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Teoria che ritiene la delibera negativa non impugnabile

LA DELIBERA NEGATIVA E LE SANZIONI IN MATERIA DI ABUSO DI MINORANZA

4. Impugnabilità della delibera negativa

4.1 Teoria che ritiene la delibera negativa non impugnabile

Partendo dalla seconda impostazione, cioè dalla tesi231 che ritiene la reiezione della proposta assembleare non impugnabile ex art 2377 c.c. perché non qualificabile come delibera assembleare, è necessario comprendere quali siano le soluzioni alternative che, onde evitare di lasciare un vuoto di tutela, sono avanzate dai fautori di tale orientamento.

Essi ritengono che le ipotesi di reiezione della proposta assembleare che possiamo individuare siano molteplici: l’errore di calcolo da parte del presidente dell’assemblea; il rigetto della proposta dovuto al voto determinante del socio in conflitto di interessi ovvero il rigetto della proposta dovuto all’esercizio abusivo del voto da parte del socio di minoranza o in posizione paritaria.

Dei casi ora menzionati l’orientamento suddetto esamina in maniera più attenta il secondo e il terzo, i quali, “secondo un insegnamento costante della dottrina e della giurisprudenza, appartengono ad un unico genere di condotta illegittima”232

.

231

CENTONZE, op. cit., pp. 424 ss.

232

Seppur la “fattispecie” sotto cui si riconducono le due ipotesi sia la stessa, cioè il limite all’esercizio del diritto di voto, abbiamo visto come sussista una differenza sull’interesse che è oggetto di tale limite.

Da un lato, nel caso di conflitto di interessi si ha un interesse proprio del socio o di terzi, sia anti–sociale che extra–sociale, che causa un danno anche potenziale alla società233; dall’altro, il socio (nel nostro caso di minoranza) esercita in maniera abusiva il proprio diritto di voto, perseguendo, in violazione dei principi di buona fede e correttezza, un interesse personale volto a creare un pregiudizio, anche potenziale, agli altri soci234.

Questa considerazione preliminare risulta fondamentale per il proseguo della trattazione, dove proveremo ad applicare le soluzioni prospettate per le ipotesi di conflitto di interessi alle ipotesi di abuso.

Perché sussista un rigetto della proposta assembleare contra ius è necessario che concorrano le seguenti condizioni: che vi sia una partecipazione sociale detenuta da un socio in conflitto di interessi o di un socio che ha abusato del proprio potere che debba essere espunta dalla base di calcolo del quorum deliberativo; che, attraverso la c.d. prova di resistenza, la partecipazione di quel socio sia determinante per l’approvazione della delibera.

Date queste condizioni per presupposte evidenziamo come questa prima dottrina ritenga che, sia per le ipotesi di voto in conflitto sia per quelle di abuso, sussista la possibilità di invalidare il voto. Il problema consiste nel fatto che

233

DI BITONTO, Abuso del diritto di voto a carattere ostruzionistico (c.d. “delibere negative”:

profili sostanziali), in Le Società, 6/2015, 701, 234

ritenendo non impugnabile la delibera negativa, perché non esistente, è necessario procedere all’annullamento del singolo voto determinante. Nel far ciò essi ritengono che l’annullamento, se avvenisse per mano del giudice, estenderebbe a tali ipotesi i presupposti di esercizio di un’azione di tipo costitutivo, andando perciò ad urtare con il principio di tassatività delle azioni di tale natura235, principio che, secondo questa tesi, non può essere scalfito.

Allora la soluzione viene riscontrata, come abbiamo detto, nel considerare il conflitto di interessi e il principio di correttezza e buona fede236 come limiti all’esercizio del diritto di voto237

e così la violazione di tale limite comporterebbe la nullità ovvero l’inefficacia238

del voto stesso. In entrambi i casi, nonostante la riforma del diritto societario del 2003, essi considerano sussistere un divieto di voto che se violato conferisce al giudice la possibilità di emettere una sentenza

235

Sul principio di tassatività delle pronunce costitutive vedi RICCI ARMANI, Le delibere di

rigetto adottate dalla maggioranza assembleare in conflitto di interessi, in Riv. dir. comm., 1997,

I, p. 100; RORDORF, op. cit., p. 812; CIAN, op. cit., p. 158. Il principio di tassatività delle pronunce costitutive, però, come diremo in seguito non è privo di osservazioni sia da parte della giurisprudenza (Trib. Milano, 28 novembre 2014, in Giur. Comm., 2016, II, p. 200), sia da parte della dottrina (PINTO, Il problema dell’impugnazione della delibera negativa nella

giurisprudenza delle imprese, in Riv. dir. civ., III, 2016, pp. 901 ss.) 236

Principio la cui esistenza oramai diamo per scontato viste le considerazioni fatte nei precedenti capitoli

237

Ripetiamo come non ci sia una funzionalizzazione del diritto di voto, ma comunque sussistano dei limiti nell’esercizio dello stesso.

238

Il conflitto di interessi e l’abuso del diritto di voto sono patologie, prima, del singolo voto, poi, se questo è stato determinante per l’approvazione della delibera anche di quest’ultima. Vedi per un maggiore approfondimento CENTONZE, op. cit., p. 435 nt. 73.

dichiarativa di accertamento, non costitutiva239, che può pronunciare senza bisogno di un’espressa previsione di legge.

Così facendo si permetterebbe al giudice di effettuare lo scomputo dal

quorum del voto viziato, una volta verificata la sua illiceità, per violazione del

divieto. Ovviamente lo scomputo è sottoposto alla sussistenza anche della seconda condizione sopra richiamata, cioè che il voto sia determinante per la non approvazione della delibera.

Secondo questa impostazione l’attività di scomputo non potrebbe essere effettuata dal Presidente dell’assemblea, infatti l’art 2371 c.c.240

stabilisce che egli ha solo la possibilità di verificare la legittimazione formale del socio votante241 e non anche la liceità della causa del voto. Perciò, il Presidente effettua un vaglio di legalità del procedimento assembleare, non sostanziale nel merito, ma formale, in conformità con i poteri a lui attribuiti dalla disposizione suddetta242.

Secondo questa dottrina è lo stesso sistema che attraverso la disposizione dell’art. 2373 c.c. permette di effettuare questo ragionamento e attribuisce al giudice, e solo a lui, il potere di accertare che i voti siano illegittimi e, quindi, di scomputarli dal calcolo del quorum.

239

Andando in questo modo a risolvere il problema che parte della dottrina (RORDORF, L’abuso

di potere della minoranza, in Società, 1999, 812) e della giurisprudenza (Cass., 26 agosto 2004, n.

16999, in Società, 2005, 599) rileva osservando che nel nostro ordinamento le sentenze costitutive sono tassativamente previste e fra queste non vi rientra l’ipotesi di annullamento di una delibera assembleare.

240

Rubricata “presidenza dell’assemblea” e la quale specifica i poteri del presidente dell’assemblea dei soci.

241

Legittimazione formale che spetta al socio in conflitto di interessi, salvo che egli non decida

sua sponte di astenersi. 242

Aggiungono poi, che, per quanto riguarda l’ipotesi del socio in conflitto di interessi, tale scomputo avviene sia dal numeratore che dal denominatore del

quorum, perché se riguardasse solo il numeratore l’attività del giudice sarebbe

inutile, solo così, infatti, è possibile accertare un esito opposto della votazione. Essi giustificano questa conclusione considerando l’art 2368, comma 3 c.c.243

, come la disposizione che permette lo scomputo anche dal denominatore; infatti, si equipara il socio il cui voto è illegittimo al socio astenuto (perché in conflitto) e si fa derivare dalla disposizione un principio applicabile ai casi in cui l’astensione del socio non sia spontanea, ma dovuta alla sterilizzazione da parte dell’autorità giudiziaria. Il giudice, perciò, dovrà solo accertare che i voti validi dopo la sua operazione raggiungano o meno la maggioranza richiesta per pronunciare una sentenza di accertamento che statuisce la sussistenza della delibera assembleare.

Queste ultime considerazioni, secondo alcuni autori244, non sono facilmente estendibili all’altra ipotesi, quella del socio che esercita un abuso di minoranza, poiché in questo caso la sterilizzazione del giudice porterebbe l’azionista ad essere equiparato ad un astenuto non per conflitto di interessi, ma ad un astenuto c.d.

243

Il quale statuisce espressamente che : “salvo diversa disposizione di legge le azioni per le quali

non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea. Le medesime azioni e quelle per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione del soggetto al quale spetta il diritto di voto di astenersi per conflitto di interessi non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione”.

244

SERRA, Il procedimento assembleare, in Il nuovo diritto societario. Liber amicorum Gian

Franco Campobasso, diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, 2, UTET, Torino, 2006, pp.

64 ss. Contra CIAN, La deliberazione negativa dell’assemblea nelle società per azioni., cit., pp. 149 ss. che è dubbioso per quanto riguarda le assemblee ordinarie, ma il quale, come vedremo meglio dopo, effettua anche una distinzione fra le varie ipotesi di abuso, per poter utilizzare la tecnica di scomputo.

puro che, secondo le disposizioni di diritto societario, concorre a formare la base di calcolo del quorum deliberativo e di conseguenza non si potrebbe applicare in via analogica l’art 2368, comma 3 c.c..

Secondo un’altra dottrina245

, invece, l’interpretazione prima delineata deve essere estesa anche alle ipotesi di abuso di minoranza, perché altrimenti si finirebbe per trattare in modo differente ipotesi che, abbiamo detto, non sono altro che due facce della stessa medaglia. In realtà da un punto di vista formale il ragionamento relativo alle ipotesi di abuso di minoranza non comporta l’applicazione analogica dell’art. 2368 comma 3 c.c., ma delle regole secondo cui la quota di capitale del socio in conflitto, dopo l’accertamento del comportamento illegittimo, deve essere sterilizzata.

Se, però, si dovesse ritenere questa teoria corretta, bisognerebbe considerare che, oltre alle ipotesi suddette, anche quelle di astensione “pura” rientrino nell’alveo delle condotte abusive, di conseguenza, i fautori di questa impostazione concludono che “l’esclusione per mano del giudice della partecipazione sociale dalla base di calcolo del quorum deliberativo opera come sanzione di carattere generale per i casi di condotta abusiva del socio in sede di votazione”246, facendo rientrare all’interno di tale insieme un ampia cerchia di comportamenti.

Vedremo successivamente, dopo aver esposto la seconda teoria che ritiene impugnabile la delibera negativa, come anche questa conclusione sia oggetto di critiche che dovremo necessariamente condividere.

245

CENTONZE, op. cit., p. 440.

246