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Diniego di una proposta di delibera di approvazione del bilancio: il

Analisi di alcuni casi giurisprudenziali e delle rispettive ipotesi dottrinal

1. L’ ipotesi di abuso esterno all’adunanza assembleare: l’abuso del diritto di richiedere la convocazione da parte del socio ex art 2367 c.c.

2.3 Diniego di una proposta di delibera di approvazione del bilancio: il

caso trattato dai giudici del Tribunale e dalla corte di Appello di Catania

Una terza ipotesi di abuso interno all’adunanza dei creditori mediante l’assunzione di un comportamento ostruzionistico da parte della minoranza è riportato da un’altra vicenda oggetto di un’importante pronuncia del Tribunale di Catania, poi impugnata e sviluppatasi anche nelle more del secondo grado di giudizio160.

I fatti oggetto della controversia vedono le società Memeto fin s.r.l. e Ugofin s.r.l. (da ora in avanti M. s.r.l. e U. s.r.l.) essere convenute in giudizio, in persona dei loro legali rappresentanti, in qualità di soci, insieme alla Findur s.r.l. e alla Stella di Bonagia s.r.l. (da ora in poi F. s.r.l. e SdB s.r.l.), della A. costruzioni S.p.a. della quale detenevano, ciascuno, il 25% del capitale sociale. Le quattro società erano in realtà le finanziarie alle quali i quattro soci fondatori avevano trasferito le proprie partecipazioni. La società A. costruzioni S.p.a. aveva nel tempo, grazie al contributo di tutti e quattro i soci, acquisito un ruolo primario nel

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Tribunale di Catania, sez. IV, 10 agosto 2007 – Pres. e rel. Macrì – Memetofin s.r.l e Ugofin s.r.l. (avv.ti Di Cataldo, Portale) contro Findur s.r.l. (avv. Girlando) e Stella di Bonagia s.r.l. (avv. Abbadessa), con nota di CIAN, Abus d’égalité, tutela demolitoria e tutela risarcitoria, in Corriere

giuridico, 2008, III, pp. 397 ss.; Corte d’Appello di Catania, 21 Luglio 2014 – Pres. e rel. Macrì –

Memetofin s.r.l e Ugofin s.r.l. (avv.ti Di Cataldo, Portale) contro Findur s.r.l. (avv. Girlando) e Stella di Bonagia s.r.l. (avv. Abbadessa), con nota di CIAN, La mistificazione del carattere

vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. Dir. Comm., 2015, Vol. II, pp. 343 ss. E’ da tener presente che sotto ogni

settore dell’edilizia. Fino al 1993 il consiglio di amministrazione era composto dai soci fondatori della società, detentori delle finanziarie sopra citate. È proprio in quell’anno, però, che ai primi succedettero i figli.

Nel 1999 al termine del primo mandato del “nuovo” consiglio di amministrazione, formato da quattro membri, più precisamente i rispettivi figli dei precedenti gestori, era emersa la condivisa convinzione che nessuno dei nuovi amministratori in carica fosse in possesso delle competenze necessarie per far uscire la società dalla difficile situazione economica in cui questa si era venuta a trovare. Di conseguenza si era deciso di passare ad un consiglio di amministrazione la cui composizione fosse di cinque membri, così da affidare il ruolo di presidente con delega alla gestione ad un soggetto A. Z. che aveva ricoperto ruoli in azienda dal 1971, da ultimo quello di direttore amministrativo. Questa scelta aveva permesso di evitare il tracollo economico finanziario e di far ritrovare alla società la redditività e la solidità patrimoniale, almeno fino ad inizio 2004. È proprio in questo anno che si sono presentate le prime spaccature all’interno del consiglio di amministrazione, quando i soci hanno votato la rimozione dall’incarico di responsabile dell’ufficio gare dell’ing. F.S.

Un altro motivo di grave contrasto fu l’incremento delle commesse pubbliche, che se da una parte avevano risollevato la società dopo la crisi degli anni novanta, dall’altra, avevano dato adito a disaccordi circa la distribuzione degli utili nel mentre conseguiti. In relazione a quest’ultimo aspetto, F s.r.l., SdB s.r.l. e i rispettivi consiglieri di amministrazione di riferimento erano propensi alla distribuzione degli ingenti utili, contrariamente a quanto sostenuto da M s.r.l., U s.r.l., i rispettivi consiglieri di amministrazione di riferimento e il presidente del

C.d.A. A.Z. i quali adottavano una linea maggiormente prudenziale che mirava a distribuire gli utili per un ammontare decisamente più limitato. Linea, quest’ultima, che aveva ottenuto la maggioranza nel C.d.A. e che si era successivamente rivelata assai previdente stante le varie controversie dall’esito incerto, relativamente all’ammontare del quantum dei crediti spettanti alla società A costruzioni S.p.a., che ancora pendevano in capo alla stessa.

I dissidi relativi alla distribuzione degli utili, che avevano visto soccombere i due soci F s.r.l. e SdB s.r.l., avevano portato questi ultimi a negare l’approvazione del bilancio dell’anno 2003 in sede a tre assemblee appositamente convocate nel corso degli anni 2004 e 2005, nonostante non vi fosse alcun rilievo che motivasse tale comportamento. Inoltre nello stesso periodo si tenevano tre assemblee straordinarie per la discussione del progetto del nuovo statuto, che venivano rinviate a causa del riproporsi della spaccatura tra i due gruppi di soci.

A causa di tale situazione di stallo nel febbraio del 2005 il C.d.A., seppur con il voto contrario dei consiglieri di riferimento di F s.r.l. e SdB S.r.l., aveva accertato l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea e di conseguenza lo scioglimento delle società. Di conseguenza nelle assemblee tenutesi nel biennio 2004 – 2005 erano stati nominati i liquidatori per lo scioglimento della società e questi ultimi avevano convocato un’ulteriore assemblea ordinaria che solo nell’estate del 2005 era riuscita ad approvare il bilancio del 2003 con il voto favorevole dei due soci fino ad allora contrari.

Proprio per tale condotta i due ricorrenti M s.r.l. e U s.r.l. avevano citato in giudizio F S.r.l. e SdB S.r.l. al fine di ottenere una loro condanna al risarcimento in solido dei danni per aver con il loro comportamento depauperato il patrimonio

dei soci ricorrenti a causa della repentina interruzione dell’attività imprenditoriale e del conseguente deprezzamento delle loro partecipazioni.

Le società attrici osservavano che la predetta condotta era finalizzata a conseguire lo stallo assembleare e di conseguenza lo scioglimento anticipato della società con lo scopo di ripartirsi il patrimonio sociale. Inoltre sostenevano che prova dell’esercizio del diritto di voto in violazione dei principi di correttezza e buona fede, da parte dei soci convenuti, era la successiva immediata approvazione del bilancio, senza alcuna correzione, nell’ambito delle suddette procedure di liquidazione. Infine contestavano a F.S. di aver ricoperto il ruolo di amministratore unico di C S.r.l., la quale aveva il medesimo oggetto sociale di A costruzioni S.p.a. di cui F.S. era a sua volta membro del C.d.A. Tale contestazione era finalizzata a rilevare una violazione da parte di F.S. dell’art 2390 c.c.161

A questo punto si costituivano in giudizio SdB S.r.l. e F S.r.l., in persona dei loro legali rappresentanti pro tempore, le quali richiedevano l’integrale rigetto della domanda per vari ordini di ragioni.

In primo luogo esse contestavano l’affermazione attorea secondo la quale i contrasti riguardavano la ripartizione o meno degli utili di A. costruzioni S.p.a. prima della conclusione delle vicende giudiziarie, poiché in realtà le due società convenute avevano tenuto tale comportamento per promuovere un’iniziativa finalizzata a scorporare un importante cespite immobiliare, iscritto al bilancio per

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Disposizione che prevede l’impossibilità per gli amministratoti di una determinata società di assumere la qualità di soci o ricoprire determinate cariche, ad esempio quella di amministratore, in società concorrenti, salvo che non siano autorizzate dall’assemblea dei soci; autorizzazione che nel caso di specie non sussisteva.

un valore inferiore al reale, per sottrarlo, così, ad eventuali insuccessi dell’attività imprenditoriale.

In secondo luogo le società convenute evidenziavano come il loro dissenso, piuttosto, derivasse dalla volontà delle società attrici di conferire dei ruoli marginali ai rispettivi consiglieri di amministrazione delle prime. L’atteggiamento ostile delle società attrici era culminato con la revoca, grazie anche “all’appoggio” del presidente del C.d.A., della delega amministrativa all’ing. F.S., nonostante la gran parte delle commesse acquisite nel quinquennio 1999/2004 da A costruzioni S.p.a. fossero direttamente riconducibili a lui; nonché nell’estromissione dello stesso ing. F.S. e di un altro consigliere da altri rilevanti incarichi.

In terzo luogo le convenute sostenevano che la mancata approvazione ordinaria del bilancio del 2003 dipendeva da alcuni profili problematici relativi ai contenziosi pendenti e che la approvazione dello stesso nel periodo di liquidazione della società era dovuta alle valutazioni fatte dopo la constatazione che non fosse più possibile ricreare una condizione di serenità ed accordo fra i soci.

Infine le società SdB S.r.l. e F S.r.l precisavano, in punto di diritto, che l’azione risarcitoria necessitava, quale presupposto e condizione per il suo esperimento, di una preventiva impugnazione delle delibere assembleari non approvate delle quali si voleva inficiare la legittimità del diritto di voto.

Nel 2007 giunge la sentenza del Tribunale di Catania con la quale i magistrati rigettavano la domanda risarcitoria attorea poiché, in punto di diritto, implicava la necessità di impugnare le deliberazioni assembleari negative per le quali era stato esercitato il diritto di voto tanto contestato. La mancata

impugnazione, secondo la corte, avrebbe testimoniato l’adesione delle società attrici dissenzienti alle predette decisioni vincolandole ai relativi effetti.

Terminata l’importante trattazione del fatto, passiamo ad analizzare questa prima decisione della controversia ed iniziamo evidenziando fin da subito come l’attenzione dei giudici è stata posta sull’impugnabilità delle delibere negative, sul loro eventuale annullamento da parte dell’autorità giudiziaria e sul rapporto sussistente tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria in caso di abuso162. Nella decisione i giudici non hanno trattato, se non in maniera marginale, la questione relativa all’abuso del diritto di voto.

È proprio da quest’ultimo che, visto il tema trattato in questo capitolo, andremo a parlare.

La sentenza presenta un’ipotesi peculiare: il c.d. abus d’égalité, cioè il caso di abuso del potere di blocco nelle compagini sociali paritetiche. Nel caso di specie, come abbiamo già ampiamente detto, la società A costruzioni S.p.a. è partecipata da quattro soci detentori cadauno del 25% del capitale sociale, i quali finiscono per riunirsi in due gruppi contrapposti che detengono ciascuno il 50% del capitale sociale. Il tribunale, nonostante la decisione di rigetto dovuta alla mancata impugnazione della delibera negativa, riconosce un abuso del diritto di

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Di questi aspetti però tratteremo nel cap. III poiché inerenti alla specifica ipotesi della delibera negativa e allo specifico rimedio del risarcimento danni. In questo capitolo ci siamo invece prefissati l’obiettivo di comprendere gli elementi costitutivi l’abuso di minoranza e di sottolineare come quest’ultimo sia dannoso per la società. Situazione che appare lampante alla luce dei fatti riportati.

voto in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.163

Questo abuso è ravvisato dai giudici nell’obiettivo dei soci di raggiungere, indirettamente attraverso la loro condotta, la paralisi dell’assemblea e di conseguenza lo scioglimento anticipato della società, visto che una volta aperta la fase di liquidazione dell’ente questi hanno approvato senza obiezioni il progetto di bilancio164. La sentenza si allinea così alle posizioni più volte prese dalla dottrina165, la quale ha ritenuto sussistere l’illegittimità del voto negativo in tali ipotesi piuttosto che in quelle di contrasto con l’interesse sociale.

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In primo luogo, secondo l’autore della nota (v. CIAN, Abus d’égalité, tutela demolitoria e

tutela risarcitoria, in Corriere giuridico, 2008, III, pp. 399 ss.) c’è da precisare che quando il

blocco è causato da una coalizione di soci, l’abuso è imputabile a ciascuno di essi, poiché è ritenuto il risultato di un programma comune, non essendo invece necessaria la sussistenza, tra gli stessi, di un sindacato di voto, come sostengono altri autori stranieri (v. DREHER, Treupflichten

zwischen Aktionären und Verhaltenspflichten bei der Stimmrechtsbündelung, Gesellschaftsrechtliche und zivilrechtliche Grundlagen, pp. 158 ss.). Alla stessa conclusione si

giunge anche per il caso in cui ciascuno degli azionisti agisca, violando i doveri di correttezza, autonomamente rispetto agli altri purché il suo voto sia determinante per l’approvazione della proposta. Altra ipotesi interessante è quella che vede una pluralità di soci che esprime illegittimamente il suo voto, che singolarmente non sarebbero determinanti per la formazione di una minoranza di blocco, ma che lo risultano se considerati nel loro complesso e di conseguenza l’evento dannoso è ritenuto imputabile congiuntamente a tutti.

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Un caso simile seppur con esito opposto è quello oggetto della decisione del Tribunale di Milano 18 maggio 2000, in Giur. it., 2001, pp. 98 ss.

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Ex multis PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nella società per

azioni, in Trattato della società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. 3, t.2, Assemblea,

Torino, 1993, 1 ss; NUZZO, L’abuso della minoranza. Potere, responsabilità e danno

L’abuso, infatti, dipende dalla lesione dell’interesse sociale degli altri soci a che lo scioglimento della società si produca alla data di scadenza prevista dallo statuto e non dalla lesione dell’interesse sociale alla sopravvivenza dell’ente.

Ciò che ci dobbiamo chiedere allora è quali siano gli interessi negoziali da prendere in considerazione. Ad esempio, come è accaduto nel caso di specie esaminato dai giudici della corte di Catania, se il socio vota contro una proposta di delibera di approvazione del bilancio e il suo interesse consiste nella corretta rappresentazione della situazione societaria, allora l’esercizio del suo diritto di voto è legittimo; ma se vota contro la medesima proposta perché il suo interesse è giungere allo scioglimento anticipato della società, allora il voto risulterà illegittimo. Infatti l’interesse negoziale allo scioglimento della società può essere espresso solo da chi ha la maggioranza dei voti e secondo un’apposita proposta di modifica delle clausole statutarie in materia di durata dell’attività dell’ente.

Nel caso di specie, inoltre, la causa di scioglimento che si è venuta a produrre, cioè quella per impossibilità di funzionamento dell’assemblea ex art. 2484 comma 1 n.3 c.c., è una causa ex lege e non derivante dalla volontà dei soci. In una ipotesi siffatta il socio, se gli è richiesto, non può mancare di motivare il suo rifiuto; se poi le sue censure vengono accolte e viene presentata in assemblea una nuova proposta di approvazione del bilancio, l’interesse del socio che ha votato negativamente alla prima assemblea verrebbe meno e, quindi, non potrebbe più essere addotta come motivazione di un nuovo diniego166.

Questa ipotesi, in primo luogo, ci permette di sottolineare le differenze tra l’abuso di minoranza di cui stiamo parlando e l’abuso di maggioranza di cui

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abbiamo parlato nel precedente capitolo. Perché nei casi di abuso di maggioranza, quest’ultima tiene una condotta illegittima se devia la volontà assembleare per il perseguimento dei propri interessi, ad esempio votando lo scioglimento della società per poi ricostituirne un’altra da cui escludere uno dei coazionisti167

; mentre nei casi di abuso di minoranza, il comportamento illegittimo si realizza mediante il fine perseguito con l’esercizio del potere di blocco, fine che può essere, ad esempio, quello di sciogliere la società, nonostante tale prerogativa non sia attribuita ai soci minoritari. Perciò il dissenso della minoranza è illegittimo se non è sorretto da alcuna valutazione circa il merito delle proposte portate al voto.

In secondo luogo, l’ipotesi finora trattata ci permette di sottolineare, ancora una volta, come il comportamento abusivo non è ascrivibile solo alla maggioranza, perché, come ampiamente dimostrato, qualsiasi gruppo organizzato di soci può utilizzare le prerogative attribuitegli in violazione dei principi dell’ordinamento giuridico.

Come osservato da un’Autorevole dottrina168

adesso il problema che può sorgere è quello di comprendere quale specifico comportamento dia vita alla illegittimità della condotta, cioè se questa derivi direttamente dall’esercizio del diritto di voto in concreto o dall’esercizio del diritto di intervento che sta alla base della successiva decisione presa in assemblea. Infatti, in tutti i casi in cui le regole

167

Come è accaduto nel caso trattato dalla Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. Comm, 1996, II, pp. 329 ss.

168

CIAN, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su

decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. Dir. Comm., 2015, Vol. II, pp. 409

assembleari169 prevedono quorum calcolati sulla base del capitale presente in assemblea e non su quello votante, il voto negativo non è di per sé il comportamento che integra l’abuso, poiché esso non fa altro che riproporre il medesimo risultato dell’astensione. Non essendo configurabile un obbligo del socio di dover contribuire all’approvazione della proposta, tale comportamento non è di per sé illegittimo170. A questo aspetto, secondo tale tesi, la sentenza catanese non ha fatto attenzione, invece esso è di fondamentale importanza.

La sua rilevanza è data dal fatto che, essendo molteplici i comportamenti mediante i quali i soci minoritari possono integrare un abuso, ritenere che sia l’esercizio del voto la condotta da condannare permetterebbe alla minoranza di compiere il medesimo abuso attraverso l’astensione, senza che questo sia sanzionabile.

Allora ciò che, secondo questa dottrina, deve essere osservato dai giudici è la partecipazione all’assemblea, alla quale è sicuramente ricollegabile la decisione finale presa dal socio. Perciò se non è rimproverabile il diniego del socio, è sicuramente censurabile il suo intervento che motivi tale decisione con un interesse preordinato a causare un pregiudizio agli altri soci. La funzionalizzazione dell’intervento all’esercizio del voto è emersa successivamente alla riforma societaria del 2003171, che ha fatto perdere al primo la propria

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Vedi il paragrafo 1.1 del presente capitolo relativo ai quorum costitutivi e deliberativi previsti dalla legge nelle assemblee dei soci.

170

Sottolineiamo come una parte della dottrina è contraria a tale affermazione v. CENTONZE,

Qualificazione e disciplina del rigetto della proposta (c.d. delibera negativa), in Riv. Soc., 2007, p.

442

171

Vedi per tutti GRIPPO, L’assemblea nelle società \per azioni, in Trattato Rescigno, XVI, Torino, 1985, pp. 380 ss.

autonomia e lo ha reso ancillare rispetto al secondo172. L’illegittimità in questo modo viene ad essere ricondotta ad un comportamento commissivo del socio, cioè il suo intervento dal quale si deducono i motivi del suo diniego e dal quale emerge la violazione dei doveri di buona fede e correttezza. Infatti “quando l’intervento ed il voto non adesivo non appaiono inquadrarsi nella normale dinamica deliberativa e risultino al contrario finalizzati all’esplicazione di un potere di blocco, che non trova in concreto giustificazione in alcuna valutazione critica del socio nei confronti della decisione da assumere, il loro esercizio diviene illegittimo”173

.

Secondo questa dottrina è solo in questo modo che la censura mossa dal Tribunale di Catania appare persuasiva. Ciò che però resta da chiedersi è se la considerazione dei doveri di buona fede e correttezza in relazione al diritto di intervento, piuttosto che al diritto di voto, possa ripercuotersi sui rimedi esperibili dai soci danneggiati; aspetto che proveremo ad affrontare nel prossimo capitolo174.

172

Questa considerazione è supportata dalla lettera dell’art 2370, comma 1, c.c. il quale “ accorda il diritto di intervento ai soli soci deputati ad esprimersi in merito alle materie di volta in volta poste all’ordine del giorno” vedi RESCIO, in AA.VV., Diritto delle società, Manuale breve, Milano, 2006, 190; contra FIORIO, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO e MONTALENTI, I, Bologna, 2004, sub. Art 2370. 534 ss.

173

CIAN, op. cit., p.410.

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3. La dottrina in relazione alle ipotesi di abuso interne all’adunanza