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Segue: la definitività dell’accertamento giudiziale contenuto nelle

2. L’autonomia procedurale degli Stati membri: fondamento normativo e recent

2.1. Segue: i confini dell’autonomia procedurale degli Stati membri sub specie

2.1.3. Segue: la definitività dell’accertamento giudiziale contenuto nelle

Esaminati gli approdi della giurisprudenza in materia di definitività del provvedimento amministrativo oggetto di sentenza passata in giudicato e di impugnazione del lodo arbitrale in contrasto con il diritto dell’Unione è necessario adesso soffermarsi sulle sentenze che più direttamente hanno trattato il tema dei limiti all’autorità di cosa giudicata, adattando i princìpi di autonomia procedurale, equivalenza ed effettività a questo istituto del tutto peculiare, perché fondante, come riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia, i sistemi processuali degli Stati membri e della stessa Unione.

Il principio generale in materia è enunciato con particolare chiarezza nella sent. Kapferer89. Il giudice austriaco di primo grado aveva respinto l’eccezione di incompetenza territoriale proposta dalla parte convenuta e

86 Caso Asturcom, cit., parr. 44 s.

87 L’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, n. 93/13/CEE, ai sensi del quale

“Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra

un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”.

88 Caso Asturcom, cit., parr. 51 s. 89 Caso Kapferer, cit.

respinto, nel merito, la domanda attorea. La statuizione sul merito era stata appellata dall’attrice mentre, nell’inerzia della convenuta, si era formato il giudicato interno quanto alla statuizione sulla competenza. Il giudice dell’appello chiedeva quindi alla Corte di giustizia se il principio di leale collaborazione imponesse di riesaminare comunque ed eventualmente annullare la decisione giurisdizionale passata in giudicato adottata in violazione dei criteri di assegnazione della competenza territoriale ai sensi del reg. n. 44 del 2001. A tal proposito, richiamava la sent. Kühne & Heitz90, domandandosi se i princìpi ivi espressi in materia di riesame del provvedimento amministrativo definitivo potessero trasporsi al riesame della decisione giurisdizionale passata in giudicato.

La Corte ribadisce l’importanza del principio della cosa giudicata e la competenza degli Stati membri a disciplinarne le modalità di attuazione, fermo restando il rispetto dei princìpi di equivalenza ed effettività. Poiché, però, il rispetto di tali limiti non era stato posto in dubbio dal giudice remittente, la questione andava risolta nel senso che “il principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale passata in giudicato qualora risulti che questa viola il diritto comunitario”91.

L’argomentazione della sentenza, che fa capo anzitutto all’importanza del giudicato e della certezza del diritto nell’ordinamento dell’Unione e degli Stati membri, mostra una certa reverenza della Corte nei confronti dell’istituto, in quanto, a ben vedere, la questione avrebbe potuto essere risolta con un semplice distinguishing che rilevasse l’assenza nel caso di specie della prima delle condizioni poste in Kühne & Heitz, ovvero la previsione da parte del diritto interno della facoltà da parte dell’autorità nazionale di ritornare sulla decisione divenuta definitiva. Fondare la decisione su questa sola argomentazione (che la Corte in effetti utilizza, ma solo ad adiuvandum) le avrebbe consentito di lasciare aperta la questione

90 Già analizzata nel par. 2.1.1. 91 Caso Kapferer, cit., par. 24.

della trasponibilità dei princìpi individuati con riferimento al provvedimento amministrativo definitivo nell’ambito delle decisioni giurisdizionali passate in giudicato. Apertura che, evidentemente, la Corte non aveva interesse a lasciar permanere, preferendo adottare una posizione più netta a favore della stabilità del diritto e dei rapporti giuridici.

Una violazione del principio di effettività è invece riscontrata nella sent. Fallimento Olimpiclub92. La società a responsabilità limitata Olimpiclub aveva stipulato con l’omonima associazione Polisportiva93 un contratto che consentiva all’associazione di usare tutte le attrezzature di un complesso sportivo di proprietà della società, assumendo l’obbligo del pagamento allo Stato italiano del canone demaniale, di una somma a titolo di rimborso delle spese forfettarie annuali e di tutte le entrate lorde dell’associazione, consistenti nell’ammontare complessivo delle quote associative annuali versate dai soci. L’amministrazione fiscale riteneva che le parti contrattuali avessero inteso perseguire un fine elusivo e in particolare: la società avrebbe trasferito all’associazione non avente fini di lucro tutte le incombenze amministrative e gestionali del complesso sportivo interessato, pur beneficiando del reddito prodotto da tale associazione sotto forma di quote associative versate dai membri della medesima e, a tale titolo, non soggetto ad IVA. Nell’ambito del contenzioso tributario susseguitone, due sentenze passate in giudicato avevano accertato l’esistenza di validi motivi economici che giustificavano la stipulazione del contratto, escludendone il carattere elusivo. La società, pertanto, invocava l’autorità di cosa giudicata di tale accertamento in una controversia relativa al medesimo rapporto contrattuale, ma a diverso periodo d’imposta.

Nell’ambito di quest’ultimo giudizio, la Corte di cassazione sollevava una questione pregiudiziale per chiedere “se il diritto comunitario osti all’applicazione […] di una disposizione di diritto nazionale, come l’art. 2909 del codice civile, in una controversia vertente sull’IVA afferente ad un’annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una sentenza

92 Caso C-2/08, Fallimento Olimpiclub, EU:C:2009:506.

93 I cui membri fondatori coincidevano per la maggior parte con i detentori delle quote sociali

definitiva, nel caso in cui la disposizione di cui trattasi impedisca a tale giudice di prendere in considerazione le norme di diritto comunitario in materia di pratiche abusive legate a detta imposta”94. Il giudice remittente riferiva che, anche se le due sentenze invocate dalla società riguardavano periodi d’imposta diversi, gli accertamenti ivi operati nonché la soluzione adottata sarebbero diventati vincolanti nella causa principale, perché coperti dall’autorità di cosa giudicata95.

L’ordinanza di rinvio propone di risolvere il quesito muovendo dalla natura delle norme sostanziali UE che assume violate e, in particolare, dall’importanza che la riscossione dell’IVA riveste nella costituzione delle risorse proprie dell’Unione. Il giudice a quo si chiede se il superamento del giudicato in contrasto con il diritto UE possa invocarsi anche al di fuori della fattispecie di cui alla sent. Lucchini96, relativa all’erogazione di aiuti di Stato illegittimi, per consentire la piena attuazione del principio della lotta all’abuso di diritto, elaborato dalla giurisprudenza della Corte quale strumento diretto a garantire la piena applicazione del regime UE dell’IVA. A tal riguardo, la Corte di cassazione ritiene di scorgere “una certa tendenza nella giurisprudenza della Corte a relativizzare il valore del giudicato nazionale e a esigere di non tener conto di tale giudicato al fine di rispettare il primato delle disposizioni del diritto comunitario ed evitare un conflitto con le medesime”97.

La Corte di giustizia ribalta la prospettiva di diritto sostanziale proposta dal giudice remittente e iscrive la soluzione della questione pregiudiziale nel solco nella propria giurisprudenza in materia di autonomia procedurale degli Stati membri. Ribadito il principio che “il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò

94 Caso Fallimento Olimpiclub, cit., par. 19.

95 Occorre osservare, però, che tale interpretazione dell’art. 2909 cod. civ. non era pacifica.

La stessa giurisprudenza di legittimità, infatti, aveva precedentemente sostenuto l’opposto principio della frammentazione dei giudicati, alla stregua del quale ciascun periodo d’imposta avrebbe potuto costituire oggetto di nuovo accertamento.

96 Caso C-119/05, Lucchini, EU:C:2007:434. Sulla sentenza si tornerà diffusamente nel par.

3.1.

permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione”98, la Corte passa ad affrontare il problema del rispetto da parte della normativa nazionale del principio di effettività. A tale scopo, sottolinea come nel caso di specie si tratti di determinare i limiti esterni del giudicato, ovvero la sua capacità di fare stato tra le parti nel contenzioso susseguente quanto a un particolare aspetto del rapporto giuridico sub iudice.

La Corte nega che la limitazione all’effetto utile derivante dall’interpretazione soprammenzionata dell’art. 2909 cod. civ. possa essere giustificata alla luce della salvaguardia del principio della certezza del diritto. La necessità di tener fermo l’accertamento giudiziale contenuto nella sentenza passata in giudicato, infatti, può e deve trovare spazio con riferimento allo specifico rapporto giuridico dedotto in giudizio. Tale non è, però, il rapporto concernente un esercizio fiscale diverso, in quanto, a voler ritenere altrimenti, la non corretta applicazione delle norme UE si riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, rendendo impossibile porvi rimedio per un tempo potenzialmente indefinito.

La ratio utilizzata dalla Corte nella soluzione del caso, allora, pare iscriversi nel solco della versione più tradizionale (e meno invasiva) del principio di effettività, quella dell’impossibilità di far valere il diritto UE, intesa come chance astratta di tutela giurisdizionale (nel caso di specie non dei diritti dei singoli ma) degli interessi patrimoniali dell’Unione.

Una nuova applicazione dei consolidati princìpi di effettività ed equivalenza alla disciplina nazionale in materia di giudicato è riscontrabile nel caso Pizzarotti99. La complessa vicenda giudiziaria portata all’attenzione della Corte di giustizia traeva origine da un bando di ricerca di mercato per la realizzazione della sede unica degli uffici giudiziari di Bari e dal ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale dall’impresa vincitrice avverso il silenzio serbato dal Comune sulla seconda proposta da lei formulata a seguito dell’azzeramento dei fondi pubblici in principio disponibili per la realizzazione dell’opera. Il Consiglio di Stato,

98 Caso Fallimento Olimpiclub, cit., par. 23.

pronunziandosi in secondo grado, ordinava al Comune, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, di verificare, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico100.

Successivamente adito in sede di esecuzione, il Consiglio di Stato dichiarava l’inottemperanza del Comune di Bari e gli ordinava di dare piena e integrale esecuzione alla precedente pronuncia entro il termine di trenta giorni, nominando, per il caso di ulteriore inottemperanza, un commissario ad acta. Il commissario ad acta riconosceva valide le proposte della Pizzarotti e constatava, di conseguenza, che il procedimento attivato con il bando di ricerca di mercato in questione si era concluso positivamente. Da parte sua, la Giunta comunale di Bari concludeva il procedimento ravvisando la non conformità della seconda proposta presentata dalla Pizzarotti alle indicazioni del bando.

Sia la Pizzarotti che il Comune proponevano nuovo ricorso in ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato. La Pizzarotti lamentava che il Comune non avrebbe dato corretta esecuzione alla prima sentenza del Consiglio di Stato resa in sede di ottemperanza, perché non si sarebbe impegnato contrattualmente ai fini della realizzazione della nuova cittadella giudiziaria. Il Comune contestava che non si sarebbe tenuto conto del deterioramento delle condizioni di realizzazione del progetto, determinante per l’ulteriore corso del procedimento.

Il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso della Pizzarotti e respingeva quello del Comune. Riteneva incompleta l’esecuzione da parte del commissario ad acta e statuiva che occorresse procedere all’adozione degli atti necessari alla concreta realizzazione della seconda proposta della società. Con successivo provvedimento il commissario ad acta concludeva che il bando di ricerca di mercato non aveva avuto esito positivo. La prima proposta della Pizzarotti, come riformulata nel corso del 2004, sarebbe stata irrealizzabile a causa della perdita di parte del finanziamento pubblico,

100 Tale sentenza veniva impugnata dal Comune di Bari con ricorso per revocazione e con

ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, che venivano dichiarati l’uno inammissibile e l’altro respinto nel merito.

mentre la seconda, con cui si prospettava la locazione di edifici da costruire a titolo privato, sarebbe stata del tutto incongrua rispetto all’obiettivo originario del Comune.

Nuovamente adito dalla società, il Consiglio di Stato, con una terza pronuncia resa in sede di ottemperanza, accoglieva il ricorso. Sottolineando l’incoerenza delle conclusioni circa l’esito del suddetto bando cui erano pervenuti, rispettivamente, il primo e il secondo provvedimento commissariale, i giudici di Palazzo Spada ritenevano che la sola conclusione che s’imponesse fosse quella di cui al primo dei summenzionati atti. Si riaffermava la necessità, per il commissario ad acta, di attivare le procedure occorrenti per l’adozione della seconda proposta della società e si dichiarava nullo l’ultimo provvedimento, per essere stato emesso in violazione del giudicato.

Successivamente, il nuovo commissario ad acta nominato poneva in essere tutte le attività necessarie per addivenire all’adozione di una variante urbanistica al piano regolatore generale del Comune relativa ai terreni interessati dalla costruzione della cittadella giudiziaria progettata. La Pizzarotti impugnava detta decisione dinanzi al Consiglio di Stato per violazione del principio dell’intangibilità del giudicato.

Il Consiglio di Stato si rivolgeva quindi alla Corte di giustizia per chiedere, in primo luogo, se uno stipulando contratto di locazione di un immobile futuro sotto forma di un atto di impegno a locare detto bene costituisse, malgrado la presenza di alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione, un contratto d’appalto di lavori sottratto all’applicazione della specifica ipotesi di esclusione prevista all’art. 16, par. 1, lett. a), della direttiva 2004/18101.

In secondo luogo, nell’ipotesi di risposta affermativa alla prima questione, se potesse ritenere inefficace il giudicato formatosi nel caso di

101 Ai sensi del quale “La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi

[…] aventi per oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità

finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni; tuttavia, i contratti di servizi finanziari conclusi anteriormente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisto o di locazione rientrano, a prescindere dalla loro forma, nel campo di applicazione della presente direttiva”.

specie con la prima sentenza resa in sede di ricorso avverso il silenzio, nei limiti in cui esso avrebbe portato, in ragione delle ulteriori decisioni di esecuzione e dei provvedimenti del commissario ad acta, a una situazione incompatibile con il diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. Al riguardo il Consiglio di Stato evidenziava che, in virtù della propria giurisprudenza, esso poteva, a determinate condizioni, integrare l’originario disposto di una delle sue decisioni con una statuizione che ne costituisse attuazione, dando luogo a un giudicato a formazione progressiva.

La Corte di giustizia, quanto alla prima questione, statuisce che un contratto che abbia per oggetto principale la realizzazione di un’opera che risponda alle esigenze formulate dall’amministrazione aggiudicatrice costituisce un appalto pubblico di lavori e non rientra, pertanto, nell’esclusione dall’applicazione della normativa UE sugli appalti prevista per i contratti di locazione.

Ciò chiarito, passa ad affrontare il tema che qui interessa, ovvero i limiti alla definitività dell’accertamento giudiziale contenuto in una sentenza passata in giudicato o, più precisamente, in una serie di sentenze rese dal giudice amministrativo. La sentenza riafferma il principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri e della necessità di vagliare il rispetto da parte della normativa interna dei princìpi di equivalenza ed effettività.

Quanto al primo, la Corte con una buona dose di self-restraint valorizza il ruolo del giudice nazionale e gli rimette interamente il compito di verificare l’applicabilità nel caso di specie del giudicato a formazione progressiva quale strumento per privilegiare “fra le «molteplici e diverse soluzioni attuative» di cui tale decisione può essere oggetto secondo le sue proprie indicazioni, quella che, conformemente al principio di effettività, garantisca l’osservanza della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici di lavori”102. Tanto, con la precisazione che, nel caso in cui la normativa interna non gli consentisse di raggiungere tale risultato, “il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche

quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto UE”103.

Quanto al principio di effettività, la Corte sottolinea la distanza che intercorre tra la fattispecie in esame e quella affrontata nel caso Lucchini, rilevando come quest’ultima concernesse una situazione “del tutto particolare”, perché relativa a “principi che disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione europea in materia di aiuti di Stato”, mentre, nel caso in esame, non si presentano “simili questioni di ripartizione delle competenze”104. Ancora una volta, dunque, appare confermata la cautela della Corte di giustizia nell’affrontare il tema dei limiti al giudicato nazionale, che riluce nel caso di specie sia nell’adozione di una nozione di equivalenza estremamente rispettosa delle competenze del giudice nazionale quanto all’individuazione della normativa interna rilevante, sia nella limitazione dell’ambito di applicabilità del caso Lucchini alle sole ipotesi in cui venga in gioco la fondamentale ripartizione delle competenze tra Stato membro e Unione105 e non, dunque, quale precedente cui appellarsi ogni qualvolta il superamento del giudicato si mostri quale unica via per poter porre fine a una violazione del diritto dell’Unione.

Tale principio trova ulteriore conferma e precisazione nella sentenza Târșia106, relativa alla possibilità di desumere dal diritto dell’Unione un obbligo per lo Stato membro di estendere anche al contenzioso civile l’ipotesi di revocazione per violazione del diritto dell’Unione già disciplinata dal diritto interno, ma in relazione alle sole decisioni definitive pronunciate nell’ambito del contenzioso amministrativo. La questione pregiudiziale è sollevata nel corso di un giudizio per revocazione proposto avverso una sentenza civile che condannava il ricorrente al pagamento di una tassa sull’inquinamento per gli autoveicoli che la Corte di giustizia aveva dichiarato incompatibile con l’art. 110 TFUE nella sent. Tatu107, pronunciata successivamente alla data in cui la decisione giurisdizionale di cui si chiedeva

103 Caso Impresa Pizzarotti, cit., par. 59. 104 Caso Impresa Pizzarotti, cit., par. 61. 105 Sul punto, si tornerà ampiamente nel par. 3. 106 Caso Târșia, cit.

la revocazione era divenuta definitiva. Tuttavia, l’ipotesi di revocazione per violazione del diritto UE era prevista nell’ordinamento rumeno solo nei confronti di decisioni definitive e irrevocabili pronunciate dalle autorità giurisdizionali amministrative, sicché, vertendosi nel caso di specie in materia civile, il giudice nazionale non avrebbe potuto accogliere, ai sensi del diritto interno, la domanda di revocazione. Il giudice del rinvio, pertanto, chiedeva “se il diritto dell’Unione, segnatamente i principi di equivalenza [e] di effettività, debba essere interpretato nel senso che osta alla circostanza che un giudice nazionale non disponga della possibilità di revocare una decisione giurisdizionale definitiva pronunciata nel contesto di un ricorso di tipo civile, allorquando tale decisione si rivela incompatibile con un’interpretazione del diritto dell’Unione accolta dalla Corte successivamente alla data in cui l’anzidetta decisione è divenuta definitiva, e ciò sebbene una possibilità del genere sussista per quanto attiene alle decisioni giurisdizionali definitive incompatibili con il diritto dell’Unione pronunciata nel contesto dei ricorsi di natura amministrativa”108.

Quanto al principio di equivalenza, la Corte sottolinea come esso presupponga “un pari trattamento dei ricorsi basati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, analoghi, basati su una violazione del diritto dell’Unione, e non già l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi aventi diversa natura”, quali, nel caso di specie, il contenzioso civile, da un canto, e il contenzioso amministrativo, dall’altro. Inoltre, il principio di equivalenza non è rilevante in una situazione “che riguarda due tipi di ricorsi fondati, sia l’uno sia l’altro, su una violazione del