).
Secondo Baudrillard, come nel valore di scambio l’uomo-produttore non appare come creatore, ma come forza lavoro sociale astratta, così nel sistema del valore d’uso, l’uomo-consumatore non appare mai come desiderio e godimento, ma come forza di bisogno sociale astratto79. In questo sistema, l’uomo si definisce in due modi: mediante un’attività oggettiva di trasformazione della natura (lavoro), e mediante la distruzione di oggetti utili al profitto (consumo). La situazione,