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La dottrina in relazione alle ipotesi di abuso interne all’adunanza assembleare

Analisi di alcuni casi giurisprudenziali e delle rispettive ipotesi dottrinal

3. La dottrina in relazione alle ipotesi di abuso interne all’adunanza assembleare

Abbiamo finora cercato di dimostrare attraverso l’analisi di alcuni casi concreti quanto anche i soci minoritari possano con i loro comportamenti configurare un’ipotesi di abuso.

Queste considerazioni, però, ancor prima che in giurisprudenza sono state oggetto di studi da parte della dottrina, come anticipato all’interno del capitolo primo. In relazione alla specifica ipotesi della c.d. minoranza di blocco e della condotta ostruzionistica possiamo fare un accenno relativo alle realtà giuridiche a noi vicine, per poi concludere come anche nel nostro ordinamento si possa asserire che sussista un problema di tale natura e di come sia necessario trovargli una soluzione.

Ritenuto pacifico che non sia sufficiente l’esistenza di un interesse egoistico del socio di minoranza volto a perseguire un interesse personale e a procurare un pregiudizio eccessivo agli altri soci per poter parlare di abuso, dato che ad oggi l’azionista può perseguire liberamente il suo interesse, bisogna comprendere quali siano i limiti entro cui tale discrezionalità può essere esercitata.

Nel far ciò partiamo dal richiamo alla dottrina e alla giurisprudenza francese175 le quali hanno elaborato tre tesi con la finalità di individuare i limiti sopra menzionati.

Un primo orientamento prende in considerazione il principio di uguaglianza fra gli azionisti e vorrebbe far derivare dalla violazione di quest’ultimo l’abuso. In

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Vedi per i riferimenti bibliografici relativi alle esperienze francesi le note di PORTALE, op.

relazione all’ordinamento italiano però, seppur è fuori discussione che sussista tale principio, è la corretta applicazione dello stesso che ci fa propendere per l’esclusione di tale orientamento. Infatti seppur vi sia un principio di uguaglianza formale, non dobbiamo dimenticarci che sussiste anche un principio di uguaglianza sostanziale. È proprio in quest’ultimo che si può rinvenire una giustificazione del comportamento dei soci minoritari. Maggioranza e minoranza si trovano in posizioni differenti, diseguali in assemblea e il voto negativo espresso dalla seconda deve essere valutato, non tanto come violazione del principio di uguaglianza formale176, ma come uno strumento mediante il quale essa cerchi, in applicazione del principio di uguaglianza sostanziale, di attenuare le conseguenze derivanti dalla disuguaglianza economica sussistente. Le minoranze possono, anzi devono, usufruire delle prerogative sociali attribuitegli per perseguire e tutelare i loro interessi e fra queste vi è anche la possibilità di opporsi all’approvazione di una delibera assembleare.

Il secondo orientamento riprende il concetto di “eccesso di potere”, ma quanto già affermato nel primo capitolo in relazione agli abusi di maggioranza ci fa escludere di poter applicare tale teoria anche ai casi di eventuali abusi di minoranza.

Un terzo ed ultimo orientamento riprende il principio di buona fede e ritiene che il socio di minoranza lo violi nel momento in cui agisca con l’intento di nuocere alla società provocandone, consapevolmente, lo scioglimento o il cattivo

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Vedi anche sul tema: FERRARI, L’abuso del diritto nelle società, CEDAM, Padova, 1998; PORTALE, Dell’opposizione alla proroga di “impresa comune”: abus d’egalité o libertà di

funzionamento. Anche qui riprendendo quanto già affermato nel capitolo primo, rifacendosi ad Autorevolissima dottrina177, si può affermare come già alla fine degli anni novanta in Francia si siano cristallizzati i presupposti affinché si possa ritenere sussistente l’abuso di minoranza.

Tale risultato non può essere ripreso e traslato nell’ordinamento italiano perché persiste il riferimento al rapporto soci – società; l’affermarsi in Italia della concezione contrattualistica della società178, che noi diamo per pacifica, ci porta a dover sottolineare un’importante differenza fra le due realtà giuridiche.

Gli studiosi transalpini ritengono che sia interesse della società non subire lo scioglimento, perciò se la minoranza con il suo comportamento la provoca, quando avrebbe potuto evitarlo, commette un abuso. In questo caso, perciò, il rapporto che finisce sotto la lente di ingrandimento è quello tra interesse dei soci e interesse della società. In Italia, in realtà, bisognerebbe interrogarci sul reale interesse affinché la società sopravviva; infatti, potremmo rilevare che non necessariamente l’interesse sociale (la cui definizione abbiamo detto essere molto complessa e non ancora pacifica, nonostante sia certo l’approccio contrattualista odierno) consista nella sopravvivenza della società. Se i soci hanno concluso il

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PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela

risarcitoria al “gouvernement des juges”?, cit., 36, il quale espressamente ritiene che “la dottrina

e la giurisprudenza francesi ammettono un abuso di voto della minoranza di blocco quando ricorrono i seguenti presupposti che si presentano ormai tipizzati: una situazione di conflitto con l’interesse sociale; la “trasparenza” dell’operazione sottoposta all’assemblea; un voto negativo (o l’astensione) espresso dalla minoranza con lo scopo di avvantaggiarsi (o di nuocere) a danno della maggioranza, che produce il normale effetto di rompere l’eguaglianza fra i soci e, in ogni caso, quello di impedire la sopravvivenza della società”.

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JAEGER, Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?, in Giur. Comm, 1996, II, pp. 329 ss

contratto sociale con una determinata finalità e i dissidi interni non permettono più lo svolgimento fisiologico delle attività prodromiche al raggiungimento dell’obiettivo inserito nello statuto, non comprendiamo perché si debba necessariamente ritenere che questi abbiano un comportamento abusivo se non permettono alla società di sopravvivere.

Non è tanto lo scioglimento della società a fungere da sentore di un abuso, perché è possibile che la società si sciolga per l’incompatibilità sopravvenuta degli interessi individuali dei soci, ma è piuttosto un comportamento contrario ai generali principi di solidarietà contrattuale che può evidenziare come vi sia un abuso da parte, in questo caso, della minoranza. Quindi nel nostro ordinamento la lente di ingrandimento è rivolta ai rapporti tra gli interessi dei soci e non riguarda l’interesse della società.

A questa importante affermazione si è, però, giunti grazie al contributo fornito da un’altra importante realtà giuridica europea: quella tedesca. In Germania la giurisprudenza179 ha conosciuto tre importanti casi che sono risultati fondamentali per l’elaborazione di una posizione in materia.

La prima di queste controversie tratta un’ipotesi di aumento di capitale, per adeguarlo al nuovo minimo legale, di una società a responsabilità limitata partecipata in via paritetica da due soci. Uno dei due azionisti si opponeva all’aumento nonostante l’altro si fosse impegnato a sottoscriverlo integralmente, lasciando peraltro immutata l’entità degli utili e delle quote di liquidazione del

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Per i riferimenti bibliografici relativi alla giurisprudenza e alla dottrina tedesca vedi il saggio di PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela

primo. Il tribunale federale stabilì che “sussiste per i soci l’obbligo di votare per l’aumento di capitale, se dalla delibera di modifica dell’atto costitutivo non deriva alcuno svantaggio per i soci”180

Il secondo caso, che tratta ancora una volta di un aumento di capitale di una S.r.l. per adeguarlo al minimo legale, ha visto i giudici andare oltre. Essi affermano che “non ogni più piccolo svantaggio può legittimare il socio, che dalla società ha tratto ampi guadagni, a votare contro quell’operazione” la cui portata era sicuramente sopportabile181.

Infine la terza ed ultima controversia riguarda il c.d. caso Girmes–Effekten

Spiegel. Il fatto vede un direttore di una S.p.a. sollecitare il rilascio di deleghe da

parte dei soci per partecipare ad un’adunanza assembleare; in quest’ultima egli voleva votare contro la proposta di riduzione del capitale, funzionale ad un successivo aumento, concordata con i creditori sociali all’interno di un piano di risanamento della società in crisi. Il direttore riuscito a formare una minoranza di blocco fa sì che la proposta venga respinta. La conseguenza è il fallimento della società, che porta uno dei soci azionisti, ritenutosi danneggiato, ad agire nei confronti del direttore richiedendo il risarcimento del danno.

La sentenza pronunciata dal Tribunale riporta all’interno della motivazione alcuni importanti principi. In primo luogo che “un dovere degli azionisti di collaborare al salvataggio della S.p.a. G. non si può desumere dal treupflicht (dovere di fedeltà) sussistente nei confronti della società. Questa, di fronte alle

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PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela

risarcitoria al “gouvernement des juges”?, cit., p. 41 181

PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela

decisioni dei suoi soci, non gode di alcuna generale tutela alla sopravvivenza. Essi sono in condizione di porre termine, senza alcuna giustificazione sostanziale, allo scopo della società, deliberando il suo scioglimento […]”; in secondo luogo “il diritto di deliberare lo scioglimento della società è riservato, tuttavia, ad una determinata maggioranza legale o statutaria dei soci e fino a quando una siffatta delibera non è stata assunta, con la richiesta della maggioranza, società e scopo sociale continuano ad esistere. Una minoranza non può costringere allo scioglimento la società: essa, tenendo conto dello scopo della società, deve avere un’adeguata considerazione degli interessi della maggioranza, nel rispetto, comunque, del principio di proporzionalità e necessità. Nel caso di società bisognosa di risanamento, ne deriva la conseguenza che il dovere di fedeltà proibisce ai singoli azionisti di impedirne, per proprio tornaconto, il ragionevole risanamento voluto dalla maggioranza”182.

Seppur si debba tenere in considerazione che la corte nella decisione fu influenzata dalla presenza del direttore (non socio) e dal suo comportamento di istigazione al diniego della proposta, fondamentali sono per noi le motivazioni del Tribunale tedesco, che deduce l’esistenza di un dovere di fedeltà dei soci nei rapporti endosocietari. Quest’ultimo, però, si distingue dalla buona fede indicata dalla giurisprudenza e dalla dottrina francese, perché vige non solo nei rapporti soci – società, ma anche in quelli fra azionisti. Nell’esperienza giuridica tedesca, perciò, l’essenzialità della delibera non è valutata rispetto all’interesse sociale, ma rispetto all’interesse degli altri soci.

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PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela

4. (segue) la dottrina italiana, considerazioni conclusive e rinvio alle ipotesi risolutive

Relativamente all’esperienza italiana possiamo ritenerla, alla luce anche dei casi analizzati nei paragrafi precedenti, sicuramente più vicina alle posizioni tedesche, piuttosto che a quelle francesi. Possiamo così ricordare che nel nostro ordinamento con la sentenza della Corte di Cassazione n. 11151 del 1995 si è affermata l’idea per cui nell’esecuzione del contratto sociale è necessario rispettare i principi di buona fede e correttezza183 e nonostante sia pacifico che il socio abbia il diritto di esercitare le sue prerogative liberamente per perseguire i suoi interessi, questa discrezionalità è vincolata al rispetto di tali principi.

Questo ci porta a ritenere che il socio possa votare contro un aumento di capitale ovvero contro un’approvazione del bilancio, ma ci consente di ammettere che nei singoli casi concreti i giudici possano effettuare un vaglio dell’esercizio di tali prerogative sociali. Anche perché non c’è un obbligo affinché la società rimanga in vita, può darsi che le dinamiche sociali rendano evidente la necessità di porre fine all’esercizio dell’attività di impresa, ma è necessario che tutto ciò avvenga nel rispetto delle disposizioni di diritto societario. Perché se la minoranza vuole lo scioglimento della società dovrà riuscire a raggiungere tale obiettivo

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Aggiungiamo che, viste le considerazioni finora svolte, questi principi non valgono solo per la maggioranza, ma per tutti i soci che compongono la compagine sociale, poiché chiunque detenga delle prerogative sociali deve esercitarle nel suo interesse, ma con il limite e il rispetto di questi principi.

mediante l’applicazione degli strumenti a lei attribuiti, senza usufruirne in maniera illegittima184.

Giunti a conclusione che in alcuni casi sussista un abuso dei soci di minoranza, bisognerà comprendere come coloro che risultano danneggiati possano reagire. Molteplici sono le ipotesi sanzionatorie previste, ma anche nell’applicazione di queste ultime bisogna sempre ricordarsi dei principi generali che regolano i rapporti societari. Rinviamo perciò al terzo capitolo per l’analisi della nozione di delibera negativa, per la possibilità di impugnazione della stessa e per comprendere quali siano gli strumenti, che ad oggi, in assenza di un intervento del legislatore, gli operatori del diritto possono utilizzare per reagire e tutelarsi in giudizio rispetto a tali comportamenti.

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Ad esempio, riprendendo quanto scritto da PORTALE, Minoranze di blocco” e abuso del voto

nell’esperienza europea: dalla tutela risarcitoria al “gouvernement des juges”?, cit., p. 42, la

minoranza ha tutto il diritto di voler porre fine alla vita della società, ma dovrà adoperarsi a negoziare le condizioni per giungervi, reperendo il consenso da parte della maggioranza legale o statutaria prevista.

CAPITOLO III

LA DELIBERA NEGATIVA E LE SANZIONI IN MATERIA