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Il caso della minoranza che detiene un potere di blocco formale: il

Analisi di alcuni casi giurisprudenziali e delle rispettive ipotesi dottrinal

1. L’ ipotesi di abuso esterno all’adunanza assembleare: l’abuso del diritto di richiedere la convocazione da parte del socio ex art 2367 c.c.

2.2 Mancata approvazione di una delibera di aumento del capitale sociale

2.2.1 Il caso della minoranza che detiene un potere di blocco formale: il

lodo arbitrale del 18 dicembre 2006

La prima decisione che testimonia l’approdo delle ipotesi di abuso di minoranza di fronte ai giudici italiani è in realtà un lodo arbitrale del 18 dicembre 2006145.

Secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti, la società P. s.r.l. dall’inizio del 2002 fino al momento dell’apertura della controversia, non è riuscita a deliberare l’aumento del capitale sociale. Quest’ultimo era collegato da un punto di vista funzionale all’aumento del capitale già deliberato dalla propria partecipata G. S.p.a. necessario in vista della realizzazione di un piano industriale. L’aumento di capitale di P. S.r.l. era stato più volte negato a causa del voto negativo del socio di minoranza CFN, titolare di una quota pari al 40%. Questa era una situazione nella quale, in assenza di motivazioni del socio di minoranza

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Lodo arbitrale 18 dicembre 2006 Pres. Randazzo – S.I.G. s.p.a. contro C.F.N. s.p.a., in Corriere

tali da poter giustificare la sua posizione, si sarebbe potuto ipotizzare un caso di “minoranza di bloccaggio”146

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La necessità dell’aumento di capitale della P. S.r.l. si ravvede nei rapporti che questa ha con la G. S.p.a.; infatti la P. S.r.l. detiene direttamente il 22% della G. S.p.a. ed indirettamente la residua parte del capitale sociale (di G. S.p.a.), attraverso la società E. S.r.l.. Perciò un mancato aumento del capitale della P. S.r.l., comporta una impossibilità di sottoscrivere il rispettivo aumento di capitale della G. S.p.a. e di predisporre i mezzi finanziari necessari al sostegno del suo piano industriale, impedendo di salvaguardare il valore delle azioni che P. ha in G.

Le reiterate opposizioni del socio CFN alle proposte di aumento del capitale sociale di P. S.r.l. sono state motivate attraverso una serie di atti, quali ad esempio la critica all’operato degli amministratori e la contestazione delle modalità previste per l’esecuzione dell’aumento, poi rivelatesi non veritiere alla luce delle circostanze di fatto. Inoltre, da sottolineare, sono le numerose iniziative giudiziarie, sempre effettuate dal socio CFN, che hanno avuto quale conseguenza il blocco delle attività di P. e dello sviluppo della controllata G. Iniziative che si sono tutte concluse con esito sfavorevole per il socio di minoranza e con l’affermazione da parte dei giudici della piena legittimità dell’operato degli amministratori di P.

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“Per minoranza di bloccaggio abbiamo detto che si intende proprio quel socio (o soci) che pur non disponendo di un vero potere di decisione, attraverso un atteggiamento sistematico di opposizione di fatto beneficia di un diritto di controllo rafforzato, il cui esercizio può provocare effetti negativi sulla gestione”. Da un diritto di voto si passa ad un diritto di veto. (RORDORF,

Minoranza di blocco ed abuso di potere nelle deliberazioni assembleari di s.p.a., in Corr. Giur.,

Per comprendere meglio, bisogna evidenziare come gli amministratori di G. avevano elaborato un piano industriale che prevedeva e necessitava di un sostegno finanziario da parte di P., che tale piano risponde all’interesse di G. e di P. e, di conseguenza, che un mancato aumento di capitale di P., come già sottolineato, è dannoso per l’intero gruppo societario. Perciò la condotta di CFN ha oggettivamente determinato una alterazione dei rapporti tra i soci e della dialettica societaria.

Si può notare dai vari verbali di udienza che il comportamento di CFN non è stato improntato al rispetto dell’obbligo di cooperazione fra i soci ma piuttosto ha perseguito un interesse egoistico, extra sociale, quale quello di acquisire una partecipazione diretta in G. o negoziare le modalità di gestione di essa147. Che il comportamento di CFN mirasse a perseguire interessi in contrasto con quelli del socio di maggioranza, è confermato proprio dal rifiuto di approvare le molteplici proposte di aumento del capitale che sono intercorse tra il 2002 e il 2005. Successivamente nonostante la misura di tale aumento sia andata diminuendo rispetto all’originaria proposta, il diniego del socio di minoranza non è venuto meno148 nemmeno nel momento in cui l’operazione consisteva nella conversione a capitale di una parte dei finanziamenti dei soci, già effettuati in precedenza, che di conseguenza non avrebbero comportato ulteriore esborso di denaro per gli azionisti. A conferma della inattendibilità delle motivazioni che CFN ha apposto ai suoi dinieghi, vi è il provvedimento del Tribunale di Milano, in data 3 aprile

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Come risulta dal verbale di udienza dell’8 gennaio 2003 innanzi al Trib. Milano e da altri documenti, come riportati da RORDORF, Minoranze di blocco ed abuso di potere nelle

deliberazioni assembleari di s.p.a., in Corr. Giur., 2007, p. 1445. 148

2003, che all’esito del procedimento ex art. 2409 c.c. promosso dalla stessa CFN contro gli amministratori di P., ha stabilito che le condotte degli amministratori non fanno rilevare nessun comportamento irragionevole, avendo questi ultimi valutato la situazione in cui versava la G. S.p.a. prima di proporre l’aumento di capitale.

La situazione a cui si è ora fatto riferimento era la seguente: CFN non voleva rinunciare agli interessi che aveva maturato grazie al prestito fatto alla società e così non permetteva di contenere l’ammontare dell’aumento di capitale dovendo, mediante quest’ultimo, andare a coprire anche le somme da restituire proprio ai soci finanziatori; inoltre la previsione di un sovrapprezzo delle azioni era un elemento di vantaggio per i soci che, se non avessero sottoscritto l’aumento di capitale, avrebbero potuto rivendere il loro pacchetto azionario ad un valore maggiore; ancora, il maggior costo derivante dall’operazione di aumento del capitale era utile e vantaggioso per P. poiché un ulteriore indebitamento149, per quest’ultima, non era consigliato, vista la situazione di conflittualità interna fra i soci. Infine, la società P. era una società finanziaria e il mancato finanziamento di G. rischiava di farle perdere il controllo sulla controllata, avendo previsto quest’ultima, che in caso di mancato aumento di capitale di P. per acquisire le nuove azioni emesse da G., sarebbe venuto meno il diritto di opzione per i soci. Ma se P. è una società finanziaria e il mancato sostegno a G. le causerebbe una perdita di valore delle partecipazioni, questo non andrebbe contro il suo oggetto

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Dato dal finanziamento che avrebbe dovuto chiedere a terzi se non si fosse disposto un aumento di capitale.

sociale, contro la stessa finalità per cui è nata e quindi a maggior ragione non si comprende il comportamento del socio minoritario CFN.

Per concludere e sottolineare come un comportamento ostruzionistico da parte della minoranza possa causare, al pari di un abuso di maggioranza, dei danni alla controparte e alla società stessa, si riporta la decisione a cui è giunto il lodo arbitrale a cui stiamo facendo riferimento. Da un lato il piano economico predisposto da G. non è sindacabile dall’autorità giudiziaria o arbitrale, né da parte dei singoli soci, essendo questo frutto di una scelta gestionale degli amministratori; dall’altro lato, il comportamento del socio minoritario di P. è andato a paralizzare la realizzazione del piano industriale. La possibilità di attuare quest’ultimo con mezzi finanziari alternativi non poteva giustificare il comportamento tenuto da CFN, non essendo tali soluzioni alternative più vantaggiose per la società e per gli stessi soci, ma anzi andando esse a creare un danno, per questi ultimi, sproporzionato rispetto agli interessi rivendicati dal socio minoritario.

Alla luce di queste considerazioni la condotta di CFN non può che considerarsi in violazione di quei principi di buona fede e correttezza, che nell’esecuzione di un rapporto contrattuale (ex art. 1375), ma più in generale nell’esecuzione di un rapporto giuridico (ex art. 1175), devono essere rispettati per una ragionevole convivenza all’interno della società.

L’aver accertato la responsabilità di CFN fa sorgere il problema del danno sofferto dal socio di maggioranza, un danno che sicuramente sussiste, ma per il quale è discusso il rimedio. Sarà nel terzo capitolo che cercheremo infatti di comprendere quali possano essere le soluzioni che si può adottare per arginare e

sanzionare l’ostruzionismo della minoranza in questo caso e l’abuso di minoranza più in generale.