OLTRE LA CRITICA AL CONSUMO CRITICO
78 L’astrazione del valore d’uso dei beni non vale per lo scambio simbolico (dono, regalo) perché la relazione personale
4.3 IL CONSUMO COME POLITICIZZAZIONE DEGLI ACQUIST
La mistificazione che cerca di avvolgere anche le pratiche di consumo critico si potrebbe paragonare al concetto di resurrezione anacronistica di Baudrillard (1976). Il sociologo francese, in relazione al consumo culturale, sostiene che esso non è altro che la resurrezione caricaturale, una parodia di quel che non c’è più, di ciò che già è stato. Nel momento in cui qualcosa si ripropone, assume caratteri di negazione del precedente. Scrive Baudrillard:
“Attraverso questo livello «vissuto», è la definizione storica e strutturale del consumo esaltare i segni sulla base di una negazione delle cose e del reale. Abbiamo visto come l’ipocrisia patetica del «diverso», attraverso le comunicazioni di massa, esalti con tutti i segni della catastrofe la quiete della vita quotidiana. Ma questa ridondanza patetica dei segni è leggibile ovunque. (…). La famiglia si dissolve? La si esalta. I bambini non sono più bambini? Si sacralizza l’infanzia. I vecchi sono solo, fuori gioco? Ci si commuove collettivamente sulla vecchiaia” (Baudrillard, 1976, p. 107, 108).
93 Forno F., Nuove reti: consumo critico, legami digitali e mobilitazione, in Le nuove frontiere dei consumi (a cura di)
Paola Rebughini e Roberta Sassatelli, pag.131.
94L’analisi dei collegamenti digitali, nota come Hyperlink Network Analysis (HNA), utilizza gli strumenti e le misure
dell’analisi delle reti sociali. I siti web sono considerati, quindi, come veri e propri attori e i link tra i siti come legami tra attori.
Allora ecco che si ripropongono concetti che divengono riciclati. Il riciclaggio, per Baudrillard, implica il riaggiornamento delle proprie conoscenze per rimanere al passo. Tuttavia, non si tratta di un progresso continuo, ma risponde, piuttosto, ad un processo razionale di accumulazione scientifica che, sotto l’apparente scientificità, impone un sapere. Baudrillard parla, ad esempio, di riciclaggio della natura, vale a dire lo snaturamento della natura, costretta a mutare funzionalmente come la moda, sottomessa al ciclo del rinnovamento. Una natura che perde il suo carattere originale e diventa modello di simulazione: un concentrato di segni di natura rimessi in circolazione (la campagna “incantata” del Mulino Bianco, la natura ridotta a spazi verdi negli agglomerati urbani, la quale non si riduce che ad essere un segno effimero nella dimensione universale della produzione, etc.). La cultura, dunque, non è più prodotta per durare. Più essa perde il suo senso sostanziale e più si vuole mantenere il suo riferimento ideale (si esalta la natura ora che la si sta distruggendo).
Pensando ad alcune recenti tendenze, possiamo domandarci se è applicabile questo ragionamento. Effettivamente, negli ultimi anni si assume sempre più “consapevolezza” dell’inadeguatezza dei nostri consumi e dei nostri stili di vita. Termini come sostenibilità, responsabilità sociale, consumo critico sono diventati di uso comune, alle volte anche abusati da media e politiche a fini elettorali. La stessa Tv e alcuni spot pubblicitari esaltano l’attenzione per l’ambiente, ovunque nel web ci si può imbattere in piattaforme multimediali, forum, siti web che trattano l’emergenza ambientale; nell’ultima campagna elettorale italiana del febbraio 2013 tutti i programmi dei partiti candidati alla presidenza del governo hanno inserito come punto principale la tutela del territorio.
Questa resurrezione anacronistica del consumo comporta un rimescolamento tra sfera privata e sfera pubblica, confondendo gli spazi d’azione degli attori sociali. Secondo Bauman, infatti, la conseguenza più grave della globalizzazione è la sostituzione dello spazio pubblico (agorà) con lo spazio economico (oikos). L’insicurezza esistenziale e l’incertezza sul proprio futuro impediscono agli attori sociali di formarsi un’identità sociale. A questo scopo, Bauman sostiene che al tramonto della dimensione repubblicana (le repubbliche-nazioni) deve corrispondere ugualmente, su altra scala, una ricostruzione dello spazio pubblico, dare alle istituzioni una dimensione extraterritoriale e fare in modo che assolvano alla loro funzione di traduzione. Più che di un nuovo paradigma, Bauman è convinto che sia necessario preparare nuovi strumenti di azione che ci liberino dall’economia politica dell’incertezza95.
Le strategie di individualizzazione si riflettono su comportamenti degli individui così come mostra Bauman nei suoi testi Homo consumens e L’etica in un mondo di consumatori. Egli comincia col dire che lo sforzo di comprendere il mondo è una lotta e nulla è più prevedibile o facilmente comprensibile nell’osservazione del mondo. Le vecchie reti concettuali che abbiamo ereditato non
ci bastano più per comprendere il mondo e siamo alla disperata ricerca di una nuova struttura che ci consenta di capire la logica nascosta dietro le nostre esperienze. È necessario cogliere la forma di un mondo in movimento, cioè di un mondo che cambia e va più veloce della nostra capacità di adattamento ad esso. In tutto ciò, è fondamentale affinare nuovi strumenti cognitivi che ci permettano di concettualizzare quelli che Bauman non vede, in realtà nella sua visione pessimistica, come miglioramenti parziali che miglioreranno il mondo, ma come cambiamenti che serviranno soltanto a non far morire la speranza di poterlo migliorare. Il dover dare una nuova forma alla nostra struttura cognitiva implica un rovesciamento di prospettiva, una flessibilità mentale per vedere con occhi nuovi il mondo, soprattutto in una modernità liquida dai confini sfocati. Premesso ciò, Bauman continua esponendo una nuova cornice cognitiva, paragonando la popolazione del mondo alla somma di diaspore, dove tutti stiamo diventando come le vespe di Panama. Le vespe di Panama sono state studiate per lungo tempo dagli scienziati per capire come le vespe di una colonia fossero capaci di riconoscere un intruso proveniente da un altro alveare e, in aggiunta, attraverso quali mezzi riuscivano a mantenere chiusi i confini della comunità. Alcuni scienziati di Londra hanno rovesciato stereotipi vecchi di secoli sulle abitudini degli insetti, secondo cui le api e le vespe socializzavano limitatamente alla colonia di appartenenza; gli scienziati di Londra arrivarono alla conclusione che circa il 56% delle vespe di Panama cambia alveare nel corso della vita, traslocando in altre colonie non in qualità di visitatori temporanei, ma di membri di diritto. Si vengono così a creare delle popolazioni miste, con vespe native e vespe immigrate che lavorano guancia a guancia. È grazie a questo cambiamento di prospettiva che si è scoperta la verità, perché quello che si pensava delle vespe era solo una proiezione delle prassi umane sulle consuetudini degli insetti. Così come per gli insetti, anche gli uomini hanno necessità, secondo Bauman, di mescolarsi con la differenza in una reciproca ospitalità su un mondo finito. E ancora, come gli insetti, gli uomini si muovono in sciami anziché muoversi costituiti in gruppi. Lo sciame, a differenza del gruppo, non ha un centro decisionale e non prevede gerarchie al suo interno. Si raduna e si disperde a seconda dell’occasione, spinto dalle ragioni più effimere e motivato da obiettivi mutevoli. Lo sciame è anonimo e apatico, privo di cooperazione e in cui è presente solo la prossimità fisica e una generale direzione di movimento. Secondo Bauman, la società dei consumatori tende ad organizzarsi in sciami, abbandonando il gruppo perché, alla fin fine, il consumo è un’attività solitaria anche quando viene svolta in gruppo. Nelle interviste effettuate ad un Gas di Santiago de Compostela, Eirado, emergeva proprio questo aspetto: una motivazione latente e debole che indirizzava i consumatori verso un tipo di acquisto responsabile, ma una totale assenza di partecipazione alle attività del gruppo di acquisto. Dunque, si registrava un forte divario tra spinta motivazionale e livello di attivismo. Nel momento in cui il Gas richiedeva ai consumatori un impegno che andava oltre il
semplice atto d’acquisto eticamente orientato secondo i principi del gas stesso, si rilevava una partecipazione significativamente ridotta, che impediva un proseguimento lineare e di accrescimento del potenziale del gruppo di acquisto che, suo malgrado, non riusciva a mettere in campo azioni collettive organizzate incisive sul territorio.
Il legame tra i soggetti non si creava né all’interno del Gas né al di fuori di esso, e questo a dimostrazione di come la società dei consumatori non stimola la formazione di legami durevoli, ma solo di legami che durano il tempo dell’atto di consumo (Bauman, 2007). L’individualismo, in questo senso, è esasperato anche in quelle che sembrano azioni comuni e partecipate.
Tralasciando momentaneamente le ripercussioni che la modernità liquida ha sui comportamenti degli attori sociali che si riuniscono in sciami, ci addentriamo nella sfera d’azione del cittadino- consumatore. Bauman sostiene che ci sia un insano spostamento della responsabilità politica dei cittadini dalla sfera pubblica a quella privata dei consumi. Da anni si assiste ad un crescente disinteresse del pubblico nei riguardi delle procedure democratiche (elezioni, referendum, ignoranza sulle questioni politiche). Il mercato e l’economia, già predatori della politica e dei governi sempre più assoggettati alle logiche capitalistiche e finanziarie, sembrano essere i campi in cui i cittadini responsabili e attivi iniziano a dar battaglia ad un sistema diventato ormai insostenibile. Tuttavia, lo stesso mercato rappresenta il luogo delle disuguaglianze per eccellenza in cui una guerra ad armi pari sembra fuori discussione. In sostanza, il consumatore critico, che manifesta il suo dissenso verso il mercato e verso i governi che sostengono quel mercato, non fa altro che sottolineare il suo ethos antidemocratico sottraendosi dall’arena pubblica del vero confronto con le istituzioni. Le pratiche di consumo critico non possono e non devono essere considerate come alternative più valide della democrazia parlamentare. È in questo modo che si acuisce il disinteresse dei cittadini nei confronti della politica e i movimenti dei consumatori diventano sintomatici di una crescente sfiducia nei diritti sanciti per legge. Sono i cittadini stessi che abbandonano completamente l’idea di collettività e di società democratica per affidarsi al mercato: individui e gruppi si atomizzano, il concetto di partecipazione collettiva e democratica è lontano mentre si moltiplicano sciami di attivisti.
A tal proposito, Bauman parla di crescita spettacolare del populismo di mercato, sempre più si riconosce cioè il mercato come luogo che trasmette l’essenza della democrazia, ovvero il diritto di scegliere. Tale visione è frutto di quel biocapitalismo di cui abbiamo parlato in precedenza; nel postmodernismo, infatti, si è adottato un metodo di civilizzazione alternativo al metodo panottico (disciplina, governa, punisci) e basato sull’obbligo di scelta come libertà di scelta. In pratica, si ricorre ad un metodo implicito di civilizzazione che adotta modelli comportamentali inculcati come
modelli risolutori di problemi. Il paradosso di questo populismo di mercato è che considera la politica il nemico numero uno della democrazia e il mercato come miglior alleato che si fa strumento escludente: i cittadini ridotti a consumatori, nella sua accezione più negativa, non hanno altro spazio in cui agire se non il mercato stesso.
Tuttavia, a questa teoria ci sono studiosi che esprimono comunque un parere contrario al pessimismo baumaniano e chiaramente positivo riguardo al comportamento dei consumatori critici affermando che, proprio perché il mercato appare meno neutrale, il fatto che i consumatori percepiscano che non esiste più altro luogo al di fuori del mercato in cui discutere di questioni etiche e politiche, porta i consumatori stessi ad agire sulle regole e sui confini del mercato sviluppando, in tal senso, forme di consumo chiaramente politiche (Sassatelli, 2004, p.221). La visione politicizzata del consumo è stigmatizzata, quindi, dai postmodernisti come Bauman; nonostante ciò, la critica, per quanto attendibile sotto alcuni profili, rischia di oscurare le altre componenti che caratterizzano il profondo clima di cambiamento che stiamo vivendo oggi, (Cattaneo, 2011, p.204). A parte le già ampiamente analizzate categorie di consumo equo-solidale, buycotting96 e boycotting97, si aggiunge quella del consumerismo discorsivo che è quella modalità
espressamente comunicativa e prevalentemente legata ai new media e che si ripartisce in molte sottospecie quali:
la guerrilla communications: è un termine coniato negli ultimi decenni per indicare un particolare tipo di comunicazione messa in atto da alcuni piccoli gruppi, appartenenti al mondo della controcultura, che utilizzano pratiche finalizzate ad attuare interventi sovversivi
nell’ambito dei più comuni processi comunicativi. Intento delle avanguardie culturali che utilizzano mezzi di guerrilla communication è quello
di avanzare una critica sociale alle attuali forme di comunicazione e al loro funzionamento. I metodi più comuni utilizzati in questo contesto sono: la divulgazione di falsi scoop; i travestimenti; azioni sovversive di vario tipo; l’inversione di senso di alcuni messaggi pubblicitari, l'utilizzo di forme espressive alternative (guerrilla art).
il cultural jamming, traducibile in italiano con "sabotaggio culturale" (o anche con "interferenza culturale"). E’ una pratica contemporanea che mira alla contestazione dell'invasività dei messaggi pubblicitari veicolati dai mass media nella costruzione dell'immaginario della mente umana. La pratica del culture jamming consiste nella
96 Il buycotting è una guida nella scelta d'acquisto volta a premiare i comportamenti, modelli di produzione,
distribuzione, smaltimento, eticamente, socialmente e ambientalmente positivi, responsabili e sostenibili. (Cattaneo, 2011,, p. 205)
97 Il Boycotting consiste nella determinazione dei prodotti da non acquistare o da censurare allo scopo di danneggiare
economicamente e socialmente le imprese e i brand che non rispettano i principi etici del ampiamente descritti per il
decostruzione dei testi e delle immagini dell'industria dei media attraverso la tecnica dello straniamento e del détournement, cioè lo spostamento di immagini e oggetti dalla loro collocazione abituale per inserirli in un diverso contesto semantico dove il loro significato risulti mutato, se non capovolto. Il risultato è in genere la trasmissione di un messaggio di critica radicale del sistema economico che avviene per mezzo dello stravolgimento del suo apparato ideologico-pubblicitario, nel tentativo di liberare l'individuo dal ruolo di ricevente passivo e indurlo a un consumo critico e consapevole del linguaggio dei media.
il subvertising, la sovversione pubblicitaria, cioè mettere in atto quel sabotaggio segnico che i vari attivisti mettono in atto contro le multinazionali e i loro slogan pubblicitari.
Dunque, abbiamo visto come nel dibattito sociologico e politologico, il diffondersi di stili di vita alternativi improntati su un consumo responsabile ha fornito una diversa chiave di lettura degli stessi, soprattutto in riferimento al consumo come atto politico. Come sopraccitato, alcuni autori rivolgono una critica alle pratiche di consumo responsabile orientate ad esprimere un voto politico in quanto si percepisce questo nuovo modo di interfacciarsi con le istituzioni politiche da parte degli attori sociali, come una deresponsabilizzazione degli individui. Inoltre, la scelta del mercato, per antonomasia caratterizzato da diseguaglianze e disparità, come luogo della democrazia, appare un’ulteriore deriva della società liquido moderna baumaniana.
Tuttavia, non sono presenti solo dei limiti al carattere politico dei consumi, bensì ci sono anche delle potenzialità da non sottovalutare. È proprio il rinvio all’interesse pubblico e, quindi la presenza di criteri non strettamente utilitaristici ma altruistici, a conferire al consumo una connotazione “politica”. Secondo i dati del 2010 dello European Social Survey il 28% di 22 nazioni europee occidentali analizzate, può rientrare nella categoria del consumatore politico avendo dichiarato di aver compiuto nell’anno precedente atti di boicottaggio e consumo critico al fine di impattare sulla situazione politico-sociale del Paese di appartenenza. Da sottolineare, si riscontra una percentuale di consumatori politici maggiore nel Nord Europa e inferiore nell’Europa Meridionale. L’Italia, negli ultimi anni, ha visto una diffusione capillare del fenomeno che ha fatto aumentare la percentuale di consumatori responsabili. Tuttavia, l’utilizzo del consumo come strumento per esprimere un atto politico non è poi così recente:
“Dalla distruzione dei carichi di tè inglese nella baia di Boston da parte dei rivoluzionari americani, alla marcia del sale dell’India di Gandhi, al boicottaggio dei prodotti sudafricani durante il regime dell’apartheid
nel Sud Africa di Botha, fino alle guerre dei formaggi o dei vini tra Italia e Francia, la storia testimonia una certa persistenza di questo tipo di utilizzo politico della leva del consumo98”.
Nonostante questo passato, l’atto politico del consumo critico moderno cambia in alcuni elementi sostanziali:
E’ più transnazionale e globale
Ha una maggiore diffusione tra i cittadini Viene utilizzato in modo più sistematico
Può contare su un certo grado di istituzionalizzazione grazie a schemi di etichettamento e certificazione che consentono ai consumatori di valutare parametri etici, sociali e ambientali. Emergono forme di consumo critico “positivo” a fianco di quello “negativo” (come ad
esempio il boicottaggio); una di queste è il buycottaggio, cioè acquisti che premiano le imprese in linea con i principi del consumo responsabile.
In riferimento a quest’ultimo punto, è ampia la letteratura sul consumerismo politico, utile per comprendere l’evoluzione dei fenomeni di cittadinanza e di partecipazione politica. Il consumerismo politico è definito come l’orientamento attivo del consumatore a scegliere prodotti e produttori, in base ad una varietà di considerazioni di tipo ambientale, etico e politico. I consumatori politici scelgono particolari prodotti e produttori perché vogliono cambiare pratiche istituzionali e di mercato che non ritengono accettabili (Micheletti, 2003). Attraverso le loro scelte da consumatori, i cittadini esprimono le loro opinioni politiche e tentano di esercitare la loro influenza sulla politica dei prodotti. In alcuni casi, il consumerismo politico può infatti accrescere la coscienza dei consumatori e indurre i produttori a cambiare i loro metodi di produzione.
Anche nel consumerismo politico, la globalizzazione costituisce il principale scenario d’azione in cui si sviluppano le nuove forme di mobilitazione e di coinvolgimento collettivo, e numerosi sono stati i mutamenti sociali legati al fenomeno della globalizzazione. La preoccupazione che deriva dalle possibili conseguenze sociali della globalizzazione neoliberista può essere considerata come fortemente relazionata al fenomeno del consumerismo. Dal punto di vista empirico, se si considera il solo aspetto della transazione economica, il consumerismo politico è stato rilevato in due principali forme: buycotts (la scelta di acquisto politico) e boycotts (la scelta di non acquisto politico), rispettivamente chiamati “consumerismo positivo” e “consumerismo negativo” (Micheletti, 2004). Queste due forme comportano la presenza di scelte tra produttori e prodotti, e costituiscono tentativi di influenzare direttamente società,
imprese o multinazionali; proprio per questo si avvicinano alla tradizionale concezione di partecipazione politica, se non fosse per il bersaglio di riferimento, che è il mercato e non il governo. Le forme di consumerismo positivo e negativo possono rappresentare un’espressione di atteggiamenti e valori di giustizia sociale, ambientalismo, e altre questioni non-economiche che possono riguardare anche l’interesse personale e il benessere familiare, nonché valutazioni etiche e politiche a favore o a sfavore di pratiche di mercato e di governo. Indubbiamente, queste due pratiche continuano ad essere importanti per gruppi d’interesse e movimenti sociali, ma accanto a queste due forme, gli attivisti hanno praticato un altro tipo di consumerismo politico sul mercato, chiamato “discorsivo”. Quest’ultimo tipo di azione fa riferimento all’aspetto comunicativo, più che economico, e ha l’obiettivo di informare i cittadini sulla politica dei prodotti e dei produttori e di cambiare le pratiche di mercato attraverso campagne e strategie di tipo comunicativo (ad es., la “culture jamming”, Micheletti, 2004).
Riguardo al consumerismo politico, però, ci sono, però delle perplessità:
“Il consumerismo politico è stato indicato come una forma di azione individuale e collettiva. E tuttavia il passaggio dall’azione individuale (con la sua molteplicità di significati spesso impliciti) all’azione collettiva (una performance pubblica che per così dire incornicia e offre un senso definito alle azioni individuali) è spesso tutto da fare, dopo l’acquisto o contestualmente ad esso99.”
Sono molteplici le motivazioni che hanno portato a questa nuova configurazione politica del consumo critico. Tralasciando il fenomeno, seppur importante, relativo allo spostamento nella postmodernità del baricentro dai fenomeni produttivi a quelli di consumo intorno ai quali si articola tutta la vita dell’attore sociale, un ruolo rilevante è stato svolto dalle ricadute che il processo di globalizzazione ha avuto sulle istituzioni politiche tradizionali; infatti, laddove gli Stati sembrano inadeguati a formulare politiche di carattere globale, emergono figure che assumono iniziative private allo scopo di riempire tale lacuna politico-legislativa. Il consumo critico, dunque, potrebbe intendersi come la reazione allo sradicamento della politica dal contesto dello Stato nazionale e come tentativo di superare il mal sovrapporsi degli effetti economici della globalizzazione alla politica globale. Rappresentativo di ciò è la trasformazione della partecipazione politica: si registra un’apparente disaffezione crescente verso le questioni pubbliche, con conseguente declino dell’impegno civico nell’arena politica per osservare l’emergere di una “voce politica” fuori dalla