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Segue: e nella giurisprudenza costituzionale

2. La tutela costituzionale dell’istituto

2.3. Segue: e nella giurisprudenza costituzionale

La Consulta ha individuato un ampio ventaglio di norme costituzionali a sostegno dell’intangibilità del giudicato, facendosi portavoce delle istanze di certezza ad esso sottese nell’ambito principalmente di due filoni giurisprudenziali. Nel primo, la Corte si è occupata di fissare i limiti alla retrovalutazione giuridica dei rapporti coperti dal giudicato da parte di leggi sopravvenute. Nel secondo, essa ha fatto salve le norme processuali che disciplinano la formazione e gli effetti del giudicato, a fronte delle richieste, da parte dei giudici a quibus, di poter rimettere in discussione questioni già definite.

Quanto al primo filone, dopo una prima fase in cui la Corte si accontentava di constatare l’assenza di vincoli costituzionali alla retrovalutazione giuridica dei rapporti esauriti sulla base della considerazione che il principio di irretroattività era stato costituzionalizzato dall’art. 25 Cost.

57 G. SERGES, Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale, cit., 2511. 58 G. SERGES, Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale, cit., 2515.

soltanto nell’ambito penale59, la giurisprudenza ha progressivamente riconosciuto la sussistenza di limiti a tale retrovalutazione in una serie di norme e princìpi costituzionali.

Facendo propria l’evoluzione dottrinale sul punto, le argomentazioni della Corte sostanzialmente ruotano attorno a tre poli60. Il primo è quello del necessario rispetto dell’art. 3 Cost., cui si riconducono i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza, il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, ma soprattutto la stringente esigenza di garantire la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e il legittimo affidamento. Tali princìpi, sottolinea la Corte costituzionale, sono fondamentali nel nostro ordinamento perché connaturati allo Stato di diritto.

Il secondo si appunta invece sull’esigenza di garantire il corretto esercizio della funzione giurisdizionale e il rispetto della separazione dei poteri, ai sensi degli artt. 101, 102, 103 e 104 Cost. A questo proposito, la Corte distingue le norme che, pur introducendo una nuova valutazione giuridica di fattispecie passate, operano sul piano generale ed astratto delle fonti e dunque sfuggono alla censura di incostituzionalità, da quelle con cui, invece, il legislatore si ingerisce nella soluzione delle concrete fattispecie in giudizio, in violazione dei summenzionati parametri costituzionali.

Connesso a quest’ultimo profilo, ma strutturalmente e funzionalmente distinto dall’esigenza di garantire il corretto esercizio della funzione giurisdizionale, è il terzo “polo” attorno cui ruota la giurisprudenza costituzionale in materia, relativo all’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost.).

La posizione della Corte è abbastanza netta nel precludere al legislatore l’adozione di norme i cui effetti retroagiscono fino a dettare una nuova disciplina dei rapporti coperti dal giudicato. In tal senso si è orientata la sentenza che ha accolto la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto una norma di interpretazione autentica, intervenuta in un momento in

59 Cfr., ad esempio, sentt. nn. 23 del 1967 e 19 del 1970.

60 Moltissime sono le sentenze che potrebbero essere citate. Per fare solo alcuni significativi

esempi: sentt. nn. 397 del 1994, 432 del 1997, 374 e 525 del 2000, 282 del 2005, 209 del 2010 e 206 del 2015.

cui la norma oggetto di interpretazione aveva già dato origine a plurime pronunce definitive dei giudici amministrativi. La norma indubbiata, a fronte di pronunce definitive di annullamento della prima concessione edilizia e delle successive concessioni in sanatoria, consentiva il rilascio di una nuova concessione in sanatoria, frustrando “le legittime aspettative di soggetti che, basandosi sulla legislazione vigente, mai oggetto di dubbi interpretativi e di per sé chiara e univoca, avevano chiesto e ottenuto dai giudici amministrativi, sia in primo grado sia in appello, la tutela delle proprie situazioni giuridiche, lese dagli atti illegittimi annullati”61.

Specularmente, la Corte ha dichiarato esente dai vizi di incostituzionalità prospettati la legge di interpretazione autentica che “non travolge […] i giudicati che si sono formati”, sottolineando che la necessità di rispettare la cosa giudicata non solo consente di escludere che la norma indubbiata interferisca con la funzione giurisdizionale o limiti il diritto di difesa, ma altresì “giustifica” il diverso trattamento “di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo dell’adeguamento automatico dell’indennità rispetto a chi non lo abbia ottenuto”62.

In maniera analoga la Corte ha rigettato una questione di legittimità costituzionale di una norma di interpretazione autentica che, nel constatare che una determinata disciplina doveva essere interpretata nel senso di dar vita a un’abrogazione implicita di norma pregressa, precisava che, per effetto del riconoscimento dell’intervenuta abrogazione ex tunc, “perdono ogni efficacia i provvedimenti e le decisioni di autorità giurisdizionali” comunque adottati difformemente dalla predetta interpretazione63. La Corte ha ritenuto che, in assenza di un’esplicita indicazione contraria, la locuzione era da interpretarsi come riferita alle sole decisioni impugnate o impugnabili, con esclusione di quelle che avevano già acquisito la forza di cosa giudicata. In favore di questo risultato ermeneutico la Corte richiama, oltre al silenzio del legislatore sul punto e il dibattito svoltosi durante i lavori preparatori, ove era emersa la

61 Sent. n. 209 del 2010.

62 Sent. n. 15 del 1995. Nel senso che il principio dell’intangibilità del giudicato rende non

irragionevole la discriminazione nel trattamento giuridico dei rapporti pendenti rispetto a quelli già definiti in sede giudiziaria, v. anche sent. n. 244 del 2014.

necessità di tener fermi i rapporti coperti da giudicato, la necessità di pervenire a una interpretazione costituzionalmente orientata64.

La giurisprudenza costituzionale, però, non arriva a ritenere illegittima la legge che, muovendosi sul piano generale e astratto, finisca per incidere indirettamente sugli effetti del giudicato. Il punto di discrimine tra ciò che è consentito e ciò che è precluso al legislatore è ben evidenziato nella sent. n. 374 del 2000. La norma indubbiata aveva disposto, a far data da un momento precedente alla sua entrata in vigore, la cessazione dell’efficacia di una norma che attribuiva un determinato trattamento stipendiale al personale civile dell’amministrazione penitenziaria. Per raggiungere l’adeguamento al ribasso del complessivo trattamento economico anche nei casi in cui il trattamento di maggior favore fosse stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato, la norma denunziata prevedeva due ipotesi, a seconda che il beneficio fosse stato o meno corrisposto nel momento della sua entrata in vigore. Nel primo caso, il trattamento di maggior favore sarebbe stato riassorbito dai successivi incrementi retributivi. Nel secondo, si sarebbe bloccata a monte la relativa corresponsione. Ebbene: nel valutare la legittimità costituzionale di quest’ultimo meccanismo, la Corte ha sottolineato che il legislatore, “oltre a creare una regola astratta”, ha sostanzialmente prescluso “l’esecuzione delle sentenze” definitive. Ne è derivata un’“incidenza, diretta ed esplicita, sul giudicato [che] esclude che la disposizione in questione operi soltanto sul

64 La motivazione della sentenza proseguiva, poi, negando che la tutela del giudicato potesse

estendersi anche all’irrevocabilità del decreto del Presidente della Repubblica pronunciato su ricorso straordinario, sulla base della natura amministrativa, e non giurisdizionale, del rimedio. Un ripensamento di queste conclusioni è oggi chiesto alla Corte dall’ord. Cons. St., Ad. Plen., 14 luglio 2015, n. 7, che solleva una questione di legittimità costituzionale della medesima norma oggetto della sent. n. 282 del 2005, ma invocando il diverso parametro dell’art. 117, comma 1, Cost., come integrato dagli artt. 6 e 13 CEDU. Ad avviso del giudice

a quo, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo avrebbe equiparato, sotto il profilo

dell’assimilazione dei livelli di tutele, le decisioni giurisdizionali e amministrative, rimarcando, a più riprese, che “le decisioni finali di giustizia, rese da un’Autorità che non fa

parte dell’Ordine Giudiziario, ma che siano equiparate dal punto di vista procedurale e dell’efficacia a una decisione giudiziaria, devono essere passibili di attuazione coattiva in un sistema che prevede l’ esecuzione come seconda e indefettibile fase della lite definita”.

Occorre precisare che, dopo la sent. n. 282 del 2005, le innovazioni introdotte con l’art. 69 della l. n. 69 del 2009 hanno indotto a ritenere ormai superata la natura amministrativa del ricorso straordinario (cfr. sent. Corte cost. n. 73 del 2014). Nondimeno, spiega il giudice a

quo, nel caso di specie tali innovazioni non rilevano, perché il decreto che ne occupa era stato

emanato in un momento ad esse precedente. Di qui la necessità di invocare i parametri convenzionali.

piano normativo, poiché rivela in modo incontestabile il preciso intento legislativo di interferire - senza che vi sia un rapporto di conseguenzialità necessaria tra creazione della norma e incidenza sui giudicati - su questioni coperte da giudicato, non rispettando, in modo arbitrario, la differente condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo di un certo trattamento economico riguardo a chi non lo abbia ottenuto”. Tanto, in lesione “dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché delle disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi”. Allo stesso tempo, però, la Corte si premura di precisare che “alle somme che debbono essere corrisposte proprio in forza della presente decisione, sarà comunque applicata, (successivamente alla data di entrata in vigore della legge in esame), la stessa disciplina del «riassorbimento» nei futuri incrementi retributivi prevista dal medesimo comma 5 in riferimento all’ipotesi di somme già versate allo stesso titolo, anteriormente all’entrata in vigore della stessa legge”. Ciò in quanto non è precluso al legislatore “di modificare sfavorevolmente per i beneficiari, purché non in modo irrazionale o arbitrario, la disciplina di determinati trattamenti economici in precedenza garantiti, anche a causa, come si è verificato nella specie, di inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica”. E’ dunque consentito al legislatore innovare l’ordinamento giuridico in via generale e astratta, anche quando tale innovazione si ripercuota indirettamente sui giudicati, provocandone una sostanziale neutralizzazione degli effetti (nel caso di specie, il progressivo riassorbimento del beneficio già riconosciuto con sentenza definitiva nei futuri incrementi retributivi). Gli è invece preclusa l’incidenza diretta, potremmo dire “provvedimentale”, sull’efficacia dei giudicati.

Merita a questo punto di essere sottolineata la natura intrinsecamente provvedimentale delle leggi che dispongono in via diretta la cessazione (o la modificazione) degli effetti delle sentenze definitive. Rivolgendosi a fattispecie che si sono interamente concluse in un momento antecedente alla propria entrata in vigore, tali leggi disciplinano una serie di rapporti ben individuati o individuabili. Esse sono dunque prive del carattere

dell’astrattezza, poiché porre quale oggetto della disciplina legislativa giudizi definiti in un determinato momento storico è logicamente incompatibile con l’idea della potenziale ripetibilità della fattispecie normata. Esistono tuttavia interventi normativi che esasperano questa tendenza alla provvedimentalità delle disposizioni che disciplinano direttamente rapporti definiti con sentenza passata in giudicato, non accontantandosi di delimitare la platea delle sentenze incise sulla base di criteri oggettivi (quali, ad esempio, l’aver fatto applicazione di una determinata norma secondo un’interpretazione che il legislatore ritiene doversi superare), ma individuando nominatim i soggetti o i rapporti interessati dalla retrovalutazione.

Il vaglio di costituzionalità di queste norme, che la Corte, mostrando qualche incertezza sul piano dogmatico65, ha ritenuto non potersi definire retroattive “in senso tecnico”66, è particolarmente rigoroso. La sent. n. 364 del 2007, ad esempio, ha accolto la questione di legittimità costituzionale sulle norme che stabilivano l’inefficacia dei titoli esecutivi formatisi nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I per crediti sorti anteriormente alla sua istituzione e relativi a servizi prestati nei confronti della disciolta azienda universitaria Policlinico Umberto I. La legge, in particolare, faceva confluire anche tali crediti nell’ambito della procedura concorsuale instaurata per i crediti fondati su titoli emessi nei confronti della cessata azienda universitaria. La motivazione della Corte richiama tutti e tre i “poli” attorno cui ruota la tutela costituzionale del giudicato nei confronti dello ius superveniens retroattivo. Quanto all’art. 24 Cost., la Corte ricorda che l’emissione di provvedimenti idonei ad acquistare autorità di cosa giudicata costituisce uno dei principali strumenti di tutela dei diritti, giacché la privazione di efficacia delle sentenze passate in giudicato vanifica i risultati dell’attività difensiva svolta. Quanto agli artt. 102 e 113 Cost., rileva che la tutela giurisdizionale dei diritti è istituzionalmente demandata all’autorità giudiziaria, sicché le norme denunziate risultavano altresì lesive delle attribuzioni costituzionali della magistratura. Da ultimo, con riferimento

65 Tali incertezze, per la verità, sembrano insite nella nozione stessa di retroattività, come ha

dimostrato M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività, cit., 1 ss.

all’art. 3 Cost., la Corte sottolinea che le norme indubbiate hanno leso il ragionevole affidamento riposto dai creditori del Policlinico Umberto I sulla definitività dell’attività difensiva svolta67. Fattispecie del tutto assimilabile è stata risolta, in senso analogo, dalla sent. n. 277 del 201268.

Ancora in un altro caso, la volontà del legislatore di porre nel nulla, con legge-provvedimento, due sentenze del Consiglio di Stato è stata censurata dalla Corte costituzionale con precipuo riferimento alla sua irragionevolezza e arbitrarietà69. Poco importa, ai nostri fini, che nel caso di specie le sentenze non fossero ancora formalmente passate in giudicato, perché pendevano i termini per il ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione. La Corte, infatti, non ha dubbi che l’intento del legislatore fosse proprio quello di intervenire per porre nel nulla l’accertamento giudiziale, dato che si trattava di norma che escludeva dalle procedure di vendita specificamente “gli immobili siti in Roma, via Nicola Salvi n. 68, e via Monte Oppio n. 12”, su cui il Consiglio di Stato si era da poco pronunciato, ponendo fine a un lungo contenzioso con i conduttori degli immobili. E’ evidente, allora, che le stesse argomentazioni avrebbero potuto essere spese a fortiori se la legge indubbiata avesse colpito le pronunce dopo il decorso del termine per il ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione. Ciò chiarito, la sentenza in esame offre sicuri spunti di interesse, perché l’apparato argomentativo della Corte è tutto imperniato sulla dimostrazione dell’eccesso di potere in cui è incorso il legislatore, risultato cui si arriva attraverso l’individuazione di una serie di figure sintomatiche70. Ciò conferma che il richiamo all’art. 3 Cost. nel

67 Sul rapporto tra giudicato e legittimo affidamento v. anche sentt. nn. 74 del 2008 e 1 del

2011. In senso critico, P. CARNEVALE, La tutela del legittimo affidamento… cerca casa, cit., 23. Sul punto, si rinvia alle osservazioni esposte supra al par. 2.2.

68 Nell’ambito del processo di risanamento del dissesto finanziario dell’Ente Ordine

Mauriziano di Torino, le norme indubbiate prevedevano la sostituzione ex lege del soggetto passivo di alcune obbligazioni, che dall’Azienda sanitaria ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino passavano a far capo alla Fondazione Ordine Mauriziano. Anche in questo caso le questioni di costituzionalità sono state accolte in relazione alla violazione del principio del legittimo affidamento, del diritto di difesa e della lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.

69 Sent. n. 267 del 2007.

70 Oltre all’evidente natura provvedimentale della norma, che indicava specificamente solo

alcuni immobili, la Corte rileva che “detta norma non era contenuta nel testo del decreto-

legge del 25 settembre 2005, n. 203, che recava disposizioni dirette ad introdurre misure di contrasto all’evasione fiscale, nonché disposizioni in tema di riscossione delle imposte,

sindacato di costituzionalità della legge che intenda modificare o cancellare l’efficacia di sentenze giurisdizionali si estende ben oltre la verifica del rispetto del legittimo affidamento delle parti, abbracciando – a monte – la sua giustificabilità in termini di ragionevolezza e non arbitrarietà.

Il secondo filone giurisprudenziale che ha visto la Corte impegnata nella precisazione dello statuto costituzionale del giudicato ha ad oggetto le norme processuali che ne disciplinano la formazione e che ne definiscono gli effetti preclusivi o negativi sui giudizi successivi. In questo contesto, ampio rilievo riveste la considerazione che tra i fini perseguiti dall’art. 111 Cost. nell’affidare alla Corte di cassazione la funzione di giudice ultimo della legittimità vi sono quelli di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo dei rapporti giuridici.

Una volta, però, sottolineato il ruolo apicale riconosciuto alla Suprema Corte e il legame (logico, ancor prima che giuridico) che intercorre tra questo e l’esigenza della progressiva formazione del giudicato formale, il discorso sulla definitività dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria inevitabilmente si generalizza, giacché anche le pronunce di giudici di grado inferiore sono idonee (e tendenzialmente aspirano) a non essere più messe in discussione. La giurisprudenza costituzionale ricostruisce allora la definitività delle sentenze come scopo dell’attività giurisdizionale nel suo complesso, sottolineandone la rilevanza costituzionale sia sotto il profilo della tutela del diritto di difesa, sia per la realizzazione dell’interesse fondamentale dell’ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche71.

La giurisprudenza sul punto è estrememamente ricca e, per tenterne una sistematizzazione, verranno distinte i) le questioni sull’applicabilità di disposizioni penali più favorevoli al reo in costanza di giudicato; ii) le

perequazione delle basi imponibili, previdenza e sanità. Il citato art. 11-quinquies, comma 7, è stato introdotto dalla legge di conversione del 2 dicembre 2005, n. 248 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre 2005, n. 281), dunque la norma è stata emanata ed è divenuta efficace soltanto dopo che le sentenze del Consiglio di Stato erano state pubblicate (in data 26 ottobre 2005) – ed anche notificate all’amministrazione (in data 21 novembre 2005) – definendo controversie in corso da anni, che avevano visto l’amministrazione soccombente”.

71 Per un’enunciazione chiara di tali princìpi v., ex multis, sentt. nn. 294 del 1995 e 224 del

questioni con cui i giudici a quibus chiedono alla Corte di riconoscere loro la facoltà di rilevare pretesi errores in iudicando o in procedendo in cui sarebbe incorso altro giudice con pronuncia vincolante nei loro confronti; iii) le questioni con cui i giudici a quibus vorrebbero essere autorizzati a porre rimedio a pretese violazioni del diritto di difesa, del principio del giusto processo o di altri diritti fondamentali delle parti che si sarebbero perpetrate nel giudizio di legittimità; iv) le questioni con cui il giudice dell’esecuzione intenderebbe sottoporre a vaglio di costituzionalità una norma penale applicata, in via ormai definitiva, nel giudizio di cognizione.

Per agevolare la comprensione della sistematizzazione della giurisprudenza qui proposta, si precisa che per le sentenze sub ii) e iii) le ordinanze di promovimento sono emesse indistintamente in sede di giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, in sede di esecuzione di sentenza (definitiva) del giudice della cognizione, ovvero ancora in sede di revisione72. Le sentenze sub i) e iv), invece, non sono, né potrebbero, essere emesse in sede di giudizio di rinvio, stante il fatto che il risultato auspicato dal giudice a quo gli sarebbe già consentito ad ordinamento giuridico immutato. In sede di rinvio, infatti, il giudice potrebbe direttamente applicare lo ius superveniens (e, quindi, anche l’eventuale lex mitior sopravvenuta al giudizio di annullamento con rivio della Corte di cassazione) e potrebbe altresì sollevare una questione di legittimità costituzionale delle norme già interpretate nella sentenza di legittimità73. Ciò chiarito, si passa ad analizzare la casistica giurisprudenziale.

Con la sent. n. 74 del 1980 la Corte ha ricordato che l’applicazione delle disposizioni penali più favorevoli al reo può subire limitazioni o deroghe, purché sostenute da razionale giustificazione da parte del legislatore. Tale è l’“esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti, perseguita statuendo l’intangibilità delle sentenze divenute irrevocabili”. Ne deriva che la norma che impedisce al giudice dell’esecuzione di concedere la

72 Ne deriva che le relative questioni di legittimità costituzionale hanno ad oggetto,

rispettivamente, le norme processuali che in ciascun tipo di giudizio vincolano il giudice a

quo ad attenersi al contenuto della sentenza precedente.

sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice della cognizione non fosse stato in grado di ordinarla per aver deciso irrevocabilmente prima dell’entrata in vigore della norma che la disciplinava, è esente dai vizi di legittimità costituzionale sollevati in riferimento all’art. 3 Cost. Né essa si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., “poiché i diritti di azione e di difesa non implicano certo che il condannato possa contestare in ogni tempo la sentenza di condanna penale, pur quando l’intangibilità del giudicato sia stata ragionevolmente e coerentemente mantenuta ferma dal legislatore”.